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16/10/2021

Cina - Crescita economica, progresso e trasformazioni sociali

La tempestosa crescita cinese.

La struttura economica cinese ha registrato, dalla sua fondazione ad oggi, un eccezionale sviluppo certificato dalla crescita del Pil che l’Istituto Nazionale di Statistica della Repubblica Popolare, a luglio 2019[1], ha quantificato, per il periodo compreso fra il 1949 e il 2018, ad un tasso medio annuo dell’8,1%.

A seguito dell’approvazione delle “Linee di riforma e apertura economica” che hanno avviato la transizione del sistema economico, a partire dal 1979 e per i due decenni successivi (grafico 1), la Cina ha vissuto una rapida, ma non sempre regolare, crescita con percentuali variabili tra il 4 e 14% annuo. Dopo il rallentamento del biennio 1998-99, a seguito della crisi finanziaria dei Paesi del Sud-est asiatico, il tasso di crescita ha iniziato ad aumentare di nuovo sino ad un massimo del 14% nel 2007 alle soglie della crisi globale, per poi gradualmente ridursi sino a stabilizzarsi, dopo il 2012, su valori di poco inferiori all‘8% e assestarsi, nel quinquennio 2015-19, su incrementi compresi fra il 6 e il 7% (tabella 1 [2]).

Da uno sguardo sinottico sui primi 40 anni della fase post-maoista, emerge come, a seguito delle riforme, l’economia cinese sia cresciuta ad una media del 9,4% all’anno, un tasso superiore di oltre 3 volte rispetto al 2,9% della media mondiale.

Grafico 1: anni 1984-2013. Diagramma lineare: variazione annua del Pil in percentuale. Istogramma: crescita entità totale del Pil in renminbi (o Yuan, con cui si identifica l’unità monetaria di base).

Una straordinaria espansione dell’economia certificata dalla crescita del Pil, il quale, sempre secondo il solito rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica cinese, dai soli 67,9 miliardi di yuan del 1952 ha raggiunto i 90.030 miliardi di yuan (circa 13.140 miliardi di dollari) nel 2018 (con un incremento di ben 1.325 volte), un valore pari al 16% del totale dell’economia mondiale; mentre il Pil pro capite nel 2019 ha superato per la prima volta 10.000, facendo attestare la Cina fra i paesi a sviluppo intermedio[3].

Tabella 1: tassi di crescita annuali 2015-2019 rilevati in base a la “Nuova normalità”. Fonte: Banca Mondiale

Il forte surplus commerciale degli ultimi 15 anni (grafico 2), nonostante sia sotto attacco a seguito della guerra commerciale innescata da Trump, ha consentito alla Cina, ormai prima potenza commerciale mondiale dal 2013, di aver accumulato, sino al 2018 nelle proprie casse, ben 3.070 miliardi di dollari di riserve valutarie, segnando per il tredicesimo anno consecutivo il più alto valore a livello mondiale. La Cina è divenuto il primo partner commerciale, scalzando gli Usa, di Giappone (2004) India (2008) e Brasile (2009)

Grafico 2: andamento import-export Repubblica Popolare Cinese anni 1995 – 2017. Dati in miliardi di dollari provenienti da “THE OBSERVATORY OF ECONOMIC COMPLEXITY”

La “Nuova normalità”

Il delicato passaggio del rallentamento della crescita al di sotto del 10% degli ultimi quindici anni è stato accuratamente pianificato e gestito dalla dirigenza cinese attraverso una specifica politica economica, che approvata nel marzo 2015 dall’Assemblea Nazionale, ha assunto la denominazione di “Nuova normalità”. Quest’ultima prevede non solo la riduzione e l’assestamento dei tassi di crescita per gli anni successivi intorno al 7%, ma come annunciato dallo stesso Primo Ministro Li Keqiang, la Cina «deve conservare un equili brio tra la necessità di assicurare una crescita costante e quella di promuovere aggiustamenti strutturali». «Metteremo in atto la strategia “Made in China 2025″ -ha proseguito Li Keqiang- cercando uno sviluppo basato sull’innovazione, perseguendo lo sviluppo verde e raddoppiando i nostri sforzi per migliorare la Cina, facendola diventare da un produttore di quantità, uno di qualità».

