di Guido Salerno Aletta
Il 28 ottobre 2021 è una data che dovremo ricordare a lungo per la "non svolta" nella gestione della politica monetaria.
La BCE non è riuscita a rassicurare i mercati: nonostante abbia deciso di mantenere fermi i tassi di riferimento e di confermare la prosecuzione degli acquisti di titoli di Stato previsti dal PEPP fino a marzo 2022, e comunque quelli del QE, per la prima volta dal maggio scorso, il tasso di interesse sui Btp a 10 anni è tornato oltre la soglia dell'1%: i mercati scommettono su un rialzo dei tassi.
Si dice che sia stata una riunione interlocutoria, a Francoforte, in attesa dei nuovi dati sull'andamento dei prezzi e dell'economia europea nell'ultimo trimestre dell'anno: è ancora troppo presto sia per tirare su i tassi di interesse a causa dell'inflazione, sia di annunciare un prolungamento del sostegno monetario a causa del protrarsi della emergenza sanitaria e di un andamento ancora insoddisfacente della ripresa.
Il 2022 sarà un anno di estrema difficoltà: i governi europei stanno continuando a spingere sulla spesa e sul deficit, perché il recupero del crollo registrato a partire dal marzo del 2020 non è stato ancora completato.
Il fatto è che in Germania l'inflazione ha registrato un +4,5% annuo, un livello mai visto da 28 anni a questa parte: tassi di interesse ancora negativi sui Bund sono insostenibili, nonostante si tratti del safe asset per eccellenza nell'Eurozona. Il divario rispetto ai rendimenti dei Treasury statunitensi comincia a diventare eccessivo, con il rischio di generare un effetto perverso.
La liquidità immessa dalla BCE rischia infatti di riversarsi tutta Oltre Atlantico, rendendo asfittiche le richiesti di titoli pubblici europei, e quelli italiani saranno i primi a farne le spese.
Il Tesoro è invece apparentemente ottimista: nella Nota di Aggiornamento al Def 2021, ha aggiornato le previsioni programmatiche rettificando addirittura al ribasso gli oneri per interessi sul debito pubblico per gli anni 2022-2024: invece che assorbire il 3% del PIL, nel 2022 saranno del 2,9%; nel 2023 scenderanno dal 2,8% al 2,7%; e parimenti nel 2024 si prevede una riduzione dal 2,6% al 2,5% del PIL.
In valori nominali, gli interessi sul debito pubblico passerebbero dai 61 miliardi di euro pagati nel 2019 ai 50,6 miliardi previsti per il 2024.
L'ottimismo del Tesoro sull'andamento al ribasso dell'onere per interessi sul debito è ancora più evidente se si riflette sul fatto che i 61 miliardi di interessi pagati nel 2019 facevano riferimento ad uno stock di debito pari a 2.410 miliardi e che i 40,6 miliardi del 2024 sarebbero pagati a fronte di un debito lievitato di oltre 500 miliardi, giungendo a 2.959,3 miliardi.
Vero è che ci sono i favorevoli effetti di trascinamento derivanti dagli acquisti effettuati dalla BCE con il PEPP, ma l'ulteriore miglioramento previsto nella Nota di Aggiornamento è sicuramente un dato che non trova riscontro negli andamenti del mercato e nelle comuni aspettative.
Ci potrebbe essere dell'altro, che non viene anticipato.
Ci potrebbe essere, dietro le quinte, la costituzione di un Fondo a livello europeo per la gestione in comune dei debiti pubblici pandemici, facendovi confluire gli stock accumulati nel biennio 2020-2021: è una prospettiva che è stata rilanciata di recente dal Governatore della Banca d'Italia Visco, riprendendo quella che era stata formulata sin dal 2018 dall'allora Ministro per gli Affari Europei Savona.
Se fosse vera questa ipotesi, con una sorta di gestione comune a livello europeo del debito pandemico, verrebbero emessi eurobond a tassi estremamente convenienti, rastrellando dal mercato titoli dei diversi Stati per un importo corrispondente: sarebbero ceduti volentieri, anche a fronte di rendimenti inferiori, essendo titoli con una più elevata garanzia di solvibilità.
Si giustificherebbe così l'ottimismo del Tesoro nel rivedere al ribasso l'onere per interessi nei prossimi anni, visto che si riduce di un punto percentuale sul PIL in un quinquennio, passando dal 3,4% del 2019 al 2,5% del 2024 pur a fronte di 500 miliardi di euro di maggior debito pubblico.
Se intanto la BCE temporeggia, può essere che il Tesoro italiano tifi come la Banca d'Italia per costituzione di questo Fondo europeo per la gestione dei debiti pubblici pandemici: per l'Italia, si tratterebbe dei citati 500 miliardi di euro.
La BCE attende, timorosa: se conclude troppo presto la fase di espansione monetaria per contrastare l'inflazione rischia di affondare l'economia.
Il Tesoro attende, speranzoso: dopo il NGEU, a livello europeo si potrebbe fare un nuovo passo in avanti per la gestione in comune dei debiti pandemici.
Il Mercato attende, nervoso: i tassi devono aumentare, perché con l'attuale andamento dell'inflazione non ha senso continuare ad investire sui titoli europei.
Timorosa la BCE, Speranzoso il Tesoro, Nervoso il Mercato
BCE, Tesoro, Mercato: contrastanti attese
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