“Letta sostiene che in Italia il liberismo non c’è mai stato? È una sciocchezza che serve solo a evitare un’autocritica del suo partito sulle conseguenze delle politiche liberiste che ha condotto in questi anni. Detta a poche ore dalla fine che ha fatto il ddl Zan, mi sembra una perfetta fotografia della situazione: il nostro Paese è in ritardo non certo sul liberismo, ma sulle libertà”.
Dopo la dichiarazione del segretario del Pd Enrico Letta, secondo il quale “in Italia il liberismo non c’è mai stato”, e dopo l’affossamento del ddl Zan in Senato, Emiliano Brancaccio ci va giù duro in un post sui social che suggerisce un acuto legame tra i due episodi, e che sta facendo discutere. Economista e intellettuale di riferimento del pensiero progressista, approfondiamo con lui il tema in vista dell’uscita a gennaio del suo nuovo libro: Democrazia sotto assedio, frutto di un dibattito con Daron Acemoglu del MIT di Boston, tra i massimi esperti mondiali delle determinanti economiche della crisi democratica.
Professor Brancaccio, quando dice che in Italia non c’è stato “liberismo”, Letta si sbaglia?
È una sciocchezza che può esser facilmente smentita guardando i
dati. Per esempio, l’OCSE ricorda che tra il 1990 e il 2000 l’Italia ha
realizzato il record delle privatizzazioni di imprese a partecipazione
statale, con introiti totali pari a 108 miliardi di dollari a fronte di
75 miliardi in Francia, 63 nel Regno Unito, 22 in Germania. Come
segnalato dalla ricerca scientifica e dalla stessa Corte dei Conti,
questa politica di liquidazione del capitale pubblico ha dato risultati
molto deludenti in termini di aumento generale dell’efficienza del
sistema.
Quali risultati?
Contrariamente alle attese, l’evidenza indica che le
privatizzazioni hanno spesso sostituito monopoli pubblici con posizioni
di sostanziale monopolio privato, con danni per la collettività e
vantaggi solo per i nuovi proprietari. Inoltre, le privatizzazioni non
hanno contribuito al contenimento del debito pubblico. Uno dei motivi è
che da un lato lo Stato incassa dalla vendita, ma dall’altro subisce una
perdita in termini di entrate future, visto che non dispone più dei
profitti delle aziende privatizzate. Profitti che in molti casi c’erano,
a dimostrazione che non si trattava solo di aziende decotte.
Può farci altri esempi italiani di quel liberismo che Letta nega sia mai esistito?
Tra i tanti, il più rilevante riguarda il mercato del lavoro.
In un quarto di secolo segnato da una lunga sequenza di politiche di
precarizzazione, l’indice generale di protezione del lavoro è crollato
di circa il 45 percento in Italia, rispetto a una riduzione del 17
percento della media OCSE. Anche in tal caso, gli esiti di questa
politica liberista sono stati ben diversi rispetto ai proclami: la
precarizzazione ha indebolito le lavoratrici e i lavoratori e ha
contribuito allo schiacciamento dei salari, mentre non ha avuto effetti
sull’occupazione. Chiunque legga un po’ di letteratura scientifica in
tema, non si meraviglia del risultato. Come ammesso persino da FMI, OCSE
e Banca Mondiale, non ci sono evidenze empiriche a sostegno dell’idea
che le politiche di precarizzazione aiutino a creare posti di lavoro.
Come si spiega, a questo punto, la cantonata di Letta?
Credo serva solo a evitare una necessaria autocritica. Se
l’Italia è diventata uno dei laboratori del liberismo, lo si deve anche
al suo partito e a tutte le forze politiche che si sono avvicendate al
governo in questi anni. Sostenevano di svecchiare il paese, di
modernizzarlo. In realtà hanno fatto danni, non solo all’economia ma
anche al tessuto sociale e culturale.
In un post sui social che è stato molto discusso in queste
ore, Lei ha collegato la frase di Letta al contemporaneo affossamento
del ddl Zan in Parlamento. A Suo avviso, “l’Italia è in ritardo non
certo sul liberismo, ma sulle libertà”.
Sì, la coincidenza tra i due episodi mi è sembrata
“sintomatica”, per dirla con Althusser. Io insisto da anni su un punto:
le cosiddette politiche liberiste tutelano soltanto la libertà del
capitale, mentre creano una disgregazione sociale che porta a un tale
arretramento civile e culturale da minacciare tutte le altre libertà. Se
il nostro paese è in ritardo sulla tutela delle libertà individuali e
sulla difesa contro le discriminazioni, dipende anche dal fatto che il
liberismo ha lasciato macerie sociali e culturali, soprattutto nelle
realtà più deboli e periferiche. Molti di coloro che vivono una vita
materiale sempre più precaria, finiscono per aggrapparsi ai vincoli
della famiglia tradizionale, ai suoi meccanismi di sostentamento, alle
sue gerarchie interne, e agli antichi precetti su cui si è sempre
basata. Si viene così a creare un terreno favorevole alla propaganda
oscurantista delle peggiori destre reazionarie. Ecco perché il
liberismo, in ultima istanza, non è libertario, è liberticida. È un
tema ampiamente studiato in accademia ma al momento trova poco spazio
nel dibattito politico, specialmente in Italia.
Che lezione si può trarre da questo collegamento?
Una sedicente “sinistra” che pretenda di tutelare le libertà
individuali ma eviti ogni autocritica sui danni sociali e culturali del
liberismo, porta avanti un progetto ipocrita che non farà molta strada, e
lascerà praterie di consenso sempre più ampie alle forze reazionarie.
Ho grande ammirazione per le comunità “lgbtqia”, per i movimenti
anti-razzisti, per i gruppi che affrontano i problemi della disabilità e
per tutto l’associazionismo che lotta contro ogni discriminazione, ma
non ho molta fiducia nella generazione politica che oggi vorrebbe
rappresentarli. I sedicenti “progressisti” che attualmente siedono in
parlamento sembrano troppo legati agli interessi capitalistici
prevalenti per cogliere l’enorme contraddizione che sussiste tra
liberismo e libertà.
Per l’affossamento della legge Zan se l’è presa con i sovranisti. Avrebbe dovuto avercela anche con i liberisti?
Certo, anche per banali ragioni “contabili”, direi. Per quel che risulta, svariati liberisti hanno votato contro la norma.
Ci sono speranze per il futuro?
Contrariamente a quel che si dice, molti giovani iniziano a
cogliere le ipocrisie dei “liberisti libertari” e danno segni di
insofferenza verso l’associazionismo che si affida solo ad essi. Spero
che le nuove generazioni combattano per affermare un fatto semplice e
vero: se tu vuoi lottare contro le discriminazioni razziali, etniche,
nazionali, religiose o fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento
sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, allora devi anche
lottare contro le politiche del capitalismo liberista, che creano
disgregazione sociale e arretramento culturale e così fomentano la più
bieca vandea reazionaria e liberticida. Le due lotte vanno insieme e
hanno successo, oppure restano separate e andranno incontro a ripetute
sconfitte.
Nessun commento:
Posta un commento