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19/10/2019

La “lotta all’evasione” affidata agli evasori professionali

Governare l’Italia non è facile, lo ammettiamo. Ma certe fesserie bisognerebbe evitarsele...

Nella bozza di decreto fiscale (approvato “salvo intese” diverse e successive, quindi altamente ballerino) il governo ha inserito alcune norme che dovrebbero essere anti-evasione.

La prima e più strombazzata è il “carcere agli evasori”, visto che l’articolo 54 sui reati tributari alza da sei a otto anni la reclusione prevista per chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

Si potrebbe obiettare che anche sei non sarebbero pochi, se si fosse mai messo un vero “grande evasore” in galera. Purtroppo questo non accade perché “i controlli” sui big sono sempre molto laschi, la corruzione va alla grande (anche dei “controllori”), e chi ha molti soldi in genere ha anche ottimi avvocati... Ma tant’è.

Non è passata la sanzione della confisca dei beni “per sproporzione”, come avviene nel caso di sequestro dei beni ai mafiosi; al massimo “si andrà in paro”. In questo c’è una logica (equiparare l’evasione fiscale ai reti di mafia, in effetti, era decisamente hard), ma è chiaro che sono entrati in azione numerosi pompieri incaricati di proteggere evasori abituali alquanto vicini ai parlamentari di tutti i partiti.

La seconda, invece, è assai meno importante, ma cade decisamente nel momento sbagliato. Si aggiorna infatti il percorso di abbassamento del tetto al pagamento in contanti: si parla di un limite a 2 mila euro per due anni, poi giù a quota mille euro (dai 3 mila attuali). Mentre non si capisce se entrerà in funzione o meno il meccanismo “premiale” per l’uso delle carte di credito negli acquisti quotidiani, con l’allucinante metodo della “lotteria” (che, come minimo, non garantisce affatto il consumatore, ma solo le banche e l’erario).

Il problema sociale è infatti l’entità delle commissioni che bisogna pagare al gestore della carta di credito (la banca) ogni volta che viene usata. Ovvio che con il contante ognuno paga il prezzo della merce che acquista e basta; mentre con la carta deve anche aggiungere un sovrapprezzo percentuale che va all’istituto di credito.

L’obiettivo del contrasto alla mini-evasione fiscale di alcune categorie molto “popolari” (idraulici, autofficine, negozianti al dettaglio, elettricisti, ecc.) è palesemente meno rilevante dell’aggravio che viene imposto ai consumatori, con l’effetto di frenare consumi già scarsi a causa dei salari bassi.

Soprattutto, è evidente anche ai ciechi che si tratta dell’ennesimo regalo alle banche, che vedranno crescere gli introiti senza muovere un dito né offrire alcun servizio aggiuntivo (i pagamenti Pos sono completamente informatizzati e dunque non costano nulla alla banca, una volta “caricata” la carta).

Il che sarebbe già insopportabile, se il caso non ci avesse messo lo zampino con uno scandalo ulteriore.

Il quotidiano di Confindustria, IlSole24Ore, è stato infatti costretto a dare una notizia ferale: “Più di 55 miliardi di euro sarebbero stati sottratti al Fisco di diversi paesi europei nell’arco di 15 anni attraverso un gigantesco meccanismo di evasione fiscale legato alla compravendita di azioni di società quotate.”

L’indagine è in corso in Germania e investe decine di broker, avvocati d’affari, società di revisione (quelle che dovrebbero garantire la “correttezza dei bilanci”, ecc.), e soprattutto molte delle più grandi banche europee e non solo (Santander, Barclays, Goldman Sachs, Bank of America, Macquarie Group, Bnp Paribas, Société Générale, Crédit Agricole e HypoVereinsbank del gruppo Unicredit).

Il meccanismo è particolarmente contorto, come si conviene per operazioni finanziarie spericolate:
“Il meccanismo fiscale sotto la lente dei magistrati tedeschi si basa sulla compravendita di azioni nel periodo imminente allo stacco del dividendo e sul rimborso fiscale della tassa sui guadagni di capitale. Un meccanismo complesso e sofisticato.