Gli obiettivi individuati dal governo mirano:

- alla trasformazione dell’apparato produttivo tramite l’espansione del settore Hi-Tech con il conseguente ridimensionamento del manifatturiero a basso costo e basso valore aggiunto

- alla diminuzione dell’inquinamento

- all’innalzamento dei redditi dei ceti inferiori al fine di ridurre le disuguaglianze sociali

- ad incrementare la domanda interna per compensare il rallentamento di quella internazionale.

La Cina ha cercato, quindi, di porre rimedio all’andamento incerto, e tendenzialmente in fase di rallentamento, dell’economia mondiale (tabella 2) cercando di aumentare i consumi nazionali e di creare un «mercato interno capace di essere volano dell’economia, per i prossimi anni a venire», come ha concluso il primo ministro Li.

Inizio 2020: il Covid 19 deflagra dall’epicentro di Wuhan

L’esplosione della pandemia ad inizio 2020 nella provincia dell’Hubei e la successiva propagazione all’interno del Paese hanno inevitabilmente generato, a seguito delle stringenti misure adottate dal governo, immediati effetti negativi sull’economia cinese spingendola in recessione nel trimestre iniziale dell’anno (-9,7%); il primo da quando viene effettuata la rilevazione trimestrale dell’andamento economico dal 1992 (grafico 3).

L’efficacia delle politiche governative volte al contenimento della diffusione del virus ha, tuttavia, permesso all’economia cinese, la prima a livello mondiale a subirne gli effetti nel primo trimestre dell’anno, di riprendere la sua traiettoria di crescita sin dal secondo, mentre, nello stesso periodo, le economie europee scivolavano in profondo rosso.

Il corposo rimbalzo del secondo trimestre (+11,6%) ha consentito all’economia cinese l’immediato recupero del terreno perso nel primo e, nella seconda metà dell’anno, di ritornare a livelli di crescita addirittura superiori a quelli antecedenti l’esplosione della pandemia.

In pratica, ad un solo mese di distanza dalla dichiarazione dello stato di pandemia mondiale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvenuta l’11 marzo 2020, mentre i Paesi sviluppati iniziavano a sprofondare nel baratro della recessione, le autorità cinesi l’8 aprile già procedevano alla rimozione del durissimo lockdown introdotto il 23 gennaio a Wuhan e nell’intera provincia dell’Hubei.

Straordinario risultato senza dubbio riconducibile in primis alle misure di gestione della pandemia da parte delle autorità cinesi che l’articolo “China’s success full control of Covid-19”[4], pubblicato dalla prestigiosa rivista medica The Lancet – Infectious Diseases (grafico 3), individua in:

- un sistema centralizzato di gestione delle epidemie

- misure restrittive particolarmente stringenti

- un sistema nazionale di tracciamento dei contatti

- capacità di adattare l’apparato industriale all’impennata della domanda di dispositivi di protezione individuale (dpi) come mascherine, camici e di altro materiale medico come i ventilatori polmonari

- la collaborazione attiva della popolazione nel rispettare le misure adottate dal governo

- sistematico controllo della trasmissione del virus sui territori e dei flussi di persone dall’estero

- scarsa presenza, solo il 3% del totale, di popolazione anziana in strutture di riposo.

Grafico 3: andamento dei contagi nella Rep. Popolare Cinese nei primi 11 mesi del 2020.

Conferma in tal senso arriva anche dal dr Gregory Poland, direttore del Vaccine Research Group della Mayo Clinic of Rochester (Usa), i quale ha individuato nella rapidità di risposta l’arma più efficace adottata dal governo, specificando che “In Cina hai una combinazione tra una popolazione che prende sul serio le infezioni respiratorie ed è disposta ad adottare interventi non farmaceutici, con un governo che può imporre forti limitazioni alle libertà individuali che non sarebbero considerate accettabili nella maggior parte dei Paesi occidentali. L’impegno per il bene superiore è radicato nella loro cultura; non c’è l’iper individualismo che caratterizza gli Stati Uniti e che ha guidato gran parte della resistenza alle contromisure contro il Covid”.

Effetti eccezionali non solo per la gestione della prima fase pandemica ma soprattutto perché ha evitato le varie ondate successive che invece hanno investito la quasi totalità dei Paesi.

