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05/01/2020

Chi è sovrano, il popolo o il mercato?

Giornali, telegiornali e talk show sono ormai zeppi di termini opachi, ubiqui e stereotipati, sui quali non si riflette praticamente mai e la cui analisi viene programmaticamente evitata. Questo accade perché, nel vocabolario del giornalismo politico, esistono quasi solo espressioni anodine che, lungi dall’indicare realtà fattuali, servono semplicemente da epiteti classificatori, atti ad etichettare, delegittimare o insultare l’altra parte politica in un’ottica da tifoseria calcistica.

Tutto ciò non è del tutto in contraddizione con la realtà dei fatti, in quanto la stragrande maggioranza delle forze politiche ha ormai accettato da decenni un paradigma dominante che consente solamente scostamenti poco più che nominalistici sulle questioni reali, lasciando, invece, un’ampia libertà sulle questioni secondarie. Ogni partita si gioca semplicemente in base alle regole del mercato a ogni livello, la sola libertà rimasta consiste nel poter cambiare maglia e campo.

I termini indubbiamente più equivoci e pervasivi degli ultimi anni sono “sovranismo” e “populismo”. Si tratta di concetti utilizzati in modo talmente generico e con tale sciatteria da essere sostanzialmente adattabili a tutti gli attori e a ogni schieramento politico, a seconda della bisogna.

In particolare, l’epiteto sovranista viene riservato a chiunque pretenda di porre limiti allo strapotere del libero mercato o alla circolazione di merci e capitali. Diversa la faccenda per la circolazione degli esseri umani: se sono ricchi, non c’è nessun problema di libera circolazione, se sono poveri, al contrario, serve sempre una “regolamentazione” e una doverosa difesa dei confini o dello stile di vita occidentale, europeo, nazionale.

Liberismo, dittatura di classe e razzismo, “ragionevolmente moderato” e in tutte le più varie sfumature, sono ormai i soli ingredienti del discorso politico mainstream.

Per andare al dunque, bisogna però porsi almeno due domande. Cosa significa sovranità? Chi è sovrano?

Com’è noto, origine e significato del termine nacquero con lo Stato moderno, nel cuore delle lotte tra fazioni politico – religiose che dilaniarono la Francia cinquecentesca. Il giurista Jean Bodin, mosso dall’esigenza di un ordinamento legittimo, superiore alle fazioni e in grado di riportare la pace politica e sociale, teorizzò la necessità di un’istituzione sovraordinata, superiore in termini di legittimità e potere, rispetto alle parti in lotta.

Sovrano è, per Bodin, “quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”. Segue che “chi è sovrano, insomma, non deve essere in alcun modo soggetto al comando altrui, e deve poter dare la legge ai su­dditi e cancellare o annullare le parole inutili in essa per sostituirne altre, cosa che non può fare chi è soggetto alle leggi o a persone che esercitino potere su di lui.”1

Nei secoli successivi, a seguito delle rivoluzioni borghesi e con l’ascesa delle classi popolari, la filosofia politica moderna ha poi trasferito sempre più la sovranità al corpo politico democratico, sancendo così la nascita di un soggetto collettivo agente nell’interesse del bene comune. La battaglia, da allora in avanti, si è spostata sulla questione del chi avesse diritto a far parte del popolo e a rappresentarne le istanze: tutti, i più abbienti, gli sfruttati, i soli maschi ecc.

Questa dialettica si è protratta per quasi tutto il '900, arrestandosi con l’avvento del neoliberismo. A partire dagli anni '80, infatti, si è teorizzata la scomparsa di ogni entità collettiva: popolo, società, corpi intermedi, a tutto vantaggio del “libero gioco” tra i soli individui.

Tale discorso è diventato egemonico e ha marcato di sé gli ultimi decenni della storia recente, indubbiamente favorito dal crollo delle democrazie popolari del blocco sovietico. Coerentemente con tale sviluppo, le istituzioni, a partire dagli anni '90, sono state modellate dal capitalismo neoliberista, uscito vincitore dallo scontro geopolitico con il socialismo reale.

