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06/04/2020

Un’infezione di sistema Parte II – Nelle sabbie mobili della liquidità (su Draghi e altre piccolezze)

“Una profonda recessione è inevitabile. La sfida che ci troviamo di fronte è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da un’ondata di fallimenti che lasceranno dietro di sé dei danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare le perdite – deve alla fine essere riassorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato”. [1]

Così si è espresso Mario Draghi sul Financial Times del 25 marzo 2020. Le sue parole sono state accolte da un giubilo generale ben sintetizzato dal giornalista Alberto Negri: “È sempre più evidente la necessità di chiamare Mario Draghi per un esecutivo di salvezza nazionale sostenuto da tutte le forze politiche. Lo scrivono e lo dicono in molti.”[2]

Il blog landiniano Fortebraccio ha titolato, tra il serio e il faceto, “Draghi fa il bolscevico”[3].

Il fatto che il giubilo coinvolga sinistra riformista e keynesiani di tutta Europa non dimostra come sia evoluto Draghi, ma come siano involuti i riformisti. Draghi non ha cambiato di una virgola la propria linea, quella del “Whatever it takes – con qualunque mezzo necessario”. L’ha solo approfondita.

Certo, un approfondimento non è una mera ripetizione. Dialetticamente, siamo a un salto qualitativo di un processo che era già in atto. Ma di che processo stiamo parlando? Dell’enorme immissione di liquidità pubblica, dell’esplosione del debito di Stati e Banche centrali, nel tentativo di scaricare sulla collettività le perdite del capitalismo e di continuare a pompare il mercato borsistico. Draghi mostra la via per la valorizzazione del capitale, e in particolare del settore finanziario, in mezzo ad una recessione profonda.

Detto in altri termini, egli non ha annunciato la fine dell’austerità, certamente non la fine dell’austerità per lavoratori, disoccupati e ceto medio perchè il debito pubblico enorme, in crescita, ricadrà su di loro attraverso tagli e fiscalità iniqua. Non è la fine dell’austerità del capitale, semplicemente perchè per il capitale tale austerità non è mai esistita. Da sempre la spesa pubblica dello Stato borghese è a disposizione del capitale: per socializzarne le perdite, per distribuire appalti, per costruire e finanziare eserciti, per ripagare gli interessi sul debito, per offrire sgravi fiscali, per sostegni diretti o indiretti, ma comunque a fondo perduto.

Parliamo del grande capitale, ça va sans dire. Per quello piccolo questa crisi sarà devastante, come e più delle altre. La piccola borghesia in rovina sarà lasciata affogare nella disperazione, rendendola ulteriormente combustibile per idee rivoluzionarie o al contrario profondamente reazionarie.

Negli ultimi anni il sostegno “pubblico” alle perdite del capitale e alle bolle finanziarie ha raggiunto vette inimmaginabili. Poco prima dell’esplosione della pandemia, si stavano accumulando segnali di preoccupazione per la crescita del debito mondiale e della bolla finanziaria.

Draghi si affretta oggi a dire questo: che tale preoccupazione non deve sussistere. La sbornia non deve cessare. Deve salire di livello. Deve trasformarsi in un’orgia senza freni. Se il credito ha prodotto debito, il debito si ripagherà con nuovo credito. Se il mare salato della liquidità facile ha prodotto sete, la sete si curerà con altra acqua salata.

Questo forse abbrevierà tecnicamente la recessione o eviterà un crack finanziario traumatico. Ma tanto più la crisi verrà evitata sul terreno strettamente finanziario, tanto più essa incuberà e si manifesterà nel resto della vita sociale.

La nuova ondata di liquidità e debito, lungi dal pacificare il mondo, tenderà al massimo il livello di scontro tra le classi, dentro le classi e tra le nazioni e i diversi blocchi imperialisti. Il mondo che oggi giubila per la parole di Draghi si troverà ancora più impantanato nelle sabbie mobili di problemi irrisolti e irrisolvibili all’interno del perimetro del sistema.

Debito e liquidità, lo stato dell’arte

Dopo il crack di Lehman Brothers del 2008 e la crisi dei debiti sovrani nel 2011, la classe dominante ha preso la linea di evitare a qualsiasi costo ulteriori grandi fallimenti.