Grafico 4: variazione percentuale trimestrale del Pil della Repubblica Popolare Cinese (2018-2021)

2020: la pandemia si abbatte sull’economia mondiale

L’impatto della pandemia ha, invece, prodotto effetti devastanti sull’economia globale, spingendola a fine 2020, secondo la Banca Mondiale, in una delle peggiori recessioni dal 1870. L’eccezionalità della crisi innescata dalla pandemia viene confermata anche dal capo economista dell’Ocse, Laurence Boone, durante la presentazione dell’outlook sull’economia mondiale il 16 settembre 2020 a Parigi: “il mondo sta scontando il più drammatico rallentamento dai tempi della Seconda Guerra Mondiale”[5], indicando una riduzione del 5,5%, di poco superiore al 4,8% previsto dal Wto, il 6 ottobre dello stesso anno (tab. 2). Recessione che in era di globalizzazione è stata inevitabilmente accompagnata da una riduzione ancor più brusca del commercio internazionale di beni, addirittura, stimata di entità doppia (-9,2%) rispetto al calo del prodotto lordo mondiale. Ciò a seguito anche della riorganizzazione delle catene globali del valore (Global Value Chains – GVC) improvvisamente rivelatesi fonte di fragilità e dipendenza dall’estero per le economie sviluppate. A seguito di ciò, le potenze industriali europee e, soprattutto, gli Stati Uniti, hanno cercato di riacquisire parziale “Autonomia strategica” (Fonte: Ocse 2020), quanto meno nei settori sensibili, imprimendo un nuovo impulso alle politiche di reshoring, che pur restando di dimensioni ridotte, hanno l’obiettivo strategico di mettere in sicurezza quanto meno le produzioni essenziali per l’interesse nazionale[6].

Tabella 2: variazione annua % Pil e commercio di beni mondiale 2015-2021. Fonte: Wto – 6 ottobre 2020[7]

Previsioni macroeconomiche indubbiamente drammatiche quelle delle due istituzioni internazionali, solo lievemente attenuate dai dati definitivi rilevati e diffusi dal Fmi per lo scorso anno, a seguito della sensibile ripresa dell’economia mondiale dell’ultima parte dell’anno. Il prodotto lordo mondiale subisce, infatti, un contraccolpo del – 4,6%, con i Paesi europei, i primi ad essere investiti dal Covid-19 dopo quelli asiatici, che registrano le situazioni più gravi: Regno Unito -9,9%, Italia -8,9%, Francia -8,3%, mentre la Germania si ferma ad un solo -4,8%. Tutti valori superiori sia alla media mondiale, sia al dato degli Stati Uniti (-3,5%) che confermano come l’Europa, e in particolare l’area dell’euro (-6,5%), abbia subito le ripercussioni economiche più gravi su scala globale (tab 3).

Nel contesto di questo panorama mondiale recessivo, spicca in senso inverso la situazione della Cina che registra nel 2020, sempre secondo il Fmi, un’espansione dell’economia pari al 2,3%, tasso che pur risultando il più basso degli ultimi 40 anni (grafico 1) consente al gigante asiatico, da un lato, di annoverarsi come unico paese in crescita fra le principali 20 economie mondiali (G20) e, dall’altro, di alleviare la gravità della recessione globale. Una performance inferiore solo a quella del Vietnam (+2,9%), Paese con modello politico-economico simile a quello cinese, del Bangladesh (+3,8%) già in fase di forte crescita prima della pandemia e dell’Etiopia, uno degli stati africani più dinamici, che registra un eccezionale +6,1%.

L’immediata ripresa dell’economia cinese, oltre alle rigide ed efficaci misure di contenimento della pandemia adottate dal governo, è frutto dell’implementazione di incisive politiche economiche basate su tre linee: un cospicuo aumento della spesa pubblica corrente (+10,5%), un’eccezionale ripresa dell’export (+30%) e un sensibile incremento degli investimenti pubblici produttivi e infrastrutturali (+14,9%) che ha compensato la diminuzione degli investimenti privati[8].

In sintesi il governo ha attuato un aumento del disavanzo pubblico imponendo agli istituti bancari di rifinanziare le linee di credito e di posticipare le scadenze e alle imprese pubbliche di aumentare gli investimenti con immediate ricadute positive sia sulla diminuzione dei consumi familiari, fermatisi a -5,8%, che sulla ripresa economica.

