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20/10/2019

Bolivia: la destra è democratica solo quando vince

A due giorni dalle elezioni presidenziali e parlamentari in quel paese, tutti i sondaggi dicono che l’attuale Presidente, Evo Morales, trionferebbe al primo turno. Con una cifra vicina al 40% dei voti e un distacco del 10% rispetto al secondo candidato, lo storico Carlos Mesa, Evo vincerebbe, poiché, secondo la Costituzione boliviana, per trionfare al primo turno il candidato al Palacio Quemado dovrà ottenere il 50 +1 dei voti, oppure il 40% e 10 punti di differenza dal secondo.

Il candidato di origine coreana, (i suoi progenitori hanno fondato varie chiese presbiteriane in Bolivia), Chi Hyun Chung, fanatico evangelico, (molti lo chiamano il “Bolsonaro boliviano"), di ideologia sessista, e pure xenofobo e religioso autoritario, si sente predestinato a propagare il regno di Dio in Bolivia, (afferma, per esempio, che, se vincerà alle elezioni, attaccherà l’ideologia di genere sottomettendo le donne, condanna poi gli omosessuali considerandoli malati che devono essere curati gratuitamente dallo Stato).

Rispetto alla criminalità, propone che i condannati scontino la loro pena carceraria solo nei fine settimana, e che dedichino i giorni lavorativi alla comunità; dice pure che i maestri e i poliziotti devono avere i salari più alti di tutte le altre professioni; Chung promette pure che, se vincerà le elezioni, il PIL aumenterà del 20%, (non solo del 5%, come è l’attuale).

Il Partito Democristiano, capeggiato da Paz Zamora, ha solo lo 0,5% delle preferenze nei sondaggi d’opinione; oggi, con Chung, occupa il quarto posto con il 6,8%, e sta quasi per superare Óscar Ortiz, del Partito Bolivia Vota NO, ora al terzo posto, (a La Paz, per esempio, il coreano otterrebbe il terzo posto scalzando Ortiz).

L’anti-politica e la corruzione hanno come correlato il sorgere di candidati fanatici religiosi e opportunisti che finiranno per affossare la democrazia, con il veleno inoculato nelle masse che, prima o poi, si solleveranno contro le oligarchie che li ingannano ed opprimono con l’oppio delle promesse, che poi non mantengono (niente di più maldestro che confondere la religione con la politica).

Evo Morales, nei suoi 14 anni continuativi di governo, ha rotto la regola dell’usura del potere, poiché ancora mantiene il 68% dell’appoggio popolare (compariamolo con il Presidente del Cile, Sebastián Piñera, che in meno di un anno è calato dal 50% a quasi un terzo).

In tutti i paesi del mondo, a causa delle crisi di rappresentanza, predomina il voto-rifiuto, cioè non si vota a favore di un candidato determinato, bensì contro gli altri.

Il Partito MAS, capeggiato da Evo Morales, avrebbe assicurata la maggioranza nel senato, con 20 senatori, su un totale di 34; 12 di Comunidad Ciudadana, di Carlos Mesa, e 2 del Partito Democratico, di Óscar Ortiz. Nel caso in cui Morales vincesse al primo turno, se non avesse i due terzi del senato dovrebbe fondamentalmente accordarsi con l’opposizione per i progetti più significativi.

Alla Camera, i sondaggi darebbero il MAS al 26,4%; Comunidad Ciudadana, al 18,7%; il Partito Democratico, 11,8%; il PDC al 4,1%, e questo significa che neanche alla Camera dei Deputati avrebbe la maggioranza assoluta se si considerano i 137 membri della Camera.

L’opposizione boliviana, del resto, ha dimostrato incapacità di mettersi d’accordo per la designazione di un solo candidato, e si è limitata ad attaccare la legittimità della candidatura di Morales, la cui rielezione a tempo indeterminato è stata rifiutata dal 2% dei voti a favore del No, nel plebiscito realizzato nel febbraio del 2016. Successivamente, a seguito di un ricorso da parte di Morales, il Tribunal Supremo di Bolivia ha convalidato la sua candidatura rivendicando la superiorità della Carta Democratica dell’OEA sulla Costituzione boliviana.

I precedenti di Carlos Saúl Menem, in Argentina, e di Daniel Ortega, in Nicaragua, e di Óscar Arias, in Costa Rica, oltre al riconoscimento di questo diritto da parte del Segretario Generale dell’OEA, Luis Almagro, avallerebbero la legittimità della candidatura del leader del MAS, Evo Morales.

La destra, che sa di essere perdente, cerca il modo di rifiutare il probabile trionfo di Morales come se fosse ottenuto sulla base di una frode, e si sta organizzando nei Dipartimenti per preparare uno scontro e, secondo quanto denuncia Morales, un possibile colpo di Stato civico-militare. A Potosí, per esempio, al candidato del MAS è stato impedito l’ingresso alla città; a Santa Cruz, i gruppi organizzati di estrema destra hanno eseguito gravi attentati contro la proprietà pubblica e privata.

Dal punto di vista della geografia elettorale, sei dei nove Dipartimenti voterebbero per Evo Morales, e solo tre per Carlos Mesa: il primo vincerebbe a La Paz, Cochabamba e Oruro, e Mesa, a Santa Cruz, Tarija e Chuquisaca.

È dunque molto probabile che il 20 ottobre (Bolivia), e il 27 dello stesso mese (Argentina e Uruguay), si consacrino come giorni di grandi vittorie dei movimenti progressisti latinoamericani.

Il sostenuto livello di successi economici di Evo Morales e del suo ministro dell’economia, Luis Ortiz, provano che la sinistra è capace di governare e di cogliere frutti importanti. Al contrario, i clamorosi fallimenti di Mauricio Macri, Jair Bolsonaro, Iván Duque, Lenin Moreno e Sebastián Piñera vanno dimostrando che l’ortodossia neoliberista conduce i suoi popoli al fallimento.

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