Sono così nati i cosiddetti programmi di Quantitative Easing[4]. Le Banche centrali hanno “monetizzato“ il debito. Attraverso la stampa di moneta, hanno acquistato e si sono messe in pancia fette crescenti di debito. La Banca centrale giapponese è passata da possedere 4,8 trilioni di yen di debito pubblico nel 2009 ad averne 465 nel giugno 2019. Il debito del Tesoro nel bilancio della Fed è passato da 467 miliardi di dollari nel 2008 a 2537 nel marzo 2019. Lo stock di titoli pubblici nella pancia del sistema delle banche centrali europee è cresciuto di 1317 miliardi di euro solo tra il 2014 e il 2018.

Il debito è stato così trasformato artificialmente in nuova liquidità: credito facile con cui contrarre facilmente nuovo debito. Se la bolla dei mutui subprime aveva innescato la crisi del 2008 e il crescente debito pubblico la crisi del 2011, i programmi di liquidità hanno alimentato esponenzialmente bolle finanziarie e debito. Le cause del crack del 2008 non sono state superate, ma sublimate. Oggi più che mai esse non sono storture del sistema, ma parte organica del suo sviluppo.

Il debito mondiale ha toccato un nuovo record a fine 2019: 253mila miliardi di dollari, il 322% del Pil[5]. È triplicato negli ultimi 20 anni, ma – come si apprezza dal Grafico 1 – ha subito una accelerazione dal 2012 in poi.

 

GRAFICO 1 Andamento del debito globale

I fallimenti sono le convulsioni con cui un sistema cieco e irrazionale cerca di correggersi. Essi sono in un certo senso i traumi attraverso cui il mercato prova a ristabilire un equilibrio. Con un fallimento vengono bruciati debiti, capacità produttiva e risorse che non erano state allocate secondo le esigenze del mercato. Nella fase finale del capitale monopolistico, la dimensione assunta da banche e multinazionali fa sì che un loro fallimento rischi di generare una crisi sistemica globale. Pompare liquidità evita provvisoriamente un simile scenario. Allo stesso tempo priva anche il sistema dei propri correttivi.

Ogni Banca e ogni grossa azienda capitalista diventano in un certo senso – per dirla con i termini dispregiativi usati dagli stessi liberisti – un baraccone parastatale. Mentre i profitti si concentrano sempre di più nelle mani di pochi capitalisti, il cosiddetto rischio di impresa è sostenuto da una fitta rete di contributi statali, credito a basso costo finanziato indirettamente o direttamente dal pubblico, sgravi fiscali ecc. Questo fa sì che banche e aziende continuino a indebitarsi senza alcuna verifica sulle loro reali condizioni economiche.

Dal 2007 al 2017 il debito delle aziende è cresciuto di 29 trilioni di dollari. Per dare un’idea: nello stesso periodo il debito degli Stati è cresciuto poco di più, di 31 trilioni di dollari [6](grafico 2).

 

GRAFICO 2 – Aumento indebitamento aziende 2007-2017 + 29 trilioni di dollari, aumento debito Governi +31 trilioni di dollari (fonte Mckinsey)

Così scriveva il Sole 24 Ore nel dicembre 2019:

Dieci anni dopo la crisi dei mutui subprime che causò una crisi finanziaria globale senza precedenti, una nuova ondata di debito negli Stati Uniti, questa volta da parte delle aziende, rischia di scatenare nuove turbolenze. I bassi tassi di interesse da una decina di anni a questa parte hanno permesso alle società americane di emettere importi record di obbligazioni con rendimenti allettanti per gli investitori. Un record di emissioni di bond aziendali che hanno innalzato l’indebitamento complessivo della Corporate America, arrivato ormai vicino al tetto record dei 10mila miliardi di dollari. Un livello “monstre” che equivale al 50% circa (il 47% per la precisione) del Pil Usa, come raccontato da Cnn e Washington Post.

Alcune tra le più importanti società americane come AT&T, General Motors e la catena di farmacie di CVS Health sono molto indebitate. Debito che viene usato non per fare investimenti ma per pagare gli interessi agli investitori sui vecchi bond. In questa montagna di debiti, le agenzie di rating segnalano con preoccupazione la forte crescita poi delle qualità di obbligazioni societarie a rischio BBB, appena un gradino sopra il ratomg “junk”, spazzatura. Una montagna da cui potrebbe fuoriuscire una valanga, prima o poi.
Secondo le stime di Standard & Poor’s gli investitori hanno in mano quasi 4mila miliardi di obbligazioni societarie a rischio, di questa enorme cifra più del 50%, cioè qualcosa come 2,5mila miliardi di dollari, sono costituiti da bond di società americane.[7]

Un mercato assuefatto

Come già detto, questo livello di indebitamento è stato sostenuto attraverso i massicci programmi di liquidità delle Banche centrali. Il mondo galleggia su una quantità sempre più fittizia di liquidità. Dal 2007 al 2013 la massa monetaria globale è passata da 31.653 miliardi di dollari a 53.975 (+70%)[8]. Alla fine del 2019 è arrivata a quasi 80.000 miliardi di dollari (Grafico 3). È passata da essere il 56% del Pil mondiale nel 2007, al 77% nel 2013, a quasi il 95% oggi.