Tabella 3: variazione % Pil 2020 e previsioni 2021
Fonte: Wto – luglio 2021
https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2021/07/27/world-economic-outlook-update-july-2021


L’opposto andamento dell’economia cinese rispetto a quella mondiale e dei principali competitors, registrato nel 2020, ha inevitabilmente avuto riflessi sulla geoeconomia globale, nel cui contesto Pechino ha ampliato il proprio ruolo e il proprio peso aumentando dell’1% la quota di prodotto lordo mondiale, salendo al 18,3%, al cospetto degli Usa che restano stabili e dell’Ue che dal 15,4% del 2019 è sceso al 14,9%, un declino peraltro in atto da tempo, con il nostro Paese in prima fila sceso in solo anno da poco meno il 2% all’1,87%[9].

Divergenti dinamiche di recupero post pandemico che hanno, inevitabilmente, avuto riflessi sulle traiettorie di crescita delle due economie le quali, secondo il report del Centre for Economics and Business Research (Cebr)[10] del 26 dicembre 2020, si incroceranno ben 5 anni prima rispetto alle previsioni pre Covid. In sostanza, nel caso le previsioni dell’autorevole centro di ricerca si riveleranno centrate, già nel 2028 la Repubblica Popolare Cinese si ergerà al vertice della graduatoria delle potenze economiche mondiali, scalzando gli Stati Uniti.

Alla luce di tali dinamiche geoeconomiche vanno, quindi, interpretati alcuni recenti provvedimenti dell’amministrazione Biden tesi a ridimensionare la presenza militare Usa nello scenario Mediorientale, Afghanistan compreso, per aumentarla nello scacchiere Asia-Pacifico, rivitalizzando la politica obamiana del “Pivot to Asia” finalizzata al contenimento dell’espansione cinese nell’area.

Sviluppo economico e progresso sociale

La tumultuosa crescita cinese ha prodotto, per il Paese nel suo complesso, eccezionali progressi in campo economico, come abbiamo appena analizzato, con significativi riflessi positivi anche a livello sociale. Secondo la Banca Mondiale, da quando a fine 1978 Deng Xiao Ping ha fatto approvare “Linee di riforma e apertura economica”, circa 850 milioni di cinesi sarebbero usciti dalla povertà estrema, dei quali 770.000 residenti nelle aree rurali. Un’opera ciclopica mai realizzata prima nella storia dell’umanità che rappresenta il 70% del totale delle persone uscite dalla povertà nel periodo considerato a livello mondiale e che corrisponde alla popolazione dell’Ue a 27 (469 milioni) e degli Stati Uniti (329 milioni)[11] messi insieme.

Risultati in linea con il recente progetto di “Vitalizzazione delle campagne”, lanciato dal governo il 4 febbraio 2018, tramite il quale è stato prefissato l’obiettivo di far crescere l’economia delle aree rurali e ridurre, entro il 2034, lo squilibrio città/campagna, con lo scopo intermedio di eliminare completamente la povertà nel 2020, come previsto dall’ultimo ciclo di lotta alla povertà inaugurato nel 2012, quando i cinesi in povertà assoluta ammontavano a 98,99 milioni.

Eccezionali progressi che, nonostante la crisi recessione da Covid-19 del primo trimestre 2020, hanno consentito al presidente cinese Xi Jimping, in una cerimonia ufficiale a Pechino, di dichiarare, il 25 febbraio 2021, “vittoria totale” nella lotta alla povertà, a seguito dell’uscita dalla miseria degli ultimi 10 milioni di persone ancora presenti nelle aree rurali[12].

Specifichiamo tuttavia che la soglia di povertà rurale estrema in Cina è stata gradualmente innalzata negli ultimi anni in conseguenza dell’innalzamento dei redditi. Infatti, se nel 2016 si trovava in tali condizioni una persona con reddito annuo inferiore ai 3.218 yuan, corrispondenti a circa 1 euro e 10 centesimi al giorno[13], nel 2020 il parametro era stato innalzato a 4.000 yuan, pari a 620 dollari annui vale a dire 1,52 al giorno. Un parametro calibrato sulle condizioni socio-economiche interne cinesi che tuttavia risulta meno stringente rispetto alla soglia fissata dalla Banca Mondiale di 1.90 dollari al giorno (1,61 euro)[14].

