Come nei migliori matrimoni d’interesse, chi porta in dote le risorse più importanti comanda, ed è esattamente ciò che sta avvenendo nella fusione tra FCA e PSA.
PSA si è presentata con 15 anni di lavoro di ricerca e sviluppo sulle motorizzazioni elettriche alle spalle e ben quattro vetture nella top ten delle auto elettriche più vendute al mondo, e per questo ha dettato le sue regole a FCA.
Il gruppo francese ha chiesto e ottenuto di mettere un suo uomo al comando della nuova società e la maggioranza al consiglio di amministrazione (6 componenti a 5) mentre all’azienda italiana andrà la presidenza, che in termini decisionali vale più o meno quanto il due a briscola.
L’enorme ritardo sulle motorizzazioni elettriche da parte di FCA rispetto a quasi tutte le altre case costruttrici aveva creato un gap incolmabile nel mercato dell’auto "ecosostenibile", ed è questo ritardo che ha spinto l’azienda italo-americana a cercare forsennatamente un partner che potesse venirle in soccorso.
FCA ci aveva provato con altri gruppi, l’ultimo in ordine di tempo Renault, senza successo.
Dopo tanto girovagare, finalmente sembra essere riuscita a trovare un alleato, ma a che prezzo? E soprattutto chi ne pagherà le conseguenze?
In una lettera congiunta PSA ed FCA ribadiscono la volontà di tenere aperti tutti i siti di produzione, che non significa assolutamente piena occupazione, nella stessa lettera, all’ultimo punto, scrivono che non possono garantire gli impegni presi nei punti precedenti, come dire ” qui lo dico e qui lo nego”, se queste sono le premesse iniziamo malissimo.
Quando due grandi aziende si fondono, la prima cosa che si fa per “ottimizzare” le risorse è tagliare i doppioni, ed è esattamente ciò che PSA e FCA faranno; quando si parla di case automobilistiche i doppioni sono interi stabilimenti.
Considerando che FCA in questi anni ha portato gli stabilimenti italiani in uno stato di crisi strutturale mentre quelli PSA sono produttivi, è chiaro che i primi a pagare il prezzo di questa “ottimizzazione” di risorse saranno i lavoratori italiani.
USB denuncia il comportamento di FCA, che prima di allearsi ha pensato bene di approvare con gli azionisti un dividendo di circa 5 miliardi, di cui 1,7 alla famiglia Agnelli, pensando “bene” di spartirsi il malloppo prima di doverlo dividere con i nuovi alleati.
USB prende atto delle differenti prese di posizione dei governi interessati, se dalla parte francese le massime istituzioni sono parte attiva e decisionale nel settore auto, e quindi in questa alleanza, da quella italiana c’è la solita incondizionata fiducia nei padroni, in questo caso FCA, e distanza dalle preoccupazioni dei lavoratori.
Governi italiani che, a differenza di quelli francesi, nella lunga storia dell’auto hanno sempre e soltanto assecondato le sciagurate strategie del padrone, arrivando a finanziare interi impianti produttivi, ammortizzatori sociali per tempi infiniti e rottamazioni su rottamazioni, senza mai chiederne il conto, lasciando i lavoratori FCA in condizioni di sfruttamento lavorativo ed economico inaccettabili, governi che nemmeno di fronte ai morti in fabbrica e ai suicidi per disperazione si sono messi dalla parte degli sfruttati.
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