 

GRAFICO 3 – Rapporto tra massa monetaria e Pil mondiale (Mm2 fonte Bloomberg)

Di fronte alla nuova recessione mondiale, innescata dalla pandemia, la Bce e la Fed hanno già annunciato nuove iniezioni della stessa droga. La Bce ha varato uno scudo di 750 miliardi di euro e la Fed ha annunciato l’utilizzo del proprio “bazooka” in modo illimitato. Così le Borse sono passate dal registrare il 12 marzo il peggior calo dal 1987, se non addirittura della storia, [9] a segnare il 24 marzo le migliori sedute dal 1933[10]. E ci potremmo fermare qua. È forse sufficiente altro per comprendere il livello di intollerabile irrazionalità a cui è ridotto l’intero mondo capitalista?

Già prima della pandemia la droga della liquidità stava mostrando non solo i suoi effetti nocivi, ma anche una minore efficacia di stimolo. L’intero sistema finanziario mondiale ne è completamente assuefatto. Il ciclo economico stava già tendendo alla recessione, senza che credito e liquidità facile potessero impedirlo. Era ad esempio evidente il rallentamento della produzione industriale e dell’indice Pmi[11] (Grafico 4).

 

GRAFICO 4 – Produzione industriale mondiale e indice Pmi (fnte: JP Morgan)

Altrettanto evidente è il rallentamento del commercio mondiale. La guerra commerciale tra Usa e Cina in questo caso è un effetto della contrazione del commercio mondiale, non la causa scatenante. Semmai possiamo considerarla una concausa. Aumentano le guerre commerciali perchè si restringe lo spazio commerciale. E solo in un secondo momento lo spazio commerciale si restringe per via degli scontri sui dazi.

È da notare come il trend del commercio mondiale abbia rallentato senza aver mai recuperato i livelli del 2008 (Grafico 5 e Grafico 6). Anche in questo caso indebitamento e immissione di liquidità non sono riusciti a riportare la “globalizzazione” ai suoi antichi fasti. Come spiega il Sole 24 Ore:

il rapporto Esportazioni/Pil è stato in costante incremento (+15% dal 1999 al 2007); tuttavia dopo il devastante crollo del 2008-2009 (-20%), il recupero del commercio internazionale è solo parziale (+10% dai minimi). Anzi dal 2011 in poi si registra un chiaro trend di riduzione a lungo termine (-8%)[12]

   
GRAFICO 5 – Commercio mondiale

 

GRAFICO 6 – Andamento esportazioni

Se guardiamo alla Cina il processo è ancora più chiaro. Il paese ha visto una crescita spettacolare del debito: quadruplicato dal 2007, oggi è al 317% del Pil. I due terzi del debito totale sono delle aziende (170% del Pil)[13]. L’indebitamento delle famiglie è arrivato al 118% del reddito disponibile. Era del 42% nel 2008.[14] Eppure questa enorme massa di credito non ha impedito un lento rallentamento dell’economia (grafico 7).


 

GRAFICO 7 – Indicatori dell’economia cinese (fonte: Bloomberg)

Ancora liquidità: funzionerà?

Se questo è il punto di partenza, l’ulteriore immissione di liquidità non solo non avrebbe a lungo termine effetti “anticiclici”, ma potrebbe a un certo punto far avvitare ulteriormente la crisi stessa del capitale. Proviamo a riassumere perchè:

1) Il lockdown dovuto al Covid-19 ha determinato un bisogno di reddito generalizzato. Interi settori economici sono stati privati di entrate per mesi. In una situazione del genere difficile ipotizzare a che cifra possa ammontare un programma di liquidità per avere una minima efficacia. Gli economisti borghesi stanno studiando la cosiddetta ipotesi dell’“Helicopter Money”, sussidi dati a pioggia ai consumatori. È una ipotesi assai pericolosa per il capitale, sia per il problema di quantità a cui abbiamo accennato, sia per la qualità: come tornare indietro dopo aver accettato una simile misura di sostegno al reddito a pioggia?