Le trasformazioni del corpo sociale cinese: i nuovi ricchi

La struttura sociale cinese, come abbiamo già accennato, dopo l’egualitarismo dell’era maoista, ha subito profonde trasformazioni con la formazione di una corposa classe media composta attualmente da 430 milioni di persone[15] che, concentrate in prevalenza nelle aree urbane, insieme all’elite socio-economica composta dai nuovi ricchi, rappresentano i ceti economicamente in fase di espansione. Infatti, se la prima si è in pratica formata nel breve arco di 2 decenni, anche i secondi, i più facoltosi, sono in rapida crescita come testimoniato dal Billionaires Report 2018, dal quale emerge come miliardari, non i soli componenti di questa classe sociale, in Cina siano passati dai 16 del 2006 ai ben 373 nel 2017 e con un trend in accelerazione visto che proprio in quell’anno se ne sono registrati 89 di nuovi, esattamente il triplo rispetto agli Usa. I miliardari cinesi, circa un quinto del totale mondiale, hanno, inoltre, incrementato il loro patrimonio del 39% rispetto al 2016, facendolo salire a 1.120 miliardi di dollari[16].

L’immediata ripresa economica post pandemica ha innescato un’ulteriore accelerazione al trend sopra analizzato, come testimoniato dal report della Hurun Rich List 2020, l’equivalente cinese della rivista Forbes, del 21 ottobre 2020, il quale, rispetto all’anno precedente, ha rilevato una sensibile crescita del numero di miliardari cinesi e delle loro ricchezze. I miliardari, in un solo anno, aumentano, infatti, di 257 unità facendo salire il numero totale a 878 superando addirittura quelli statunitensi (788,) con i loro patrimoni che incrementano di ben 1.500 miliardi di $ portando il valore dei loro asset a 4.000 miliardi di $. Il solo Jack Ma, cofondatore di Alibaba, incrementa il suo patrimonio di ben il 45%, confermandosi per il terzo anno consecutivo in testa alla graduatoria con un patrimonio di 59 miliardi di $[17].

La classe media emergente

La classe media cinese emergente è contraddistinta da un’educazione di alto livello, è informata, abituata a viaggiare, orientata all’acquisto di prodotti tecnologici, all’utilizzo dei social network e allo shopping online e apprezza i prodotti occidentali e, in particolare, il made in Italy, pertanto rappresenta, soprattutto per la sua entità numerica, il ceto su cui il governo fa leva per l’espansione dei consumi interni. Il rapporto di McKinsey 2013[18], che fissava il reddito della classe media cinese tra i 9 mila e 34 mila dollari all’anno, aveva previsto che nel 2022 il 75% dei consumatori urbani della Repubblica popolare sarebbe appartenuto a tale fascia, confermando sia la sua crescita numerica, sia la sua concentrazione nelle aree urbane dell’area costiera, a più alto tasso di urbanizzazione e maggiormente progredita dal punto di vista economico.

Un ceto sociale, al pari dei nuovi ricchi, strettamente legato al Partito Comunista a seguito del fatto che il processo di espansione dell’economia è stato, e resta tutt’ora, subordinato al successo delle politiche implementate dal governo. A smentire le previsioni di alcuni politici e analisti occidentali, in particolare statunitensi, in base alle quali la classe media una volta raggiunta la prosperità economica avrebbe iniziato ad avanzare richieste di riforme politiche in modo da arrivare a scardinare l’egemonia del Partito Comunista dall’interno, è stato lo stesso Quotidiano del popolo. L’organo ufficiale di stampa del Pcc, nel 2017 ha, infatti, affermato, che l’ascesa della classe media non rappresenta una sfida all’autorità del Partito, anzi è fondamentale per sostenerne la legittimità. L’articolo, andava oltre, specificando addirittura che la classe media era diventata una forza trainante nel mantenimento della stabilità interna e che i Paesi che ne risultano sprovvisti, come quelli mediorientali e latinoamericani, affrontano crisi politiche e turbolenze sociali cicliche.

