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17/11/2019

Mose, Ilva e Alitalia. Paolo Maddalena: "Gli italiani devono ora rendersi conto quanto disastrose sono state le privatizzazioni"

di Paolo Maddalena

Il disastro delle privatizzazioni si sta rivelando oggi in tutta la sua gravità. Lo Stato ha ceduto ai privati le sue fonti di produzione di ricchezza nazionale e non ha più fondi in bilancio per far fronte alle esigenze attuali, che richiedono un intervento pubblico per salvare l’Ilva e Alitalia e per ultimare la realizzazione del Mose a Venezia.

Per quest’ultima sono stati già spesi 7 miliardi, molti dei quali sono stati dissipati con elargizioni da parte della società Venezia Nuova a soggetti di vario tipo e con il pagamento di numerose tangenti.

Ora Venezia è sommersa dall’acqua e il Mose non è in grado di funzionare. Abbiamo la dimostrazione concreta di quanto dannosa sia stata per la collettività, la privatizzazione delle opere pubbliche.

Il governo ha nominato commissario straordinario Elisabetta Spitz, la quale tra il 2000 e il 2008, come capo dell’Agenzia del Demanio, diresse la cartolarizzazione, cosiddette Scip1 e Scip2, relativa alla vendita di immobili pubblici del valore di 15 miliardi.

Scip1 fruttò, su un valore di 5 miliardi solo 1,7 miliardi, Scip2, relativa alla vendita di immobili per un valore di 10 miliardi, fu un completo disastro e non si sa quanto è costata alla collettività. Speriamo che oggi la Spitz sappia far meglio per quanto riguarda il Mose.

Altro effetto negativo è stato quello della privatizzazione dell’Ilva, passata dallo Stato alla famiglia Riva, e oggi ad ArcelorMittal, la quale, come è noto, ha deciso di recedere dalla sua posizione e sta per spegnere, tra dicembre e metà gennaio, tutti gli alti forni, gettando sul lastrico circa 12000 lavoratori. E a questo proposito c’è da ricordare che per riaccendere quegli alti forni occorrono almeno 10 mesi.

Oggi lo Stato, che una volta era padrone dell’Ilva, prega col cappello in mano ArcelorMittal di rispettare il contratto. Cosa che questa azienda certamente non farà.

Altro capitolo disastroso è quello di Alitalia, una volta in proprietà dello Stato e oggi alla mercé di aziende speculatrici, le quali per entrare a far parte della nostra compagnia pretendono di ridimensionare il numero degli aerei attualmente in funzione e di licenziare 3500 lavoratori.

Si distingue in questa azione negativa nei nostri confronti soprattutto la compagnia americana Delta, la quale, con appena 100 milioni sul tavolo, pretende di agire da padrona.

L’Italia, come si vede, è mesa con le spalle al muro, e questo è il frutto di una scelta improvvida e disastrosa, fatta dai nostri governanti dagli anni ’90 in poi.

È inutile piangere sul latte versato, ma è assolutamente necessario che gli italiani si rendano conto di quanto disastrosa sia stata l’azione dei nostri governi.

Si oppone all’azione governativa anche l’Europa, la quale impedisce gli aiuti di Stato e rende ancor più difficoltosa la soluzione di questa drammatica situazione.

In questo quadro l’Italia è destinata a soccombere e il prossimo futuro sarà quello di una dilagante miseria generale.

La causa di tutto, come più volte abbiamo ripetuto, sta nell’aver aderito al sistema economico predatorio neoliberista, voluto quasi unanimemente da illustri professori di economia, distruggendo con numerosissime leggi incostituzionali il precedente sistema economico produttivo di stampo keynesiano sancito dalla nostra Costituzione.

Salvare l’Italia dal punto di vista economico è oggi un’impresa assai ardua.

Ma chi intende farlo deve tener presente che occorre combattere con tutti i mezzi giuridici a nostra disposizione l’attuale sistema economico predatorio neoliberista, nonché l’atteggiamento dell’Europa, che ci impone proprio in virtù dell’attuazione di quel sistema predatorio, una insostenibile austerità che rende impossibile un’azione politica di sviluppo economico.

L’unico elemento di forza che abbiamo è quello di attuare la nostra Costituzione economica, facendola prevalere anche nei confronti dell’Europa, in virtù del principio dei contro-limiti, sempre asserito dalla nostre Corte costituzionale.

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