2) Di fronte a un livello di debito così generalizzato, come quello che abbiamo esposto, la concessione di nuovo credito non va a determinare nuovi investimenti e forse nemmeno nuovi consumi. Esso serve semplicemente a ripagare il debito in scadenza, senza alcun effetto sulla cosiddetta economia reale.

3) Perché il denaro si trasformi in capitale, cioè circoli producendo profitto, ha bisogno di sbocchi che ne permettano la “valorizzazione”. Ma l’intera crisi è determinata fondamentalmente da due fattori: la sovrapproduzione e il calo tendenziale del saggio di profitto. Il credito può rinviare o alleviare il presentarsi di queste due problematiche. Ma non può eliminarle. Ragione per cui a un certo punto, pur in presenza di liquidità, è praticamente controproducente investirla in settori produttivi.

4) La liquidità, dal punto di vista del capitale, ha almeno il vantaggio di poter alimentare l’investimento finanziario speculativo. Da denaro si crea altro denaro attraverso prodotti finanziari. Ma anche qui non è tutto rose e fiori. L’immissione di liquidità da parte delle Banche centrali ha, ad esempio, l’effetto di abbassare i rendimenti dei titoli di Stato e di deprimere il cosiddetto mercato obbligazionario. Questo tipo di mercato diventa quindi assai poco remunerativo (grafico 8, andamento del mercato obbligazionario). A metà marzo i fondi obbligazionari hanno registrato una violenta ondata di riscatti. Solo settimana scorsa (quella terminata mercoledì 18 marzo), secondo Bank of America dai fondi obbligazionari globali la clientela ha portato via un totale di 108,9 miliardi di dollari. Solo nella giornata di lunedì scorso, il deflusso ha raggiunto i 30,2 miliardi nel mondo: mai si era vista una fuga di tale entità in una sola seduta. Mai. Sono poi usciti in settimana 20,7 miliardi di dollari dai fondi azionari globali.[15]

 

GRAFICO 8 – Andamento rendimenti obbligazionari e durata media delle obbligazioni (Fonte: Sole 24 ore)

Se l’enorme massa di liquidità non trova sbocchi nella produzione, né ritiene sufficientemente proficuo il cosiddetto mercato obbligazionario, rimane solo un possibile sbocco: cercare nuove bolle azionarie e speculative. Come in qualsiasi processo di assuefazione, va aumentata quantità e qualità delle dosi assunte. Per questo la ricerca di nuovi prodotti finanziari sempre più volatili e rischiosi, di bolle sempre più improbabili e distaccate dalla realtà, non diventa uno dei possibili sbocchi, ma l’unico sbocco possibile.

Detto in una frase: l’unico e chiaro effetto dei programmi di Quantitative easing è stato quello di dissociare ancora di più dalla realtà il mondo già completamente dissociato della Borsa e della Finanza. Anche qui, prima del Covid-19, gli stessi analisti borghesi stavano sussurrando a bassa voce qualche segnale di allarme (novembre 2019):

C’erano una volta i mercati finanziari che seguivano l’economia reale. Se le aziende aumentavano gli utili, le azioni salivano. Se un Paese cresceva, la sua Borsa correva. E viceversa. Oggi quel piccolo mondo antico non esiste più: tra finanza e realtà sembra in atto un vero e proprio divorzio. Le Borse corrono e toccano vette mai raggiunte proprio nell’anno in cui gli utili delle aziende cadono e l’economia frena[16].

Se si mette su un piano cartesiano l’indice S&P relativo all’andamento di Wall Street[17] e l’indice Macro US (un aggregato sulla situazione dell’economia statunitense), si nota un pesante allontanamento dei due andamenti (grafico 9). La curva di crescita dell’indice borsistico non viene intaccata nemmeno dalla diminuzione degli utili delle imprese, né da qualsiasi altro dato macroeconomico. L’unico parallelo esistente è tra l’andamento borsistico e l’immissione di liquidità.


 

GRAFICO 9 – Relazione tra indice borsistico Usa S&P e indicatore macroeconomico Us Macro (Zerohedge.com) 


 

GRAFICO 10 – Relazione tra indice borsistico Usa S&P e aumento della liquidità (Zerohedge.com)

La domanda sorge spontanea: che effetto avrebbe sull’intero sistema realizzare che la nuova ondata di liquidità “illimitata” non sortisce più alcun effetto? E quanto potrebbe durare l’effetto di dissociazione tra un nuovo rally borsistico e un’economia stagnante?

