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24/10/2021

Fan token: il mercato del nulla

“Lui si era accorto che vendevo l’aria a prezzi altissimi…”

Roberto Vecchioni, Pesci nelle orecchie, Ipertensione, 1975

In un vecchio film di Totò del 1950, Totò sceicco, a un certo punto il principe della risata si trova assetato in un deserto; improvvisamente ecco presentarglisi un venditore di limonata; Totò paga e fa per bere la limonata... ma si scopre che era invece un miraggio e non ha alcuna limonata in mano; eppure, il “miraggio ladro” aveva preso le 50 lire per pagare la limonata!

Nell’economia di oggi stiamo assistendo alla nascita di qualcosa di molto simile al “miraggio ladro” del famoso film di Totò. È infatti sempre più comune da parte di società calcistiche europee, squadre di basket americane, tornei di tennis, ecc., emettere “titoli digitali” detti fan token, vere e proprie criptovalute (rientranti nella categoria degli utility token), che forniscono accesso a beni e servizi legati al club per conto del quale vengono emessi.

Il meccanismo è il seguente: una società terza emette questi titoli digitali sponsorizzando la squadra di calcio e ricevendone in cambio la possibilità di utilizzare il nome e l’immagine della squadra; i titoli digitali sono creati, venduti e scambiati tramite l’utilizzo della blockchain, la tecnologia alla base delle criptovalute. Ora, una volta comprati, questi titoli digitali non rendono nulla, né dividendi né interessi, e tantomeno prevedono il rimborso del capitale; vendendoli sul mercato secondario, però, si possono realizzare guadagni (e soprattutto perdite) in conto capitale.

La novità del fan token è che, in cambio dei soldi spesi per il relativo acquisto, esso permette di ricevere video esclusivi, sconti su gadgets o riconoscimenti dello stato di tifoso. Inoltre, tramite i fan token si può votare per decidere alcuni aspetti di marketing e di immagine della squadra tifata, per esempio la grafica della maglietta della squadra. Da un punto di vista di rendimento economico, questi benefit equivalgono praticamente a nulla. Per un’analisi più dettagliata, rimandiamo a questo recente contributo.

L’idea nasce nel 2019 con l’emissione di fan token della Juventus, ma è con la pandemia del 2020-2021 che si diffonde. In quel periodo, infatti, gli stadi sono vuoti, le società calcistiche incassano meno e il pubblico da casa cerca nuovi modi per seguire “a distanza” le proprie squadre preferite.

Passata però la fase più acuta della pandemia, il fan token resta un nuovo strumento che finanzia decine di squadre calcistiche europee (spesso le più ricche e famose), raccogliendo risorse tra i tifosi e i piccolissimi risparmiatori senza dover pagare loro alcun compenso economico. Inoltre, fino a poco tempo fa molti dei benefit che i fan token assicurano erano praticamente gratuiti e certo non oggetto di speculazione finanziaria (se, ad esempio, una squadra lanciava un sondaggio per decidere la grafica della nuova maglia, parteciparvi era quasi certamente gratuito).

Inutile dire che, ovviamente, il titolo è rischiosissimo in quanto legato alle dinamiche delle criptovalute, all’andamento della squadra nel campionato di calcio, all’andamento borsistico delle azioni delle società calcistiche e all’operato della società che emette le criptovalute. Per esempio, si possono comprare fan token di una squadra a 10, poi questa perde un derby o esce uno scandalo calcistico o societario, il mercato sconta questi fattori e tutti vendono fan token di quella squadra: il valore del titolo passa, ad esempio, da 10 a 1.

Questo può sempre avvenire nel mondo finanziario, ma solitamente gli investimenti sono legati più strettamente all’andamento del sottostante (che garantisce le fluttuazioni del titolo, se non si parla di titoli derivati) e avvengono tramite operatori specializzati che dovrebbero, almeno in teoria, valutare la rischiosità degli investimenti e “proteggere” in qualche misura gli investitori. I fan token invece non sono regolamentati, possono essere acquistati solamente tramite cellulare e sono rivolti a un pubblico del tutto inesperto e indifeso dalle insidie del mondo della finanza. Nulla vieta infatti agli squali finanziari di investire sul titolo, magari al ribasso, rovinando i piccoli investitori.

Per il capitalismo predatorio di oggi, invece, i titoli digitali sono una manna dal cielo per poter reperire risorse senza preoccuparsi di dare nulla in cambio o di dover rispettare i dettami della (seppur blanda) regolamentazione finanziaria. Sfruttare l’amore per la maglia dei tifosi, per fare soldi facili è ovviamente remunerativo. Ma il fenomeno ha tutti i requisiti per estendersi oltre, magari con fan token di cantanti, film, serie tv, e perché no partiti politici (altro che congressi vecchio stile, già praticamente sostituiti dalle “primarie”).

Le grandi squadre europee – le stesse che hanno provato a imporre il progetto della Superlega – ci sono dentro fino al collo. La logica è sempre la stessa: le società continuano nel loro tentativo di aggiustare un modello di business disastroso aumentando le entrate, tramite un ulteriore strumento di finanziarizzazione. Pare invece sempre più evidente la necessità di un ridimensionamento dei costi, grazie anche all’introduzione di un tetto salariale, un limite massimo per la somma che ciascuna società può spendere annualmente per gli ingaggi del proprio organico.

Che il capitalismo sia alla ricerca del profitto alle spese di lavoratori, consumatori e in questo caso tifosi si è sempre saputo e per questo va combattuto; tuttavia, potremmo essere di fronte a una svolta tecnologico-finanziaria dalle implicazioni inimmaginabili. Una prima rivendicazione politica in materia potrebbe essere la richiesta di regolamentare attentamente questo tipo di mercati in modo da tutelare i piccoli risparmiatori. Nel frattempo, alcune tifoserie organizzate, come quella del West Ham, si sono battute contro i fan token, ottenendone il ritiro.

La lotta contro la trasformazione del calcio da sport popolare ad hobby elitario ha mille componenti e diversi livelli di scontro, ma dovrebbe appartenere a tutti quelli che amano questo sport. Per tutti quelli che rifiutano l’equazione tifoso-consumatore e il tentativo di trasformare definitivamente questo sport in uno show è necessario costruire un’altra idea di calcio, di politica, di mondo, che metta sottosopra le dinamiche del calcio moderno. Per fortuna, alcuni tentativi in tal senso sono ormai realtà ben affermate e altre crescono giorno dopo giorno.

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