Il lancio di “Libra” la criptovaluta di Facebook, sarà effettuato solo dopo l’autorizzazione delle autorità statunitense ha fatto sapere Mark Zuckerberg intervenuto davanti alla commissione Servizi finanziari del Congresso Usa. “La politica monetaria è di competenza delle banche centrali, non di Libra. L’associazione Libra non ha intenzione di competere con le valute sovrane o di entrare nell’arena della politica monetaria”.
Il Dipartimento del Tesoro americano ha incontrato esponenti e funzionari di Facebook, e gli ha “fatto sapere” che i loro piani per il lancio della criptovaluta Libra sono prematuri. Inutile dire che il titolo di Facebook a Wall Street è arrivato a perdere il 2,26% a causa dell’ampliamento dell’indagine antitrust nei confronti della piattaforma e dell’avvertimento del Dipartimento del Tesoro Usa.
Il Sole 24 Ore sottolinea come “I grandi partner finanziari sono pronti a sfilarsi dal re dei social network – o meglio dall’ultimo, ambiziosissimo progetti del gruppo – nell’immagine e nella sostanza: la criptovaluta globale Libra. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Libra starebbe incassando importanti defezioni tra i suoi alleati: numerosi giganti della finanza – da Visa a Mastercard e non solo – potrebbero tirarsi indietro dal piano di dare vita a un network globale per un sistema di pagamenti fondato sulla nuova divisa digitale ideata da Fb”.
Che cosa segnala questo rapido “Rise and Fall” della criptomoneta di Facebook? Segnala che la guerra delle e tra le monete sta diventando un campo di battaglia durissimo e frontale nella competizione globale interimperialista del XXI Secolo.
“La nascita delle criptomonete da parte di Stati e di multinazionali, è un ulteriore tentativo di divincolarsi dagli attuali intrecci finanziari e monetari, per trovare nuovi spazi di crescita dei singoli soggetti privati e statuali. Questo intreccio pericoloso si è palesato nella crisi finanziaria del 2007 che si è velocemente propagata dagli USA a tutto il mondo” è scritto nel documento di convocazione del Forum su “Lo stallo degli imperialismi” che la Rete dei Comunisti ha organizzato a Roma per sabato 26 ottobre (ore 10.00 al centro congressi Cavour).
Ma la guerra delle monete configura ormai una competizione a tutto campo tra un numero crescente di Stati che intendono sganciarsi dall’egemonia del dollaro – e stanno agendo di conseguenza – e gli Stati Uniti che vorrebbero impedire con ogni mezzo il declino degli strumenti della loro egemonia globale durata quasi sessanta anni. Il ricorso ai dazi e alla guerra commerciale è il tentativo di rispondere al fatto che ormai solo il 40% dei pagamenti internazionali avviene ancora in dollari. Una moneta da anni non più ancorata a beni reali (oro, petrolio etc.) ma esclusivamente imposta al mondo su base “fiduciaria” – e garantita più dalla minaccia del Pentagono che dall’economia reale – viene rimessa pesantemente in discussione dai nuovi competitori emergenti: dalla Russia alla Cina, dall’Unione Europea a potenze regionali come Iran o Turchia, o da paesi apertamente antagonisti all’imperialismo Usa come il Venezuela.
È lo scenario da incubo che i Neocons statunitensi puntavano a scongiurare sin dal 1992 (riaffermato poi nel Project for New American Century nel 2000) e che invece si è via via delineato nelle relazioni internazionali del XXI Secolo, evidenziando quel declino Usa ampiamente intellegibile nella contraddittoria amministrazione Trump.
In passato situazioni come queste sono state affrontate con la guerra di cui ben ben due di dimensione mondiale. Oggi questa soluzione non è a portata di mano per nessuna potenza imperialista. La presenza e la diffusione di armamenti nucleari, pone ormai il rapporto tra costi e benefici di una guerra su un terreno non ragionevolmente quantificabile, se non quello della “alternativa del diavolo” descritta nel libro di Forsyth.
“Quello che si configura oggi, a nostro modo di vedere, è una situazione di stallo nei rapporti di forza internazionali che segnerà i prossimi anni, e che gli USA stanno vivendo come fine della loro egemonia globale alla quale intendono opporsi in tutti i modi, pena il declino e la fine del loro imperialismo come è avvenuto per l’Inghilterra nel secolo scorso” sottolinea il documento della RdC per la discussione nel Forum di sabato prossimo. “Uno scenario del tutto in contrasto con il sogno e il progetto del Nuovo Secolo Americano! Questa condizione di stallo sta inoltre producendo situazioni paradossali e contraddittorie”.
Siamo dunque dentro una crisi di sistema, quello capitalista, che non riesce a trovare vie d’uscita. Le vecchie sono impraticabili, le nuove stentano a delinearsi. È una situazione che rende di straordinaria pertinenza quanto scriveva Gramsci dal carcere indicando che: “La crisi appunto consiste nel fatto che il vecchio muore ma il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.
Ma la funzione delle soggettività rivoluzionarie non è certo quella dei meri osservatori di quanto accade. Se un sistema dominante è in crisi, una alternativa torna a rendersi necessaria. “Nonostante il discredito gettato quotidianamente dai nostri nemici di classe sulle nostre idee forza la situazione, per come si manifesta e per la dimensione che hanno assunto le contraddizioni, rivela tutto il peso dell’assenza di un’alternativa politica e statuale e pone dunque la necessità di una alternativa che non riusciamo ad esprimere con termini diversi da Socialismo e Comunismo” chiosa il documento della RdC che prepara il forum di sabato a Roma. Strada in salita sicuramente, ma non per questo da continuare a rimuovere dall’azione politica, sociale, sindacale e internazionale. Al contrario.
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