È ormai palese che una delle ragioni dell’altissimo numero di vittime lombarde della pandemia è dovuto soprattutto – oltre che all’”insistenza” prepotente degli industriali per non chiudere le fabbriche nei momenti dei lockdown – allo smantellamento della sanità pubblica, avvenuto in Regione nell’arco degli ultimi venti anni. Dalle giunte Formigoni, passando per Maroni e arrivando a Fontana.
Cardine della politica sanitaria regionale è la legge 23/2015, approvata durante la presidenza di Maroni, oggi – ma sarà una sfortunata “coincidenza”... – consigliere d’amministrazione del colosso ospedaliero privato Gruppo San Donato, proprietario, tra l’altro, dell’ospedale San Raffaele.
Tale legge avrebbe dovuto essere sottoposta a verifica per una sua definitiva approvazione entro la fine del 2020, ma ciò non è avvenuto per la tattica dilatoria dell’attuale giunta regionale che ha fatto di tutto, col pretesto della pandemia, per evitarne una vera discussione in consiglio.
Alla fine, un vero dibattito consigliare non ci sarà, poiché negli ultimi mesi la giunta, e in particolare l’assessore alla sanità Moratti, non hanno fatto che chiedere dei pareri sulla legge a degli “esperti” che – evidentemente scelti secondo convenienza – ne hanno confermato la presunta validità.
Per questa ragione, la giunta si prepara adesso a paracadutare la legge sul consiglio regionale proponendosi un’approvazione iperblindata, tra l’altro dopo averne definito, nei mesi scorsi, le linee di sviluppo anche in relazione agli ipotizzati fondi in arrivo dal PNRR.
La questione è molto importante a ha rilevanza nazionale, perché con l’uso della propaganda sulla (falsa) “eccellenza” lombarda la destra tende a proporre la sanità lombarda come modello per altre regioni.
La legge 23/2015, e le conseguenti linee di sviluppo decise dalla giunta regionale, mettono ancor più la sanità lombarda nelle mani dei privati, offrendo loro persino la gestione delle istituende case della salute, degli ospedali di comunità e persino gran parte dei fondi destinati all’abbattimento delle liste d’attesa.
Inoltre, resta inalterata l’istituzione, tutta lombarda, dei “gestori” dei pazienti cronici, che costituiscono un ricco mercato. Quello dei “gestori” è un meccanismo perverso con il quale una struttura privata o una cooperativa di medici può prendere in carico i pazienti cronici e gestirne a proprio piacimento le terapie, decidendo dove praticarle, dove far effettuare i test clinici e con quali budget di spesa.
Una situazione che oltretutto seziona il corpo del paziente, poiché egli deve rivolgersi al gestore per ciò che riguarda la sua malattia cronica e invece al medico di base per altre eventuali patologie che insorgessero.
In pratica, una visione parcellizzante della medicina, non certo in linea con le scuole mediche più aggiornate e che oltretutto richiede una sofisticata capacità diagnostica al paziente che al mattino, svegliandosi con un disturbo, deve capire se è dovuto alla sua cronicità o ad altro per decidere a chi rivolgersi (sempre che il medico di base ci sia, dato che in Lombardia molti quartieri e persino paesi ne sono privi).
L’invenzione dei “gestori” è stata uno scandaloso regalo ai privati, dopo che in Lombardia, dalla gestione Formigoni a oggi, si è passati dal 10% a oltre il 40% di prestazioni fornite dai privati su quelle totali. Tali prestazioni sono ovviamente selezionate dai privati tra quelle maggiormente remunerative, con un vero saccheggio dei fondi pubblici sottratti alla sanità pubblica.
In questa inquietante situazione, che fa diventare il corpo dei pazienti una fonte di profitto per i privati (ben più dei vaccini, incubo della mentalità “no vax”, che su questo invece tacciono), il PD, i 5 Stelle e le forze a loro collegate avanzano proposte che non affrontano la questione decisiva, che è quella dell’infausta sussidiarietà tra pubblico e privato.
In pratica, non si mette in discussione il fatto che il sistema sanitario cosiddetto “pubblico” sia organizzato con la collaborazione tra istituzioni effettivamente pubbliche nella proprietà e nella gestione e imprese sanitarie private convenzionate.
Si tratta di un sistema misto, basato appunto sulla sussidiarietà, in cui mal si conciliano due obiettivi e visioni diverse: quella della sanità pubblica dedicata alla prevenzione e alla salute dei cittadini e quella privata che ha come obiettivo il profitto sulle cure mediche.
Questo sistema è stato teorizzato sin dalla fine del secolo scorso dal Partito Democratico della Sinistra, ora semplicemente Democratico e non più “di sinistra” nemmeno nel nome. Furono proprio i governi di centrosinistra ad avviare la politica della commistione pubblico-privato in sistemi misti con le convenzioni nella sanità e con la parità scolastica per quanto attiene alla formazione.
Non deve stupire, a questo proposito, che nell’autunno del 2020, quando si approssimava una verifica della legge 23/2015, il governo Conte 2 (PD e 5 Stelle), non abbia voluto contestare i fondamenti di tale legge, limitandosi a delle osservazioni che non ne mettono in discussione le scelte politiche generali.
Tutto ciò dimostra che tra la destra, il PD e i 5 Stelle non esiste in proposito una reale contraddizione e che questi ultimi due partiti non vogliono rilanciare la sanità pubblica nell’unico modo possibile: separare decisamente pubblico e privato abolendo il deleterio principio di sussidiarietà, e quindi le convenzioni, tra i due settori.
In Lombardia, la politica della sussidiarietà ha aperto la strada a uno scatto ulteriore, cioè la totale inclusione della sanità privata nel sistema pubblico, tanto che oggi il centralino regionale unico di prenotazione non distingue più, nell’indirizzare i pazienti, tra le strutture realmente pubbliche e quelle private.
Con il risultato che, a causa del tetto di spesa imposto agli ospedali e ai poliambulatori pubblici, la gran parte delle prestazioni sono dirottate verso i privati, che ne traggono pretesto per avanzare ulteriori pretese economiche.
In tale quadro, le contestazioni che PD e 5 Stelle rivolgono alla politica sanitaria della giunta Fontana-Moratti appaiono più un tentativo di costruire una base di consenso alla costruenda alleanza di centro-sinistra per le elezioni regionali del 2023 che non elementi di un progetto volto alla tutela della salute pubblica, che mai e per nessuna ragione deve diventare merce elettorale.
È necessario invece predisporre provvedimenti che vadano nella direzione di chiudere progressivamente le convenzioni con i privati e finanziare adeguatamente la sanità pubblica, sia nei suoi aspetti territoriali e di base che in quelli ospedalieri e, non ultimo, di ricerca, dato che nell’attuale situazione anche quest’ultimo settore è di fatto sottomesso alle esigenze dei privati.
Infine, è necessario cancellare la parola “azienda” dal lessico delle istituzioni sanitarie, poiché tale termine indica la necessità del profitto, anche con conseguenti premi ai dirigenti che “risparmiano” e penalizzazioni per gli “spreconi”, in un settore che non deve avere come obiettivo il guadagno. Non si risparmia e non si fa profitto sulla salute dei cittadini.
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