Che ‘Quota 100’ fosse una misura
limitatissima e di corto respiro rispetto alle gravissime falle e
inadeguatezze sociali del sistema pensionistico italiano, era chiaro sin dall’introduzione della misura.
Il provvedimento, lo ricordiamo, consente in via sperimentale, per il
triennio 2019-2021, agli iscritti all’INPS, di conseguire il diritto
alla pensione anticipata non appena venga raggiunta un’età anagrafica di
almeno 62 anni e un’età contributiva di almeno 38 anni.
Una misura che non risolve in alcun modo il problema delle esigue pensioni attese
dai lavoratori per via del combinato disposto di sistema contributivo e
carriere lavorative precarie e che, proprio nella logica perversa del
contributivo, offre ai lavoratori una triste alternativa tra anticipo
del diritto alla pensione ed entità della pensione stessa. Insomma, un
mero lenitivo che, per soli tre anni, ha reso meno rigido il sistema di
accesso anagrafico e da anzianità contributiva alla pensione, consentendo a molti la possibilità di godersi qualche anno in più di meritato riposo a spese di un minor reddito pensionistico.
Tutte queste caratteristiche hanno mostrato, con grande evidenza, la
linea velleitaria e del tutto subordinata alla politica economica
patrocinata dalle classi dominanti e dalla regìa europea dei pochissimi e
striminziti provvedimenti sociali del precedente governo giallo-verde.
Eppure, nel dibattito riguardante la
predisposizione, ancora in corso, del disegno di legge di bilancio del
nuovo Governo, si è giunti ad un’evoluzione che supera la stessa
immaginazione, con punte di apparente masochismo politico. Dopo qualche
settimana di rassicurazioni sul mantenimento di Quota 100, sotto la
spinta martellante del neo-partito di Renzi ‘Italia Viva’, la maggioranza ancora dibatte vivacemente sulla possibilità di abolire Quota 100,
di anticiparne la fine al 2020 o, quanto meno, di allungare le finestre
da tre a sei mesi per l’effettivo godimento della pensione da parte di
coloro che faranno uso di Quota 100 nel 2020. In tutti e tre i casi si
tratterebbe di una meschina guerra verso le briciole rappresentate da un provvedimento già di per sé del tutto inadeguato nella sua concretizzazione temporanea triennale.
Gli esiti finali di questa vivace e
miserevole discussione ancora non sono conoscibili. Ma il solo fatto che
la discussione esista fa sorgere interessanti interrogativi. C’è da
chiedersi come mai un governo di nuova formazione alla sua prima
finanziaria, dovrebbe andare a rosicchiare un provvedimento dall’impatto
così immediato per centinaia di migliaia di persone con l’evidente
rischio di scontare una forte impopolarità. Abolire Quota 100 da subito,
o farla decadere un anno in anticipo rispetto alla sua scadenza
naturale, o ancora soltanto allungare il tempo per l’effettivo
godimento della pensione mensile, significherebbe rivedere o addirittura
negare, dopo solo pochi mesi dalla sua approvazione, un sacrosanto
diritto sociale acquisito, stravolgendo i piani di vita di lavoratori
prossimi alla chiusura della propria carriera. Una sorta di dramma degli esodati-bis.
L’impatto di impopolarità e il parallelo aumento di consenso incassato
dalla Lega di Salvini, che di quel provvedimento aveva fatto un pallido
simbolo della sua presunta e inesistente politica sociale, sarebbe
clamoroso: un ostentato autogol politico per racimolare qualche
miliardo.
Eppure, Italia Viva insiste, e con
martellante pervicacia ha ingaggiato una campagna ideologica di inedita
aggressività, rispolverando in pochi giorni tutti i luoghi comuni liberisti più dirompenti sul
funzionamento del sistema pensionistico, del mercato del lavoro e del
rapporto tra giovani e anziani. Le fa eco una buona parte del PD che,
pur non arrivando a chiedere l’abolizione della misura, ne caldeggia
modifiche o la descrive pubblicamente come terribilmente iniqua.
Lasciamo parlare i protagonisti delle reiterate affermazioni.
