Aiutati dalla cagnara NoGreenPass, monitorata e paparazzata in tutte le salse, governo e media imprenditoriali stanno allestendo la “gestione” politica di una valanga di mazzata sulle condizioni di vita dei lavoratori e dei disoccupati.
La botta più forte – e più rognosa per i partiti che forniscono i voti all’esecutivo – è sulle pensioni. Una delle condizioni poste dall’Unione Europea, e dunque dallo stesso Mario Draghi prima di “prendere Palazzo Chigi”, è disegnare un sistema che metta le pensioni a traino “della sostenibilità finanziaria”.
Tradotto dell’economichese significa: un sistema che consenta di pagare pensioni, da adesso in poi, solo nella misura in cui quei soldi non servano per altri scopi.
Prima di analizzare le misure in via di approvazione, fin qui allo stadio delle ipotesi, una cosa va detta subito: nessuno pensa che si possano spargere ricchezze che non ci sono, e dunque pagare assegni come se fossimo nella “casa di carta”. Ma questo è un paese ricco, che produce oltre 1.800 miliardi di euro annui.
La “scarsità di risorse” è insomma un ragionamento fasullo, se non si guarda a come la parte di questa ricchezza che va allo Stato tramite la tassazione viene spesa con la “legge di stabilità” (l’ex “finanziaria”, la più importante legge dello Stato, da approvare ogni anno entro il 31 dicembre).
Un paese che taglia i fondi per pensioni, sussidi, sanità, istruzione, trasporti pubblici, ecc., mentre li aumenta per gli armamenti e soprattutto per favorire le aziende (con investimenti infrastrutturali sia utili che inutili come il Tav, taglio delle tasse alle imprese, finanziamenti diretti, defiscalizzazioni, ecc.) è un paese che combatte contro una classe di cittadini per favorirne un’altra.
Dà insomma di più a qualcuno (pochi) e toglie qualcosa ad altri (molti, per fare più cassa). Non è una scelta tecnica, ma assolutamente politica.
Quella pensionistica – insieme a sanità e istruzione – è una delle voci di spesa di maggiori dimensioni. E ogni governo degli ultimi 30 anni 30 (a far data dalla “riforma Dini”) l’ha usata come un bancomat da alleggerire per fare altre operazioni. Con esiti devastanti sul piano sociale e nessun risultato economico, né per quanto riguarda “la crescita” (da allora di fatto ferma), né per quanto riguarda la “competitività” delle imprese italiche (più delocalizzazioni, privatizzazioni, fughe nella speculazione finanziaria).
Il governo Draghi insiste su questa linea ormai “storica”, ma con più determinazione e indifferenza del solito. Può farlo, perché obbedisce ad altri input e i “partiti” che gli danno la fiducia sui provvedimenti non contano un beneamato...
In altri termini: non deve andare lui alle prossime elezioni, e i “partiti” che ci andranno saranno rimescolati alla grande dallo shakeraggio che stanno subendo.
Sulle pensioni, dicevamo, è sicura la scomparsa di “quota 100”. Ma la Lega, che l’aveva fatta diventare una sua “conquista”, non muoverà un dito per difenderla. Giusto un po’ la lingua, ma non tanto da far indispettire il Toreador.
Così si parla tranquillamente di “tornare alla legge Fornero”, mettendoci giusto un po’ di vaselina (“scalini”, invece che uno “scalone” di cinque anni in un colpo solo).
La strada probabile pare tracciata: quota 102 nel 2022, Quota 103 nel 2023 e Quota 104 (in pensione a 66 anni) nel 2024. Il costo supplementare di questa “spalmatura lenta” sarebbe di 150 milioni di euro.
Ma anche questi passaggi avrebbero un costo, da far pagare integralmente ai lavoratori che andranno in pensione.
Per esempio, nel 2023, l’assegno potrebbe essere calcolato integralmente con metodo contributivo. Per effetto della “riforma Dini” e successive, infatti, una parte sempre più piccola della vita lavorativa/contributiva viene ancora calcolata col “metodo retributivo” (più favorevole al lavoratore, visto che in pratica prende a parametro la retribuzione degli ultimi anni), mentre il resto col “contributivo”.
Calcolare tutto col metodo peggiore sarebbe una decurtazione netta dell’assegno pensionistico, ma mascherato da “favore” o “privilegio”. È chiaro che molti lavoratori sarebbero costretti a ritardare il ritiro dal lavoro, anche a rischio di finire come quell’operaio di 71 anni (settantuno anni!) morto vicino Modena sabato, cadendo dal tetto di un’officina.
Altre ipotesi tratteggiano magari un anno di “purgatorio” in più, ma non mutano assolutamente la logica criminale su cui si va muovendo Draghi e il suo ristretto staff di “tecnici”.
Non per questo si ferma la “distrazione di massa” fornita dalla stessa Fornero (che attacca ancora “quota 100” come un “fallimento che non ha fatto crescere l’occupazione”, come se le assunzioni dipendessero linearmente solo dalla quantità dei pensionamenti e non, soprattutto, dalle scelte aziendali).
Oppure quella provocazione continua della esibita “preoccupazione per i giovani di oggi che andranno in pensione a 70 o addirittura 75 anni”. I maiali da guardia nelle redazioni sanno benissimo – accade anche per i giornalisti – che questa follia criminale che spinge verso l’eliminazione delle pensioni è parte integrante delle “riforme chieste dall’Europa”. E che il sistema che Draghi prova a mettere in piedi – “agganciare definitivamente le pensioni alla sostenibilità finanziaria” – prevede proprio quel risultato.
In altre parole: è la “riforma” che manderà i ragazzi di oggi a chiedere l’elemosina da pensionati. Quel che viene pagato ai pensionati di oggi non c’entra nulla. C’entra, semmai, l’incapacità di “crescere” per un paese che regala tutto alle imprese mentre queste delocalizzano o disinvestono.
Maiali che grufolano negli scarti lasciati cadere dalla tavola padronale.
L’unico trickle down (“sgocciolamento”) di cui si possa vedere traccia.
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