È questo il contesto a partire dal quale è stata ridisegnata la sovranità statuale a tutti i livelli, dalle guerre d’ingerenza “umanitaria”, alle varie “missioni di pace”, per giungere, infine, alle “riforme” strutturali (privatizzazioni, tagli dei diritti sociali e del welfare) e ai “salvataggi” finanziari dei vari Stati.

In tutti i casi, il controllo politico ed economico ha visto il prevalere delle istituzioni transnazionali a danno delle varie forme di sovranità popolare e statuale. I beni comuni e le risorse pubbliche sono infatti occasioni di profitto troppo ghiotte per lasciarle controllare e gestire a governi e parlamenti eletti e realmente rispondenti a opinioni pubbliche ondivaghe e imprevedibili.

Popolo e sovranità, nell’epoca del neoliberismo, della centralizzazione dei mezzi di produzione e della ristrutturazione capitalistica di intere aree geopolitiche, hanno pertanto assunto un’accezione negativa, in quanto forme di potere promananti dal basso e in potenziale concorrenza con l’assoluta primazia del capitale e del mercato. Agenzie quali NATO, Commissione UE, Eurogruppo, BCE o FMI sono, da questo punto di vista, entità assolutamente omogenee: il loro significato risiede nel depotenziamento di qualsivoglia forma di controllo a sovranità democratica, in ambito politico, economico o finanziario.

In quest’ottica, la costruzione dell’UE è l’emblema, a noi più vicino, di una dittatura di classe delle élite borghesi, poggiante su una serie di trattati che servono a depotenziare le istituzioni e le costituzioni democratiche sorte nel secondo dopoguerra, costituzioni che, per qualche decennio, hanno consentito un reale controllo democratico, almeno a livello di spesa pubblica e di ridistribuzione della ricchezza.

La logica, ormai invalsa dentro i confini dell’UE, consiste nel passaggio dalla decisione politica e parlamentare sovrana alla semplice ratifica di decisioni politiche prese altrove (il caso del MES è, a tal proposito, più che emblematico).

La sostituzione del principio di rappresentanza con quello della semplice rappresentazione è di fatto sostanzialmente operante in tutti i parlamenti continentali che devono sottostare alle direttive e ai vincoli europei, oltreché alle oscillazioni dei mercati.

Nel contesto appena descritto, si comprende perché le istituzioni elitarie transazionali vivano come autentica “crisi” ogni forma di elezione potenzialmente difforme dai canoni consentiti, per non parlare poi delle consultazioni referendarie, vissute dalle classi dirigenti comunitarie e dagli ambienti finanziari come autentici traumi nella costruzione della gabbia politica ed economica europea.

Dalla bocciatura della Costituzione europea da parte di francesi e olandesi, alla recente Brexit, passando attraverso il referendum greco contro la Troika e la pronuncia del popolo italiano contro il cambiamento della Costituzione, ogni passaggio di democrazia diretta è stato profondamente avversato dalle istituzioni comunitarie e finanziarie.

Ciò è accaduto perché la sovranità popolare è, per antonomasia, l’elemento perturbatore che può contribuire a mandare in frantumi l’architettura del dominio di classe dall’alto costruito negli ultimi decenni. Bisogna scegliere: sovranità del mercato o controllo popolare.

Riaffermare il principio della sovranità democratica e del controllo popolare, a ogni livello, è il primo passo da compiere per ridare fiducia e coscienza di sé alle classi popolari e rappresenta una via obbligata per invertire finalmente la rotta, restituendo una prospettiva politica di reale cambiamento a tutti coloro che hanno perso il diritto di contare e di decidere del proprio destino.

Note:

1 Jean Bodin, I sei libri dello Stato

Fonte

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