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21/10/2019

Il fiato corto del governo sulla manovra finanziaria

Un governo nato per prendere tempo non poteva che varare una legge di bilancio che si limitasse a prendere tempo.

Un governo, nato sotto l’egida dell’UE, con possibilità pressoché nulle di costruire attorno a sé un blocco sociale minimamente capace di indicare un orizzonte almeno di medio periodo, non poteva che varare una legge di bilancio dal fiato corto e senza alcuna prospettiva.

Sullo sfondo, poi, la recessione che coinvolge l’Eurozona (con l’oramai ex locomotiva tedesca con tassi di crescita prossimi allo zero) dà la misura del conclamato fallimento di un modello che ha puntato tutto sull’esportazione e quindi sulla svalutazione salariale, mortificando i consumi interni. Né le ricette messe in campo dalla BCE (quantitative easing, tassi di interesse negativi, ecc.) hanno sortito alcun risultato perché quelle misure non hanno scosso l’economia reale: non poteva essere diversamente, perchè per le imprese investire è sempre più rischioso considerato le basse aspettative di vendita, e le famiglie sono troppo impegnate a far quadrare i conti per considerare l’ipotesi di accedere a prestiti.

Sono queste le premesse dalle quali occorre partire per inquadrare il contesto politico dentro il quale si colloca la legge di bilancio (anzi per meglio dire le indiscrezioni circolate perché il testo ancora non è stato pubblicato) e il decreto fiscale che dovrebbe viaggiare in parallelo con la prima.

Uno scenario che presumibilmente dovrebbe indurre le istituzioni europee ad essere “generose”, accordando i 14,4 miliardi di flessibilità richiesti, al fine di scongiurare il rischio di aprire un’altra crepa nella costruzione di Maastricht.

Il risultato è una manovra scialba che, se non approfondisce quelle diseguaglianze sociali delle quali tutti parlano durante i talk show, senz’altro non le affronta, anzi le cristallizza rendendo palese l’unico margine di manovra possibile dentro la camicia di forza dell’Unione europea: un po’ di redistribuzione tra ceto medio e ceto basso, salvaguardando naturalmente i grossi profitti, e un welfare dei miserabili, residuale, con qualche elargizione caritatevole qua e là.

Insomma la risposta al crollo della domanda interna è rappresentata dalle solite misure tampone costituite da bonus di vario tipo, mentre emerge con forza la mancanza di interventi strutturali capaci di rilanciare i consumi e di delineare un orizzonte che vada oltre il consueto giorno per giorno.

Le cifre, d’altronde, già parlano chiaro: dei 31 miliardi della manovra circa 23 miliardi (ovvero il 75%) sono assorbiti per scongiurare l’aumento dell’Iva che, non a caso, è il grande risultato (insieme al taglio del cuneo fiscale) che il Governo prova a rivendersi a livello di comunicazione.

Per quanto riguarda le coperture, l’impianto della manovra si regge prevalentemente sulla flessibilità accordata dall’UE (14, 4 miliardi), sugli introiti della lotta all’evasione (scesi a 3,5 miliardi visto lo stop, almeno per ora, alle entrate aggiuntive che sarebbero dovute derivare spostando alcuni beni da una aliquota Iva ad un’altra), un po’ di spendig review giusto per non perdere l’abitudine, alcune misure su detrazioni e deduzioni ed un trucco contabile dell’ultima ora del valore di 3 miliardi che consentirebbe, al fine di assicurare le coperture, di conteggiare al 2020, anziché al 2019, i versamenti di partite Iva e forfettari previsti per fine ottobre e metà novembre di quest’anno.

Con un impianto di questo tipo, non resta che affidarsi alla propaganda.

E così la sterilizzazione degli aumenti dell’IVA (che nel nostro paese è già leggermente sopra la media degli altri paesi UE) diventa nella comunicazione sinonimo di riduzione delle tasse, anche se tale imposta resta stabile con tutta l’iniquità e la natura regressiva che la caratterizza.

Sul fronte “espansione” il piatto forte sarebbe rappresentato dal taglio del cuneo fiscale con 3 miliardi per il 2020 e 5,5 per il 2021. A parte il giochetto di far partire la misura dal 1 luglio 2020, al fine di risparmiare risorse, la platea dei destinatari riguarderebbe i percettori di redditi fino a 35.000 euro (esclusi gli incapienti).