A un certo punto, come un boomerang, lo stimolo della liquidità si trasformerebbe nel proprio contrario. Il deprezzamento della moneta, derivato dall’immissione di liquidità a valanga, finirebbe per portare con sé il deprezzamento di eventuali risparmi accumulati. Il denaro non potrebbe così rimanere fermo, ma nemmeno avrebbe dove dirigersi per valorizzarsi. La società fronteggerebbe una situazione in cui la liquidità è altamente disponibile, ma il suo valore reale in picchiata. A un certo punto, si tenderebbe a indirizzare i soldi verso “beni rifugio” o verso le monete più solide. Il risultato sarebbe una doppia contabilità reale: chi avesse in mano beni o valori solidi chiederebbe tassi altissimi per prestarli. Il resto del credito sarebbe facilmente disponibile ma assolutamente di scarso utilizzo o di poco valore.

Cosa implica la ricetta Draghi?

Se questo è il livello di indebitamento di partenza, cosa ci sarebbe di nuovo, quindi, nell’affermazione di Draghi: “Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie”? Siamo di fronte a qualche cambio di paradigma?

In parte no e in parte sì. Come già detto, l’approfondimento di un processo non è una mera ripetizione. Draghi non si limita solo a invocare nuovo debito. Specifica che esso deve essere direttamente sviluppato dallo Stato:

Il giusto ruolo dello stato sta nel mettere in campo il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro scossoni di cui il settore privato non ha alcuna colpa, e che non è in grado di assorbire. Tutti gli stati hanno fatto ricorso a questa strategia nell’affrontare le emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più significativo della crisi in atto – si finanziavano attingendo al debito pubblico[18].

Il parallelo con un’economia di guerra non è usato in modo casuale. In effetti la curva del debito si sta rapidamente avvicinando alle vette toccate in guerra. Se guardiamo al grafico 11 (fonte Deutsche Bank) siamo sopra il livello di debito sviluppato durante la prima guerra mondiale (WWI) e non così distanti da quello della seconda guerra mondiale (WWII).

 

GRAFICO 11 – Andamento debito pubblico su un campione di 12 paesi (Usa, Olanda, Giappone, Germania, Franica, Uk, Italia, Australia, Canada, Spagna, Svizzera e Svezia – Fonte: Deutch Bank)

Per un’economia di guerra non hai bisogno solo di alto livello di debito pubblico. Banale a dirsi, hai bisogno di una guerra. In un conflitto bellico lo Stato non si limita a indebitarsi. Non si limita cioè solo a foraggiare le aziende capitaliste. Fornisce loro una finalità produttiva, commesse e ordini. C’è da produrre armi, trasporti, divise, rimpiazzare ciò che viene distrutto. L’economia viene diretta dallo Stato con una finalità e tale finalità elimina e supera la sovrapproduzione.

È vero, il mercato delle armi è in continua crescita. Ma lo Stato di Draghi, sfortunatamente per lui, per i patrioti e per i keynesiani, non ha una guerra da combattere. Non ha commesse con cui riconvertire l’intera economia. E non è questo a cui punta Draghi. Nella sua visione, lo Stato deve incamerare nelle proprie casse in maniera grossolana e senza tante domande l’intero debito accumulato dal grande capitale. Chi lo pagherà? Non il capitale privato, visto che l’obiettivo è sollevarlo dai propri debiti. Né le tasse progressive, visto che non avrebbe senso rimettere al capitale i propri debiti, per poi oberarlo di tasse. Come in un’economia di guerra – sì, in questo caso l’analogia regge – il programma Draghi potrebbe convivere solo con un attacco frontale alle condizioni di vita di lavoratori e disoccupati.

Il processo non sarebbe ovviamente lineare. Stiamo parlando di un intervento statale dalle dimensioni difficilmente immaginabili. Il Pil italiano calerà, nelle migliore delle ipotesi del 6%. Concessionari auto, servizi, turismo sono senza entrate. Una azienda su dieci non riaprirà alla fine del Lockdown.

