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20/10/2021

[Contributo al dibattito] - No Green Pass, l’equivoco tra anomia e ricomposizione di classe

“Il giudizio politico è la capacità di percepire da lontano il rumore dei cavalli della storia” (Bismarck)

La stagione delle proteste legate all’istituzione del green pass è anche l’occasione per riflettere sull’equivoco, ormai storico, che passa nello scambiare dinamiche di anomia per processi di ricomposizione di classe. Del resto entrambi i fenomeni vivono lo stesso spazio della protesta ma lo occupano in maniera differente quando non marcatamente opposta. Per quanto riguarda il Green Pass obbligatorio al lavoro, un provvedimento con effetti spesso surreali e persino peggiorativi dello stato precedente della produzione e dei servizi, è evidente che questo equivoco è più difficile da cogliere. Ma con un attimo di pazienza la realtà viene sempre a galla.

Certo, quest’equivoco, che vuole l’espressione anomica della protesta come un elemento di ricomposizione possibile dei subalterni, ha le proprie ragioni specie nel momento in cui, nelle pratiche politiche, si cercano rapporti immediati con quello che si muove nella società. Anche perché è piuttosto mobile, e instabile, il terreno di cosa è definibile come classe. Il punto però è che le dinamiche di anomia prendono la direzione contraria di quelle di ricomposizione. Mentre le prime si esprimono come una forza continua di sfiducia e di delegittimazione delle istituzioni, non solo politiche, di una società le seconde esprimono, meglio esprimerebbero, la sedimentazione di una parte di società che tanto più si consolida tanto più toglie terreno al capitalismo. In termini banali le prime rielaborano il simulacro liberale della libera scelta, le seconde quello del diritto a prestazioni universali. Le prime entrano nelle dinamiche di potere destituente, le seconde in quello costituente.

Il problema è che la ricomposizione appare oggi soprattutto come una ipotesi di scuola a causa della lunga crisi della conflittualità di tipo marcatamente anticapitalistico già presente, nelle nostre società, a cavallo degli anni ’70 e ’80. E qui le cose si complicano perché, come accade, continuando a scambiare l’anomia per ricomposizione di classe sarà molto difficile contribuire alla ripresa di una conflittualità di segno marcatamente anticapitalistico. Anzi, come avvenuto nel recente passato, al massimo grazie a questo equivoco si genera l’impressione che “i nostri”, le classi subalterne, siano semplicemente passati armi e bagagli all’“altro” schieramento.

Il movimento no green pass, emerso nelle ultime settimane, è frutto della sedimentazione di dinamiche anomiche, di piena sfiducia nelle istituzioni, provenienti da strati differenti della società e da lunghe stagioni di scomposizione sociale, assieme a quelle legate alla protesta verso un provvedimento che ha oggettivamente scaricato sul lavoro difficoltà e costi di questa stagione della fase vaccinale. E qui gli elementi vanno separati altrimenti, oltre a confondere processi di anomia per chissà cosa, si rischia di legittimare il nulla che è convinto di muoversi politicamente.

Bisogna qui intendersi su una cosa: prima del Covid le dinamiche anomiche della società italiana, per fermarsi a quella, erano già presenti e hanno preparato quel terreno di sfiducia complessiva che è la base energetica per la “radicalizzazione” dei movimenti no vax che sono poi confluiti nel movimento no green pass. Si tratta delle dinamiche dell’erosione del lavoro, e del potere d’acquisto del salario, a causa sia della crescita bassa sia dell’evoluzione tecnologica e dell’indebolimento continuo della capacità di protezione della società da parte del welfare. Sono fenomeni tipici degli ultimi trent’anni che nelle classi subalterne hanno incubato, nel tempo, la base materiale per la generazione di un tessuto sociale polimorfo e impermeabile alla fiducia nelle istituzioni (politiche ma anche scientifiche e mediche etc). La pandemia ha rappresentato l’occasione di occupare il palcoscenico da parte di questo tipo di anomia, della sfiducia generalizzata, con il movimento no vax che è rimasto al centro della sfera pubblica grazie al passaggio alla fase no green pass.

È un tipo di anomia che esprime la propria dinamica di sfiducia, incubata in anni quando non in decenni di disgregazione sociale, nella scheletrica narrazione antagonista alla “dittatura” che funziona come elemento di aggregazione di consenso anche verso settori non interessati alla questione no vax; che è in grado di veicolare i propri messaggi sui social con forza condizionando in questo modo anche l’agenda dei media generalisti, e quindi della politica, che soffrono la concorrenza proprio dei social; che è in grado di aggregare con il linguaggio della sfiducia ampie fasce di società colpita da lunghe ristrutturazioni.

Intendiamoci, l’anomia è anche un veicolo d’innovazione come lo è uno dei processi che la caratterizzano, la devianza, proprio perché è in grado di esprimere ciò che sta fuori dai canoni ufficiali. È evidente però che questi processi reattivi, non hanno molto da spartire con la ricomposizione di classe, ne rappresentano piuttosto il simulacro non solo usando parole d’ordine come democrazia e lavoro in spontanea parodia di quelle del movimento operaio ufficiale degli anni ’50. Ma anche, e soprattutto, proponendo un paradigma, quello della libertà di scelta, e un modello, quello comunitaristico della socialità in contrapposizione al “sistema”, minimamente non in grado di reggere la durezza dell’urto con una società complessa e feroce come quella liberista.

È evidente che se fossero in atto altri processi conflittuali – ad esempio legati alla ricostruzione di un sistema sanitario univesalistico post pandemia e alla prevenzione di fronte a malattie tipiche di un capitalismo antropizzato – potremmo parlare di ricomposizione di classe da parte dei ceti subalterni delle nostre società. Perché si tratterebbe di un terreno materiale di protezione della società e di sottrazione della sanità, e del biopotere, al mercato che oltretutto fa la propria stella polare nella sinergia Big Pharma, evoluzione tecnologica, egemonia del settore finanziario. Un terreno materiale al quale va poi legata una ricchezza simbolico-comunicativa che, sola, può assicurare la connessione con vasti settori di società.

Certo dobbiamo chiederci perché, di fronte a questa sinergia, non è la ricomposizione di classe che avanza ma la forza anomica di settori di società che propongono il simulacro della resistenza alla “dittatura” entro un paradigma della libertà di scelta che non è un in grado di affrontare, e neanche di capire, nessuna delle rivendicazioni necessarie per costruire le prestazioni universalistiche dei prossimi anni, vera garanzia di cittadinanza e di sottrazione di spazio vitale al mercato. E dobbiamo anche aver chiaro che le prossime tappe della rivoluzione industriale 4.0 sono in grado di allargare lo spazio dell’anomia ben oltre quello presente. In questo senso gli anni ’20 di questo secolo possono somigliare a quelli del precedente.

Oggi, e forse domani, l’anomia prevale sulla ricomposizione. Evitare di confondere questi piani è però la precondizione per invertire questa dinamica.

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