In particolare per i percettori di redditi fino a 26.000 euro di fatto si riconferma il bonus Renzi mentre dal taglio del cuneo fiscale beneficeranno di 40 – 50 euro annui.

Per i percettori di redditi da 26.000 euro a 35.000 euro il vantaggio ammonterà nel 2020 a circa 50 euro mensili in più in busta paga che dovrebbero raddoppiare nel 2021.

Quello che emerge, e che poi caratterizza tutta la manovra, è però ciò che manca: la questione salariale andrebbe affrontata a monte anche con una riforma della tassazione che alleggerisca il carico fiscale sui redditi medio bassi e lo inasprisca sui redditi alti in modo da intervenire in maniera strutturale e non affidandosi a provvedimenti tampone che oggi ci sono e domani non si sa.

Dal punto di vista delle politiche fiscali, materia sulla quale si concentrano le maggiori tensioni all’interno della compagine governativa, si prova a trasmettere l’idea di un governo inflessibile con gli evasori. Nel decreto fiscale, oltre la stretta sulle compensazioni, il contrasto delle frodi nel settore del carburante e l’imposta digitale, il piatto forte si basa sull’effetto taumaturgico affidato alla c.d. lotta al contante con l’abbassamento delle soglie per il pagamento cash da 3.000 euro a 2.000 per il 2020 e 2021 e poi 1.000 euro nel 2022 (misura non gradita a Di Maio e Renzi); con le sanzioni per i commercianti e gli esercenti che non accetteranno i pagamenti in moneta elettronica; con la lotteria degli scontrini.

La realizzazione, grazie a tali misure, degli introiti preventivati attiene per ora alla sfera dei desideri perché non è possibile alcuna proiezione attendibile sulle entrate.

Ma anche qualora dovessero essere confermati gli introiti desiderati, è evidente che la lotta al contante non scalfisce minimamente la grande evasione che potrà continuare a dormire sonni tranquilli: le grandi aziende, l’evasione delle quali per entità supera di 16 volte la piccola evasione come attesta un recente rapporto della CGIA di Mestre, hanno studiato nel corso degli anni strumenti ben più raffinati dell’uso del contante per aggirare il fisco, anche sfruttando i buchi della legge.

Né può essere considerata garanzia di lotta alla grande evasione la misura dell’innalzamento delle pene per alcuni reati tributari, tanto cara al premier Conte e al M5S ma osteggiata da Renzi e tiepidamente accolta dal PD.

Con un organico di ispettori del fisco che nel corso degli anni ha subito una forte contrazione, non solo nessun evasore andrà in galera nemmeno per un’ora, ma potrà continuare a non pagare le tasse facendo affidamento sulla scarsa possibilità di essere sottoposto a controllo.

Ed anche qui la mancanza di un massiccio piano di assunzioni, unitamente alla mancanza di un intervento complessivo sul nostro sistema fiscale che riaffermi la natura fortemente progressiva del Fisco, hanno prodotto interventi tampone che non scalfiscono quelle diseguaglianze che una vera lotta all’evasione e una tassazione equa e progressiva dovrebbe invece attenuare.

Le altre misure previste non invertono la traiettoria della manovra: dal pacchetto famiglia, allo sconto sui ticket sanitari (e ci mancherebbe!), dal solito pacchetto fiscale per le imprese, ad un po' di verniciatura “green”, fino allo stanziamento per i rinnovi contrattuali del settore pubblico, la cui entità è da verificare ma che già si prospettano insufficienti dopo anni di blocco contrattuale e considerata la necessità di investire risorse nell’ordinamento professionale, materia che era stata espunta nell’ultimo CCNL sottoscritto dalle O.S. complici.

Vedremo quali elementi nuovi interverranno durante l’iter di approvazione della manovra, tra contese all’interno della compagine governativa ed eventuali suggerimenti da parte della Commissione europea, ma la strada è tracciata.

Se questa è la legge di bilancio “morbida” con la quale Bruxelles consentirebbe al governo di sua diretta emanazione una partenza non in salita, non c’è nulla di cui rallegrarsi per il futuro con il quadro economico destinato inevitabilmente ad aggravarsi.

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