Uno Stato chiamato a intervenire così largamente nel tessuto economico difficilmente potrebbe evitare di prendere direttamente in mano pezzi dell’economia. Questo vuol dire che, obtorto collo, la classe dominante potrebbe essere costretta a passare da un terreno di puro finanziamento del settore privato, a dover nazionalizzare alcuni pezzi dell’economia. Niente di nuovo. È quello che è già stato fatto con parte del settore bancario. Si tratterebbe comunque di nazionalizzazioni a perdere, di aziende cotte. Tanto basta comunque per prendere atto che la nazionalizzazione potrebbe a un certo punto cessare di essere un tabù per la stessa borghesia. Tanto basta per ricordarsi che dal punto di vista marxista rivendicare le nazionalizzazioni è insufficiente, se non si coniuga questa rivendicazione con la richiesta che siano senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori.

Tanto più lo Stato interviene a sostegno dell’economia, tanto più la competizione economica globale sarà competizione tra Stati, tanto più sarà competizione commerciale, militare, imperialista. Lo Stato “interventista” sarà chiamato ad esplicitare per quali aziende interviene, quali sono le “sue” aziende. O meglio ancora, le aziende avranno un netto vantaggio laddove il “proprio” Stato risulta più forte degli altri. La forza economica sarà imprescindibile dalla forza dello Stato che si ha alle spalle. Per le cosiddette economie emergenti questo scenario si rivelerà un incubo. L’Unione Europea sarà mandata ulteriormente in pezzi dagli interessi e dalle traiettorie differenti dei diversi capitalismi nazionali. E inevitabilmente le fanfare ipocrite del nazionalismo proveranno a forgiare l’ideologia comune che deve stare alla base di tutto lo scenario.

Ma non ci sarà solo questo. Nella misura in cui lo Stato si dice costretto a intervenire, nella misura in cui la società accetta di rimettere i debiti al grande capitale, di nazionalizzare aziende cotte per evitarne il fallimento, quelli che stanno in basso – i lavoratori, precari, disoccupati e perfino il ceto medio rovinato – tenderanno sempre di più a richiedere che si intervenga anche a loro sostegno. E realizzeranno, ancora di più, come funziona un’economia di guerra: noi carne da macello e lor signori ad arricchirsi sempre e comunque.

Da questa situazione la sinistra di classe e rivoluzionaria può emergere ancora una volta come una forza di massa. E questo è l’obiettivo a cui ognuno di noi deve guardare con estrema responsabilità e serietà. Mai come oggi, non si tratta di una fase retorica: il futuro comincia adesso.

Note:

[1] https://www.ft.com/content/c6d2de3a-6ec5-11ea-89df-41bea055720b

[2] https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/draghi_premier_europa/

[3] https://fortebraccionews.wordpress.com/2020/03/26/draghi-fa-il-bolscevico-sul-financial-times-non-ce-altra-via-che-il-debito/

[4] Per il significato del termine https://it.wikipedia.org/wiki/Allentamento_quantitativo

[5] https://www.ilsole24ore.com/art/debito-e-record-mondo-253mila-miliardi-passivo-322percento-pil-ACdAfgBB

[6] https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/business%20functions/strategy%20and%20corporate%20finance/our%20insights/rising%20corporate%20debt%20peril%20or%20promise/rising-corporate-debt-peril-or-promise-web-final.ashx

[7] https://www.ilsole24ore.com/art/corporate-america-debito-record-10mila-miliardi-ACIGxz3

[8] https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-04-05/liquidita-globale-record-54mila-063834.shtml?uuid=AbhawQkH

[9] https://www.corriere.it/economia/finanza/20_marzo_12/borsa-tokyo-perde-441percento-incubo-recessione-stop-voli-trump-ec0ef752-642e-11ea-90f7-c3419f46e6a5.shtml

[10] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/wall-street-rimbalza-dow-jones-migliore-seduta-dal-1933-0d450890-f32e-4426-bb89-4a6469573ee4.html

[11] Per sapere cosa è l’indice Pmi https://www.ig.com/it/glossario-trading/definizione-indice-pmi

[12] https://www.ilsole24ore.com/art/commercio-globale-ralenti-chi-paga-conto-AC2bvPL

[13] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-quanto-e-stretto-il-nodo-del-debito-23274

[14] https://www.milanofinanza.it/news/per-quanto-sara-sostenibile-il-debito-privato-cinese-201908301821106031

[15] https://www.ilsole24ore.com/art/fondi-due-fuochi-riscatti-record-e-mercati-in-secca-ADPAzJF

[16] https://www.ilsole24ore.com/art/il-divorzio-borse-e-realta-listini-record-economia-frenata-ACuMuHz

[17] https://it.wikipedia.org/wiki/S%26P_500

[18] https://www.ft.com/content/c6d2de3a-6ec5-11ea-89df-41bea055720b

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