Guy Debord, all’inizio della Società dello spettacolo, così scrive: “L’intera
vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di
produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto
ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una
rappresentazione”.
Se il virus incontra Berlusconi, allora, si verifica una ipertrofica produzione di questo “immenso accumulo di spettacoli”. Da qualche giorno, infatti, le televisioni e i giornali non fanno altro che parlare, come notizia principale delle condizioni di salute di Berlusconi.
Ora, della salute di questo personaggio, in sé e per sé, poco o nulla
ci importa: ci interessa invece molto la ripercussione mediatica che
essa sta provocando. L’infausto avvento del Covid, già a febbraio, era
stato accompagnato da una spettacolarizzazione diffusa
da parte dei media, tanto che si erano paragonate le vicende mediatiche
di Codogno ad una serie tv. Se, quindi, il Covid si scontra con il
personaggio che – fin dai suoi esordi nei famigerati anni Ottanta del
disimpegno, delle televisioni private e della “Milano da bere” –
nell’Italia degli ultimi anni, incarna lo spettacolo per eccellenza, non
si potrà che creare una bolla di spettacolarizzazione senza precedenti.
Ed eccola davanti ai nostri occhi, l’altra faccia del macabro
spettacolo che le televisioni hanno offerto agli italiani chiusi in casa
durante il lockdown, fra morte, terribile realtà che diviene materia da
reality, e virologi famosi che, come star televisive, non facevano
altro che parlare di tutto e il contrario di tutto.
Mentre i cinema e i
teatri – luoghi deputati ad una forma autentica di ‘buono’ spettacolo –
erano tristemente chiusi, la spettacolarizzazione della società
industriale avanzata fuoriusciva dalle televisioni delle abitazioni come
dagli schermi del Grande Fratello di Orwell. Eccola davanti ai nostri
occhi: l’evoluzione spettacolare del Covid all’interno del corpo-spettacolo per eccellenza.
Un corpo-spettacolo che ha contribuito a far precipitare questo paese nell’ipertrofica produzione di consumo e volgarità. Se ne era già accorto magistralmente Federico Fellini quando, nel 1986, girò Ginger e Fred,
nel quale vediamo la città di Roma sommersa dal consumo e dalla
pubblicità dei prodotti del cavalier Fulvio Lombardoni, che li
reclamizza dalle sue televisioni private: pasta, salami, mortadelle,
zamponi. Lombardoni non è altro che Berlusconi mentre la televisione,
come scrive Alessia Ricciardi in After “La dolce vita”. A cultural prehistory of Berlusconi’s Italy
(Stanford University Press, 2012), “diventa l’ultima incarnazione e
presentazione della cultura italiana come un osceno oggetto di piacere”.
Un’ultima osservazione: la
distorsione mediatica spettacolare verso la salute di Berlusconi ha
anche il compito di distogliere l’attenzione degli spettatori dei
telegiornali da altre problematiche ben più urgenti come, ad esempio, la
scuola. Mancano meno di dieci giorni all’inizio delle lezioni e, in
fatto di sicurezza, il Ministero della Pubblica Istruzione naviga ancora
a vista. L’attenzione mediatica incentrata sulla salute del personaggio di Arcore agisce più o meno come le previsioni del tempo
quando ipotizzano possibili eventi naturali gravi e traumatici per
impaurire e allontanare la mente degli spettatori da problemi ben più
gravi e reali. Mentre la società e la cultura intorno a noi cadono in
pezzi, i media continuano a imbandirci “osceni oggetti di piacere”.
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