Le attività di arbitraggio dei dividendi hanno una lunga tradizione. Sono operazioni che hanno l’obiettivo di trasferire temporaneamente la proprietà delle azioni a terzi per ridurre le imposte pagate per la riscossione degli stessi dividendi.

Ma le strategie “cum-ex” vanno oltre. Si basano sulla restituzione dell’imposta sui guadagni sul capitale che vengono applicati ai dividendi, anche se queste imposte non sono mai state pagate.

In un’operazione cum-ex, per esempio, un fondo di investimento incarica un broker o una banca d’investimento di acquistare azioni di una società quotata alla vigilia del pagamento del dividendo. Questi titoli sono acquistati da un venditore breve o corto, che cioè non possiede effettivamente le azioni al momento della vendita.”
Vi siete persi? È comprensibile. In pratica un “operatore” vende titoli che non ha prima che quei titoli perdano parte del loro valore perché devono “pagare la cedola” annuale agli azionisti. E su quelle operazioni non pagano tasse...

Fin qui saremmo addirittura nella normalità e quindi nella legalità delle operazioni finanziarie (sono ammesse, entro certi limiti, “vendite allo scoperto”).

Ovviamente questa masnada di truffatori legalizzati ha fatto di peggio:
“Lo schema su cui la procura di Colonia indaga utilizzava fondi di investimento o pensioni esteri – quindi al di fuori della Germania – che avevano diritto a restituzioni totali o parziali di imposte sul reddito da capitale grazie ad accordi fiscali che i paesi in cui i fondi erano domiciliati avevano firmato con la Germania. Ad esempio, fondi pensione americani.

Le operazioni di compravendita normalmente non vengono registrate nello stesso momento in cui vengono ordinate, ma diversi giorni lavorativi dopo. Ciò significa che se il fondo di investimento dava l’ordine di acquistare i titoli di una società alla vigilia dello stacco del dividendo, quando riceveva le azioni il pagamento della cedola era già avvenuto e quindi il valore delle stesse azioni era diminuito (”ex dividendo”, senza dividendo).

Ma quando il fondo di investimento aveva ordinato l’acquisto dei titoli, le azioni avevano il valore del dividendo incorporato (”cum dividend”, con dividendo). Pertanto, il venditore delle azioni era obbligato a risarcire il fondo di investimento con un pagamento equivalente al dividendo.

Il pagamento compensativo era soggetto alle stesse imposte come il dividendo originale ma in questo caso l’obbligo di trattenere l’imposta sul guadagno di capitale spettava alla banca che vendeva i titoli. E qui scattava lo stratagemma giuridico che – secondo la procura di Colonia era alla base del meccanismo di evasione fiscale –: se la banca era domiciliata fuori dalla Germania, non aveva alcun obbligo di applicare le ritenute fiscali.

Nonostante questo, il fondo d’investimento della banca che aveva acquisito le azioni e aveva ricevuto il pagamento compensativo poteva rilasciare un certificato che attestava che le deduzioni erano state pagate al Fisco tedesco. Questo certificato concedeva il diritto di richiedere alle autorità fiscali della Germania il rimborso di una tassa mai pagata.”
IlSole, giustamente, entra anche in dettagli più tecnici. E naturalmente dobbiamo sapere che questo “trucchetto” è solo uno degli infiniti giochi delle tre carte possibili per un “investitore professionale”.

Ma a noi basta sapere che la cosiddetta “lotta all’evasione fiscale” tramite la riduzione del contante utilizzabile e il pagamento con carta di credito sarebbe di fatto così affidata – a pagamento dei cittadini-consumatori, che devono versare una commissione per ogni acquisto – a una banda internazionale di evasori fiscali!

L’idraulico e il meccanico rischieranno grosso, i consumatori verranno spennati ancora un po’ e gli evasori di taglia immensa potranno moltiplicare le loro entrate.

Geniale davvero!

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