A conferma delle strette interrelazioni presenti fra la leadership politica e il ceto imprenditoriale cinese rileviamo le donazioni spontanee effettuate da alcuni dei nuovi ricchi a seguito del lancio della politica della “Prosperità condivisa” il 17 agosto u.s. tesa a ridurre gli squilibri e ad aumentare il tenore di vita dei ceti più bassi, chiamando a contribuire i soggetti che grazie allo sviluppo economico promosso dal Partito Comunista Cinese sono riusciti ad arricchirsi enormemente negli ultimi due decenni. A seguito delle dichiarazioni del presidente Xi Jimping rispetto alla finalità di “aggiustare i redditi eccessivamente alti” e di “rettificare la loro distribuzione” e promuovere la “prosperità condivisa”, invece che una levata di scudi come sarebbe successo nella quasi totalità dei Paesi, si sono registrate una serie di corpose donazioni da parte dei nuovi ricchi a beneficio delle casse statali da impiegare nelle politiche reddituali perequative a favore dei meno abbienti. Attento alle sollecitazioni governative Jack Ma, i primi di settembre, ha tempestivamente annunciato una donazione spontanea al fondo perequativo di 15,5 miliardi di $ dando la stura a comportamenti analoghi da parte dei suoi pari grado.

Conclusioni

“Arricchirsi è glorioso”, sosteneva Deng Xiaoping all’indomani dell’approvazione delle Riforme a fine 1978. Oggi con Xi Jimping le politiche stanno cambiando e forse non è casuale che il ritorno di centralità del pensiero di Mao, al quale il presidente in carica dichiara di volersi ispirare, venga accompagnato da significativi correttivi alle linee di politica economica. Non è certo in corso un ritorno all’egualitarismo solidale dell’economia socialista e collettivista. Tuttavia, le ultime politiche economiche cinesi, tendenti alla prosperità di tutto il popolo, all’equità e alla pace sociale, rappresentano paradigmi che potrebbero aprire spazi di riflessione anche in Occidente.

Andrea Vento – 9 Ottobre 2021
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati


Note

1) http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/dalla_cina/2019/07/02/in-70-anni-pil-cina-cresciuto-dell81-medio-lanno_816fb340-4d29-4a64-a499-4269d2b13351.html

2) https://www.ilsole24ore.com/art/cina-crescita-mai-cosi-bassa-1990-2019-solo-61percento-AC7hvcCB

3) https://www.ilsole24ore.com/art/cina-crescita-mai-cosi-bassa-1990-2019-solo-61percento-AC7hvcCB

4) https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(20)30800-8/fulltext

5) https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Coronavirus-Ocse-Peggiore-crisi-dal-dopoguerra-Pil-Italia-10-5-2020-5-4-2021-9187bd81-ba9a-4e88-bc70-b22accaf0915.html

6) https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/06/01/reshoring-globalizzazione-pandemia/

7) https://www.wto.org/english/news_e/pres20_e/pr862_e.htm

8) https://aspeniaonline.it/la-via-cinese-alla-ripresa-post-covid/

9) https://www.bancafucino.it/sito-istituzionale/sala-stampa/fucino-social/la-pandemia-ha-accelerato-lavvicinamento-dei-paesi

10) https://cebr.com/

11) https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/02/25/cina-xi-ufficializza-la-sconfitta-la-poverta-estrema-_121995ff-9338-4606-8522-46b5f87048f2.html

12) https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/notiziario_xinhua/2021/02/25/xi-dichiara-vittoria-totale-cinese-sulla-poverta_7dd927ff-ca18-4ea1-a881-415cf4515f30.html

13) https://www.internazionale.it/reportage/gabriele-battaglia/2020/08/10/cina-poverta

14) https://aspeniaonline.it/articolo_aspenia/quanto-pesa-e-cosa-vuole-la-classe-media-in-cina/

15) http://www.limesonline.com/rubrica/la-cina-inizia-anno-del-cane-con-la-lotta-alla-poverta

16) https://cinainitalia.com/2019/03/12/miliardari-cinesi/

17) https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/lusso/2020/10/21/in-cina-i-miliardari-battono-il-covid-piu-ricchi-che-mai_82f4648e-cfef-4284-9d12-3622f538bac6.html

18) https://www.mckinsey.com/industries/retail/our-insights/mapping-chinas-middle-class

Fonte

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