di Manlio Dinucci
il manifesto 9 gennaio 2020
L’assassinio
del generale iraniano Soleimani autorizzato dal presidente Trump ha
messo in moto una reazione a catena che si propaga al di là della
regione mediorientale. Ciò era nelle intenzioni di chi ha deciso tale
atto. Soleimani era da tempo nel mirino Usa, ma i presidenti Bush e
Obama non avevano autorizzato la sua uccisione. Perché lo ha fatto il
presidente Trump? Vi sono vari motivi, tra cui l’interesse personale del
presidente di salvarsi dall’impeachment presentandosi quale strenuo
difensore dell’America di fronte a un minaccioso nemico. Il
motivo fondamentale della decisione di assassinare Soleimani, presa
nello Stato profondo prima che alla Casa Bianca, va però ricercato in un
fattore che è divenuto critico per gli interessi statunitensi solo
negli ultimi anni: la crescente presenza economica cinese in Iran.
L’Iran
ha un ruolo di primaria importanza nella Nuova Via della Seta varata da
Pechino nel 2013, in fase avanzata di realizzazione: essa consiste in
una rete viaria e ferroviaria tra la Cina e l’Europa attraverso l’Asia
Centrale, il Medio Oriente e la Russia, abbinata a una via marittima
attraverso l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mediterraneo. Per le
infrastrutture viarie, ferroviarie e portuali in oltre 60 paesi sono
previsti investimenti per oltre 1.000 miliardi di dollari.
In
tale quadro la Cina sta effettuando in Iran investimenti per circa 400
miliardi di dollari: 280 nell’industria petrolifera, gasiera e
petrolchimica; 120 nelle infrastrutture dei trasporti, compresi
oleodotti e gasdotti. Si prevede che tali investimenti, effettuati in un
periodo quinquennale, saranno successivamente rinnovati.
Nel
settore energetico la China National Petroleum Corporation, società di
proprietà statale, ha ricevuto dal governo iraniano un contratto per lo
sviluppo del giacimento offshore di South Pars nel Golfo Persico, la
maggiore riserva di gas naturale del mondo. Inoltre, insieme a un’altra
società cinese, la Sinopec (per i tre quarti di proprietà statale), è
impegnata a sviluppare la produzione dei campi petroliferi di West
Karoun.
Sfidando l’embargo Usa, la Cina
sta aumentando le importazioni di petrolio iraniano. Ancora più grave
per gli Usa è che, in questi e altri accordi commerciali tra Cina e
Iran, si prevede un crescente uso del renminbi cinese e di altre valute,
escludendo sempre più il dollaro.
Nel
settore dei trasporti la Cina ha firmato un contratto per
l’elettrificazione di 900 km di linee ferroviarie iraniane, nel quadro
di un progetto che prevede l’elettrificazione dell’intera rete entro il
2025, e probabilmente ne firmerà anche uno per una linea ad alta
velocità di oltre 400 km. Quelle iraniane sono collegate alla linea
ferroviaria di 2.300 km che, già in funzione tra Cina e Iran, riduce i
tempi di trasporto delle merci a 15 giorni rispetto ai 45 del trasporto
marittimo.
Attraverso Tabriz, grande città
industriale dell’Iran nord-occidentale – da cui parte un gasdotto di
2.500 km che arriva ad Ankara in Turchia – le infrastrutture dei
trasporti della Nuova Via della Seta potranno raggiungere l’Europa.
Gli
accordi tra Cina e Iran non prevedono componenti militari ma, secondo
una fonte iraniana, per salvaguardare gli impianti occorreranno fino a
5.000 guardie cinesi, assunte dalle società costruttrici per i servizi
di sicurezza. Significativo è anche il fatto che, alla fine di dicembre,
si sia svolta nel Golfo di Oman e nell’Oceano Indiano la prima
esercitazione navale tra Iran, Cina e Russia.
Su
questo sfondo appare chiaro perché a Washington si è deciso
l’assassinio di Soleimani: si è volutamente provocata la risposta
militare di Teheran per stringere la morsa sull’Iran e poterlo colpire,
colpendo in tal modo il progetto cinese della Nuova Via della Seta a cui
gli Usa non sono in grado di contrapporsi sul piano economico. La
reazione a catena messa in moto dall’assassinio di Soleimani coinvolge
quindi anche Cina e Russia, creando una situazione sempre più
pericolosa.
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