Se si fa riferimento all’Europa anche la Lombardia perde competitività e non ha la forza – e forse nemmeno la voglia – di essere la locomotiva per il resto del paese. Sul piano nazionale nessuna regione italiana ha un indice di competitività superiore alla media europea.
Sono questi i dati che emergono dall’ultima edizione dell’indice di competitività regionale elaborato dalla Commissione europea. La ricerca ha validità di tre anni e prende in considerazione 74 indicatori per confrontare l’andamento economico dei vari territori europei, disaggregandoli anche su base regionale e non solo nazionale.
Dall’indice si rileva che tutte le regioni italiane sono sotto la media del continente. Germania, Austria, Gran Bretagna, Francia e paesi scandinavi risultano essere le aree più competitive. Sulla base degli indicatori risultano “più competitivi” dell’Italia anche territori come la comunità autonoma di Madrid, l’area metropolitana di Lisbona e quella di Varsavia.
La crescita economica che caratterizzava le regioni del Nord Italia, si starebbe esaurendo anche nelle aeree più produttive. Le stesse province lombarde, finora considerate tra i “motori d’Europa” al pari della Baviera e dell’Ile-de-France, hanno rallentato bruscamente.
La Lombardia è un caso emblematico: resta la regione italiana più competitiva, ma è sotto la media europea. Gli indicatori negativi attengono alla qualità delle istituzioni, alla stabilità macroeconomica nazionale, all’educazione di base e a quella superiore, la formazione permanente e la reattività tecnologica. Mantiene invece le posizioni per la sanità, le dimensioni del mercato e la “sofisticazione” del business (non chiedeteci spiegazioni su questo parametro, lo sanno solo quelli che lo hanno inventato, ndr).
Ma sulla sanità, occorre dire che è quella italiana – a livello nazionale e non solo lombardo – a risultare migliore della media europea, ed è l’unico indicatore in positivo per l’Italia secondo i coefficienti utilizzati dall’Indice di competitività economica della Commissione europea.
Contestualmente tutti i parametri della Lombardia risultano superiori alla media italiana e molti altri indici sono allineati all’Europa.
In termini di competitività, la classifica delle regioni italiane vede dunque la Lombardia in prima posizione seguita da: provincia autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, provincia autonoma di Bolzano e Umbria. Sotto la media della competitività in Italia (che a sua volta è inferiore alla media europea) risultano invece Marche, Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia e Calabria.
Ma l’indicatore europeo sulla competitività ha fotografato una situazione precedente a quella recessiva che si sta abbattendo sul “cuore” della competitività europea ossia la Germania. È conseguenza che tale recessione si andrà abbattendo come un tornado su tutta la filiera produttiva che ne discende. E qui il sistema produttivo italiano è non solo vulnerabile ma del tutto dipendente dalla subfornitura all’industria tedesca, proprio e soprattutto nelle regioni del Nord, Lombardia inclusa.
Si palesa quindi il rischio di una recessione che non farà sconti né prigionieri anche nelle regioni del Nord, sottoposte anche loro ad uno sviluppo disuguale che ha visto declinare aree metropolitane come quella torinese e genovese e concentrare ricchezza, risorse, tecnologie, servizi, forza lavoro qualificata intorno a quella milanese, in Emilia Romagna e in parte del Nordest.
Se la Commissione ritenesse opportuno indagare anche le disuguaglianze sociali oltre che arzigogolati indici di competitività, scoprirebbe buchi neri e scheletri negli armadi anche nelle zone formalmente più sviluppate. Ma non è questa la “mission” né la natura delle istituzioni europee e dei loro parametri. Sono nate per sostenere le multinazionali e le banche, non i lavoratori e gli abitanti.
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