Il più agguerrito detrattore di Quota 100, che sembra addirittura aver sorpassato a destra l’ex presidente dell’INPS Tito Boeri,
è Luigi Marattin di Italia Viva, giunto a definirla l’emblema della
“politica più ingiusta degli ultimi 25 anni”. A seguire Matteo Renzi,
che ha più volte detto di volerla cancellare al fine di reperire risorse
da destinare all’assegno unico per i figli proposto dal suo partito. Ed
ancora Renzi: “Quota 100 è un provvedimento pensato solo per chi ha già
diritti”. E, ancora, direttamente dalla kermesse della Leopolda:
“Quando diciamo che Quota 100 non va bene non stiamo attaccando gli
anziani: dico che 20 miliardi di euro messi tutti insieme su
centocinquantamila persone sono un’assurdità. Gli 80 euro valgono 10
miliardi e vanno a 10 milioni di persone, Quota 100 va a 150.000 persone
ed è un’ingiustizia”. Infine, Maria Elena Boschi, dalle stesse fila:
“Quota 100 obiettivamente crea un’ipoteca sul futuro delle nuove
generazioni. È molto onerosa. Noi diciamo: aiutiamo le nuove generazioni
e sosteniamole con investimenti veri sulle famiglie per contrastare
anche il fenomeno della denatalità”.
Non manca neanche il neo-ministro dell’economia di area PD, Roberto Gualtieri.
“Quota 100 fortunatamente andrà ad esaurimento e noi certo non la
rinnoveremo. La misura, almeno nei piani di questo governo, non sarà
resa strutturale, né si intende prorogarla così com’è. Magari faremo
qualche manutenzione. Comunque non l’avrei mai fatta”. Una vera e
propria ostinata battaglia, che possiamo interpretare attraverso una
duplice lente di lettura.
In primo luogo, l’ennesimo governo dell’austerità, amico ostentato dell’Europa, deve fare comunque i conti con il proprio padrone, contrattando con Bruxelles gli angusti spazi di flessibilità per distribuire qualche briciola. È di questi giorni la notizia della consueta letterina sospettosa
giunta dalla Commissione Europea per vederci più chiaro sulle coperture
finanziarie annunciate dal governo a fronte del pur limitatissimo
programma di spesa pubblica.
Si tratta della solita dinamica di
controllo che la Commissione Europea esercita in modo costante e
soffocante su tutti i paesi e tutti i governi, persino quelli
esteriormente più affidabili, per mantenere alto il livello di tensione e
di potere dissuasorio a fronte di rischi anche minimi di una qualche
ipotetica velleità di allentare la morsa dell’austerità. Una strategia
del terrore preventiva che colpisce tutti i governi. In questa grottesca
guerra per ottenere una modestissima quota di flessibilità di manovra, i
governi compiono scelte selettive, in cui, sostanzialmente, ciò che si
da con una mano, con l’altra viene tolto, e in cui ogni minimo
provvedimento di spesa entra in immediata collisione con un altro. È la
logica perversa e artificiale delle presunte risorse scarse
che di anno in anno, ad ogni finanziaria, si esaspera ed aggrava alla
luce dell’impietosa tabella di marcia del Fiscal Compact che scandisce
nel tempo gli impegni di riduzione del rapporto debito-PIL stabiliti nel
2012 a perfezionamento del Trattato di Maastricht.
E così, se si vogliono disinnescare le clausole IVA, occorre trovare i soldi da qualche parte a parità di deficit consentito. Se poi, magari, i 7 miliardi di lotta all’evasione ottimisticamente
annunciata dal governo vengono giudicati fantasiosi dalla Commissione,
allora ecco rinnovarsi la necessità di andare a rosicchiare da una parte
e dall’altra cominciando preferibilmente dalle briciole di Stato
sociale ancora esistenti.
Questa pietosa ricerca di risorse a scapito di
voci di spesa sociale trova una sua copertura ideologica nel conflitto
titanico tra obiettivi enfatizzato ad arte. I giovani e i bambini contro
gli anziani, la sanità contro le pensioni, la scuola contro i bambini
che consumano merendine e bevande gassate, le infrastrutture e gli
investimenti contro la spesa corrente per gli stipendi pubblici, i
diritti degli italiani contro i diritti degli immigrati; e, più
modestamente, il bonus di 240 euro a figlio proposto da Italia Viva
(peraltro a scapito dell’attuale sistema di detrazioni per figli a
carico) contro la presunta generosità di Quota 100.
