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18/10/2019

Siria - L'invasione turca spacca il fornte anti Assad

di Michele Giorgio

Il presidente siriano Bashar Assad ieri ha ribadito che la Siria contrasterà l’offensiva turca «su tutto il territorio e con ogni mezzo legittimo». Parole forti che tuttavia non indicano necessariamente il desiderio di andare allo scontro militare con Ankara, anzi.

Ad Assad conviene molto di più lasciar fare alla diplomazia russa e trarre vantaggio dallo sdegno globale provocato dall’attacco di Erdogan all’Amministrazione Autonoma curda del Rojava. Lunedì senza sparare un colpo l’esercito siriano ha fatto ingresso nelle città di Manbij e di Taqba e successivamente a Kobane, rientrando in territori che Damasco non controllava più da anni. Per Assad i frutti migliori sono quelli politici. I curdi non fanno salti di gioia ma ora sono suoi alleati. Abbandonati dai falsi amici americani dovranno cercare con lui e la Russia una via d’uscita.

«Non credo di sbagliare affermando che, purtroppo per i curdi, l’Amministrazione Autonoma del Rojava sia già parte del passato e mi riesce difficile, a meno di sconvolgimenti eccezionali, che possa rinascere nella forma che abbiamo conosciuto», ci dice l’analista Mouin Rabbani.
«Quella realtà politica e amministrativa – aggiunge – si sosteneva grazie all’appoggio di Washington. In futuro i curdi potranno intavolare trattative con il governo centrale, ma Damasco non andrà oltre i temi in discussione prima del 2011, come il possibile riconoscimento dell’identità culturale e linguistica e la questione della cittadinanza. Magari sarà trovata una formula per una autogestione curda in determinate aree ma il governo non cederà sul principio dell’integrità del territorio nazionale».

Ankara senza volerlo ha rafforzato Bashar Assad nel confronto con l’opposizione siriana – la Coalizione nazionale della rivoluzione siriana e delle forze di opposizione (Snc, sotto l’ala turca) – che ha visto crollare la sua immagine internazionale. La sua milizia, l’Esercito nazionale (Ens, già Esercito siriano libero) che combatte per Erdogan, si è rivelata per quello che è sempre stata e che l’Occidente fingeva di non vedere: un’accozzaglia di gruppi mercenari – alcuni di chiara ispirazione jihadista – che si tengono insieme grazie ai soldi e alle armi che ricevono dalla Turchia e che sono responsabili di atrocità e rappresaglie.

Sul piano politico il caos nell’opposizione è totale. Traditi dagli americani e disgustati dal giubilo dei loro compagni di schieramento per l’inizio dell’offensiva turca contro «i terroristi», il Partito curdo del Futuro ha chiesto che la rappresentanza curda sospenda subito la sua partecipazione alla Snc. La frattura al momento è insanabile. Com’era prevedibile, i Fratelli musulmani siriani, legati all’Akp di Erdogan (e ai finanziamenti del Qatar), hanno gioiosamente sostenuto l’attacco turco che, dicono, «fa gli interessi della rivoluzione siriana e dei fratelli turchi nella lotta al terrorismo». Per gli islamisti, la campagna militare non prenderebbe di mira i curdi siriani (sic) ma solo «le milizie separatiste e terroriste».

Ma quasi tutta la Snc applaude ad Erdogan e ha già invitato il «suo governo, i suoi ministeri e le sue direzioni a prepararsi a lavorare in qualsiasi area liberata». Proclami che hanno convinto il Consiglio nazionale curdo, che rappresenta 13 partiti, a sospendere l’adesione alla Snc. Ad allargare la frattura interna c’è inoltre la secca condanna dell’aggressione turca espressa dal Comitato di coordinamento nazionale per il cambiamento democratico (Ncc), che rappresenta gli oppositori di Bashar Assad in Siria.

Quanto tutto ciò influirà sui lavori del comitato chiamato a scrivere la nuova costituzione siriana – composto da rappresentanti del governo, dell’opposizione e da indipendenti, dovrebbe riunirsi a fine mese a Ginevra – è difficile valutarlo. Poco secondo Mouin Rabbani. «I curdi  – spiega l’analista – non ne fanno parte perché erano stati esclusi su pressione di Erdogan e comunque la Russia eviterà che l’iniziativa possa saltare del tutto». Allo stesso tempo, aggiunge Rabbani, «il successo del comitato costituzionale non è affatto garantito».

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