di Michele Giorgio – Il Manifesto
La città di Nabatiyeh è
l’anima del Jabal Amil, la roccaforte sciita nel sud del Libano. Si dice
che lo sciismo duodecimano sarebbe fiorito da queste parti ben prima
che nello stesso Iran.
Un luogo cruciale per la fede, che rappresenta una delle fortezze dei
partiti sciiti Hezbollah e Amal che qui, come nel resto del Libano
meridionale, godono di grandi sostegni. Perciò aver visto nei
giorni scorsi a Nabatiyeh e Tiro, altra roccaforte sciita, una
esplicita quando rara contestazione di Hezbollah e Amal, spiega quanto
sia diffusa e senza bandiere la rabbia dei libanesi contro l’intera
classe dirigente, senza eccezioni.
Nelle strade di Beirut centinaia di migliaia di cristiani,
sunniti e sciiti insieme protestano contro il governo, la corruzione e i
poteri economici forti. A Sidone e Tripoli i sunniti bruciano i
ritratti di colui che fino a qualche tempo fa era il loro “imperatore”,
il premier Saad Hariri. Nel sud invece chiedono che lo speaker del
parlamento (da ben 27anni) Nabih Berri, leader di Amal, si faccia da
parte. E si sono sentiti slogan persino contro il segretario
generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah che si è espresso a favore del
governo pur rimarcando l’importanza delle ragioni delle proteste. Il
Libano affoga nel debito pubblico e la sua popolazione, in affanno e
impoverita, non ha più riguardi per nessuno.
Hezbollah osserva con attenzione. E non solo perché i partiti rivali
potrebbero approfittare della protesta per metterlo in difficoltà.
La forza più importante della politica libanese, interna ed estera,
vede con sorpresa incrinarsi la sua popolarità tra gli sciiti. Come sia potuto accadere è l’interrogativo dei suoi dirigenti.
Le contestazioni rivolte a Hezbollah non sono legate direttamente al
tema della resistenza, al conflitto con Israele e alla partecipazione di
combattenti sciiti alla guerra in Siria schierati con il presidente
Bashar Assad. «Questi temi però si riflettono sulla rabbia popolare di
questi giorni – ci dice il giornalista libanese Talal Khraiss, che vive e
lavora tra Beirut e Roma – La gente crede che Hezbollah pensi
troppo al suo ruolo di attore protagonista nella regione e poco al
Libano. La politica assistenziale del movimento garantiva agli sciiti
lavoro e servizi che lo Stato non offre per disorganizzazione e
corruzione. Il movimento però non riceve più gli stessi fondi dall’Iran.
Il suo sponsor principale è stato colpito dalle sanzioni Usa ed è in
crisi finanziaria, quindi Hezbollah non è più in grado di coprire i
bisogni della sua base di consenso». A lamentarsi sarebbero anche le
famiglie dei combattenti sciiti caduti in Siria che avrebbero visto
ridursi il sussidio mensile del movimento.
Se queste sono alcune delle ragioni delle contestazioni che arrivano dagli sciiti, più
in generale ad Hezbollah è mossa l’accusa di essersi fatto garante del
sistema confessionale, o settario, che regge la repubblica libanese.
Nel paese dei cedri il presidente deve essere un cristiano maronita, il
premier un sunnita, lo speaker del parlamento uno sciita e il capo
delle forze armate un cristiano.
Questo rigido schema delinea, dall’alto verso il basso, l’intera
gestione del potere. L’applicazione di questo sistema da un lato ha
contribuito ad evitare che il paese precipitasse in una nuova seconda
guerra civile dopo quella tra il 1975 e il 1990, in conseguenza della
crisi nella confinante Siria.
Dall’altro ha ingessato il governo e l’amministrazione
pubblica garantendo ad alcuni personaggi politici, come Nabih Berri,
agli Hariri e a loschi uomini di affari, già molto ricchi, posizioni di
potere di fatto a tempo indeterminato. «Hezbollah non è
accusato di corruzione – dice Talal Khraiss – ma deve sganciarsi da
questo sistema se non vuole finire nel calderone dei partiti bersaglio
delle accuse e della rabbia dei libanesi».
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