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14/10/2019

Condanne pesanti per i leader indipentisti della Catalogna

La Corte Suprema ha condannato l’ex vice presidente del Generalitat catalana, Oriol Junqueras, a 13 anni di carcere e 13 di interdizione assoluta per i reati di “sedizione” e “malversazione” in concorso con altri. L’accusa aveva chiesto 25 anni per “ribellione”, per aver cercato di proclamare l’indipendenza della Catalogna “al di fuori dei canali legali”.

Accusa sorprendente, visto che il “reato” sarebbe stato commesso convocando un referendum popolare – osteggiato con la forza dallo Stato centrale, ma egualmente vinto. Se neanche con il voto si possono cambiare “legalmente” le cose, quali mezzi resteranno mai considerati tali?

La sentenza ha riconosciuto Junqueras responsabile della convocazione e dello svolgimento del referendum, nonostante l’esplicito divieto da parte della Corte suprema, e il tentativo di proclamare la Repubblica Catalana, dopo che il governo spagnolo ha fatto scattare l’articolo 155 della Costituzione, che ha poi fornito la base legale per il processo.

La Procura, durante il processo, ha affermato che a Junqueras e gli altri imputati “non era più sufficiente la disobbedienza e la legislazione parallela”, ma piuttosto “era necessario opporsi – con tutti i mezzi a loro disposizione, inclusa la violenza in un caso estremo – all’esecuzione delle ordinanze giudiziarie volte a rendere impossibile lo svolgimento del referendum dichiarato incostituzionale e da cui dipendeva la dichiarazione di indipendenza”.

Il ministero pubblico ha considerato Junqueras come coordinatore generale di tutta la pianificazione e l’organizzazione del referendum. Lo ha anche accusato di aver realizzato ripetuti appelli pubblici a votare, pur essendo “pienamente consapevole dell’illegalità del processo di secessione che stavano promuovendo, della palese illegalità dell’iniziativa referendaria e dell’altissima probabilità di incidenti violenti”.

Sia all’inizio del processo, durante il suo interrogatorio, sia nella parte finale, durante l’ultimo turno di parole, il leader del Esquerra Republicana (Cer) si è difeso da “prigioniero politico”.

“Sono accusato per le mie idee e non per le mie azioni. Sono in un processo politico, non risponderò alle domande dell’accusa. Sono stato destituito con l’applicazione dell’articolo 155 e al momento mi considero un prigioniero politico”.

Oriol Junqueras è stato difeso dall’avvocato Andreu Van den Eynde, che ha detto nella sua arringa finale che il processo era stato il prodotto di una “causa politica generale”, dove sono stati perseguiti i leader dell’indipendenza solo per mandarli in prigione. “Questo processo è un’opportunità per riportare la palla in politica”, ha detto l’avvocato.

Prima di abbassare il sipario, l’ex vicepresidente catalano ha usato il suo turno dell’ultimo minuto per insistere sull’idea di “riportare la questione nel campo della politica, della buona politica“. Ha concluso ricordando le sue convinzioni pacifiche, repubblicane e cristiane; convinzioni che condivide con quanti credono che “votare non può essere un crimine“.

Per gli stessi reati, gli ex consiglieri regionali Raül Romeva, Jordi Turull e Dolors Bassa sono stati condannati a 12 anni. Per l’ex presidente del parlamento, Carme Forcadell, la pena inflitta dal tribunale è stata di 11 anni e mezzo di reclusione solo per “sedizione”. Lo stesso reato per il quale Joaquin Forn e Josep Rull sono stati condannati a 10 anni e sei mesi. Per l’ex leader dell’ANC Jordi Sànchez e il presidente di Òmium Cultural, Jordi Cuixart, la pena è di 9 anni.

Questa è la Spagna “democratica”, ora guidata da un “socialista” e non più dall’ex franchista Rajoy; nella “democraticissima” Unione Europea, che non ha sollevato fin qui una sola obbiezione contro il primo processo politico ordito contro rappresentanti popolari legalmente eletti e che avevano cercato di realizzare il mandato degli elettori con mezzi esclusivamente pacifici.

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