Questo piano
ideologico, nel caso dell’attacco frontale a Quota 100, riveste a ben
vedere una funzione ancora più profonda che spiega, assieme
all’esercizio del triste conflitto tra obiettivi escludentisi nel
contesto dell’austerità e la lotta per una manciata di miliardi, la foga
con cui l’argomento viene trattato in queste settimane. Deve passare il
messaggio che una revisione anche blanda del sistema pensionistico
verso una minore rigidità di uscita è qualcosa di impensabile e di
gravemente lesiva dei diritti dei più giovani. Quando Marattin afferma
che Quota 100 è l’emblema della politica più ingiusta degli ultimi 25
anni, o quando si ripete ossessivamente che Quota 100 ipotecherà il
futuro dei giovani, si vuole affondare il coltello nella assurda e devastante idea secondo la quale esiste un inevitabile conflitto tra giovani e anziani e
secondo cui le pensioni godute dagli anziani di oggi sono soldi
permanentemente sottratti ai giovani che non solo soffrirebbero le
conseguenze dell’amaro destino del lavoro precario, ma sarebbero anche
costretti a finanziare i propri padri e nonni che hanno vissuto al di
sopra delle proprie possibilità al tempo delle vacche grasse.
La coerenza di simili argomentazioni si
scontra, però, con due questioni: in primo luogo, il problema della
precarietà del lavoro e la discontinuità lavorativa che indubbiamente
impediscono ai lavoratori di oggi di avere diritto ad una dignitosa
pensione futura si risolve, molto semplicemente, eliminando quella precarietà e quella discontinuità lavorativa,
non evitando agli anziani (ossia i lavoratori di ieri) di poter andare
in pensione prima. In secondo luogo, il tempo delle “vacche grasse” a
cui si allude, appellativo dispregiativo affibbiato ad un periodo in cui
era in vigore un sistema pensionistico di tipo retributivo e in cui l’importo della pensione media attesa era superiore rispetto a quello attuale,
era tale proprio perché, in ultima analisi, gli importi pensionistici
erano più alti rispetto agli odierni. Se, dunque, si affronta la
questione di un livello dignitoso della pensione per i lavoratori di
oggi, allora il problema risiede nella struttura del sistema
pensionistico attuale, e non nel fatto che, in sintesi, gli anziani di
oggi ricevono pensioni più elevate di quelle che percepiranno i loro
nipoti (gli anziani di domani).
È, dunque, questo, un attacco ideologico frontale che svia l’attenzione dal vero nemico comune, la classe sociale dominante, verso il falso nemico generazionale, i vecchi cosiddetti privilegiati figli dell’insostenibile e obsoleto stato sociale novecentesco. Un attacco ideologico ad un mondo che si vuol far scomparire,
in cui una buona e piena occupazione veniva logicamente vista come il
naturale preludio ad un forte sistema pensionistico pubblico e in cui a
nessuno saltava in mente di contrapporre gli interessi oggettivi di
giovani e anziani della stessa classe sociale.
Italia Viva e il PD, entrambi
manifestazione del progetto neoliberale nella sua variante
“progressista”, devono così svolgere a qualsiasi costo e ordinatamente
il ruolo materiale e ideologico per cui esistono come forze politiche.
Costi quel che costi, anche in termini di perdita di consenso elettorale
immediato. Lo stesso ruolo, del resto, che la Lega e i vari frammenti
di centro-destra devono svolgere cavalcando simili, ma diversi,
conflitti ed agitando il popolo contro analoghi, ma diversi, falsi
obiettivi. Nel mezzo, il sostanziale silenzio o la disarmante passività
post-ideologica dei 5 Stelle, nuovo ago della bilancia di un bipolarismo
risorto, buoni per ogni stagione ed ogni ammucchiata reclamata dai
padroni del vapore per stabilizzare il sistema politico sulle linee
della compatibilità con le politiche economiche dominanti. Immigrati,
anziani o lavoratori sindacalizzati, nella logica delle risorse scarse
cambia il capro espiatorio, ma non cambia l’obiettivo: coprire il volto
della classe dominante.
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