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18/10/2021

Il voto per vendetta è diventato astensionismo. Penalizzata la destra, premiato il PD

I risultati del ballottaggio a Roma segnalano come dato macroscopico il boom dell’astensionsimo e come dato politico la vittoria di Gualtieri su Michetti. Risultato analogo nell’altra grande area metropolitana, Torino. Il Pd rimette una costola anche in altre città in bilico come Varese, Caserta, Latina, Cosenza. La destra si tiene Trieste.

In totale per il ballottaggio a Roma ha votato solo il 40,68% degli aventi diritto. Cinque anni fa, al ballottaggio tra la Raggi e Giachetti (PD) la partecipazione si era attestata al 50,19 %. Il dato finale del primo turno era stato del 48,54%.

Il dato sociale più rilevante nella Capitale è stata la “diserzione” elettorale delle periferie.

Cinque anni fa furono il punto di forza del M5S e della Raggi, questa volta sembravano poterlo diventare per la destra, ma così non è stato. Semplicemente gli abitanti delle periferie hanno scelto di non andare a votare e di biodegradare così nell’astensionismo quello che era stato il “voto per vendetta” del 2016 e del 2018.

A Roma il caso più emblematico è il VI Municipio (quello di Tor Bella Monaca e della periferia est) dove la Raggi ebbe più del 41% nel 2016 ma questa volta ha raggiunto solo il 21,95%. In questo Municipio al ballottaggio è andato solo il 32,4% degli aventi diritto al voto. Molti dei voti del M5S sono confluiti sul centro destra che aveva ottenuto due settimane fa il 43,18% a fronte di un 25,50% del 2016, arrivando al ballottaggio anche in questo Municipio e andandosi a misurare con la candidata del M5S che ha superato di misura quello del PD.

Una analisi sociale del territorio romano è stata effettuata dal gruppo di ricerca MappaRoma che ha diviso la capitale in sette città in base a reddito, composizione nucleo familiare, istruzione, occupazione, edilizia e servizi. In base a questi criteri il centro-destra primeggiava nei municipi a composizione sociale mista ma anche con forti situazioni di disagio, caratterizzate da criminalità, disoccupazione, livello basso di istruzione come il IV, V, VI, X, XI, XIV, con qualche eccezione a questa composizione socio-demografica per il IX, XIII e XV. Mentre Gualtieri e Calenda hanno pescato in municipi con un elettorato con redditi più elevati e un livello di istruzione alto.

Se nelle periferie la gente ha scelto l’astensionismo al ballottaggio, questa sovrapposizione di elettorato ha portato l’elettorato di Calenda a confluire su quello di Gualtieri in sede di ballottaggio.

Un meccanismo analogo ha agito anche a Torino, l’altra grande area metropolitane che è andata al ballottaggio. Qui l’affluenza, al secondo turno è stata del 42,13% degli aventi diritto, più bassa che al primo turno dove aveva votato il 48,08%.

L’appello al voto nelle periferie, lanciato dai due candidati Paolo Damilano (destra) e Stefano Lo Russo (PD), non sembra però essere stato accolto, neanche al secondo turno. L’astensionismo è cresciuto in quartieri popolari come Vallette, Barriera di Milano, Regio Parco, Borgo Vittoria e Lucento. Gli abitanti di quei quartieri nel 2016 premiarono Chiara Appendino e il M5S, mentre alle regionali del 2019 votarono a maggioranza per Lega e Fratelli d’Italia. Domenica e lunedì hanno invece scelto l’astensione di massa. Diversamente, al primo turno, è andato il voto alla Falchera, che è tornato in quota centrosinistra, così come Mirafiori Sud che nel 2016 ero andato al M5S.

L’allarmismo antifascista di comodo e la leggenda metropolitana che l’astensionismo favorisca la destra, questa volta si sono smentiti a vicenda, a conferma che i parametri della politica dentro i meccanismi elettorali sono cambiati radicalmente. Prima se ne prende atto meglio è.

Nei prossimi giorni ne discuteremo più approfonditamente.

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