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18/10/2021

Il toreador Draghi

È difficile fare la cronaca dal porto di Trieste o dalle strade di Milano. Portavoce che si dimettono e poi ci ripensano; la protesta che prima viene revocata e poi confermata; no vax da tutto il nord che stazionano al varco; vecchi attori rimbambiti che recitano l’ultimo triste ruolo; “anarchici” dietro un tricolore dalle parti di Piazza Fontana (!); rivoluzionari da social scatenati (a parole, ovvio) contro “chi non sta con i lavoratori”, ma che non sono scesi in piazza per lo sciopero generale (solo una settimana fa); polizie che si preparano allo sgombero forzato (hanno già cominciato, con gli idranti); fascisti di piazza che gongolano e fascisti di governo che si preparano a tirare le reti...

Non è difficile, invece, capire come finirà.

Il green pass è un diversivo, un azzeccagarbuglio da burocrati per stimolare la vaccinazione, un succedaneo furbetto dell’obbligo vaccinale, progettato come ricatto supplementare sui posti di lavoro (lo dimostra Brunetta, che lo vuole anche da chi è in smart working).

Con l’85% della popolazione over 12 già vaccinata, dunque con l’obbiettivo del 90% ormai alle viste, dai piani alti del governo (tramite “gli esperti”) già si comincia a far capire che, a quel punto, potrà anche essere ritirato. Insieme ad altre misure di contenimento del contagio sicuramente più efficaci.

Nel frattempo la Gran Bretagna, che aveva interrotto prematuramente la vaccinazione di massa (una volta arrivati a circa due terzi della popolazione), torna a vedere code di ambulanze all’ingresso degli ospedali, 45.000 contagi al giorno, un sistema sanitario (fortemente privatizzato) di nuovo vicino al collasso.

Ma ai signori del profitto va bene così, per ora. Per fare business non bisogna fermare mai la circolazione di uomini e merci. E se così facendo circola anche il virus, “beh... pazienza”, come diceva quel confindustriale di provincia a proposito dei morti per Covid nelle fabbriche.

Il loro problema non è mai stato quello di combattere la pandemia, hanno voluto le fabbriche aperte anche durante il lockdown, figuriamoci... Semmai hanno il problema di scaricare su qualcun altro la responsabilità della strage (132.000 morti, probabilmente sottostimati, visto il caos dei primi mesi, con la gente che moriva in casa senza cure).

Il green pass è stato il diversivo perfetto, a questo scopo.

Basta un tampone per averlo, dunque non è una misura sanitaria. Ma se non ce l’hai non entri al lavoro. E se non ti presenti lo stesso al lavoro tutti i giorni per farti dire che non puoi entrare, rischi il licenziamento per “giusta causa” (assenza ingiustificata). Una riedizione casareccia del glorioso “comma 22”...

Ma fino a giovedì scorso tutti erano obbligati a lavorare in qualsiasi condizione, anche se malati (di Covid o di altro, lo si sarebbe visto poi). Comprensibile che ci si incazzi. Ma ancor più comprensibile che si incazzino tutti i lavoratori che si sono vaccinati (la stragrande maggioranza, visto che l’85% della popolazione lo è). Perché la sicurezza sul lavoro – quella per la cui assenza ogni giorno muoiono almeno 3 esseri umani, in Italia – è un dovere di tutti noi, oltre che dell’azienda che se ne frega.

Non vaccinarsi è una pratica, non un’”opinione” senza effetti concreti sulla vita propria e degli altri. La questione l’abbiamo affrontata cento volte, potete controllare. E sulle pratiche sbagliate ci si scontra, anche tra lavoratori e tra compagni.

La condizione di lavoratori consente di identificare con chiarezza gli interessi di classe nei rapporti di lavoro. Salario, tempi, ritmi, pause, sicurezza, ecc., sono tutte questioni su cui chiunque è in grado di capire se ci guadagna o ci perde da un cambiamento (da conquistare o da subire).

Su tutto il resto – ed è molto – un lavoratore è un essere umano esposto a tutte le influenze, positive e negative, che attraversano il corpo sociale. Come si dice a Roma, “ne conosco di romanisti e di laziali” (o interisti e milanisti, se preferite).

Sui vaccini, ahinoi, non possono dire nulla di particolarmente diverso da quel che gira nel loro ambiente sociale, extralavorativo. Un no vax non è che abbia più credibilità quando indossa una tuta o una pettorina...

Questo spiega in parte la confusione intorno al porto di Trieste, e la sua sostanziale diversità rispetto ad altri porti (che pure hanno fatto un giorno di protesta contro l’obbligo di green pass, venerdì). Intorno a quella protesta si è aggregato un po’ di tutto, a questo punto, e la direzione di marcia è diventata molto incerta.

Non a caso, ci sembra, questo tema non ha “contagiato” i lavoratori della Gkn, dell’Alitalia, della Henkel, della Gianetti ruote, della ABB, della Whirlpool, della Shiloh e delle altre cento altre vertenze in corso contro i licenziamenti in tutta Italia.

Del resto, se il cuore di una lotta è un diversivo, perdere la rotta è nell’ordine delle cose. E quindi la sconfitta è prevedibile. Mentre la vittoria è impossibile, perché non c’è nulla da conquistare (il green pass è un diversivo temporaneo).

Solo che le conseguenze non riguardano solo i portuali di Trieste, ma tutti noi. Vediamo maturare ai piani alti del governo – con il “consenso informato” di CgilCislUil – nuove strette sul diritto di sciopero. Così come l’assalto fascista di Castellino e Fiore alla Cgil prepara strette al diritto di manifestazione (non dei fascisti, le nostre...).

Il green pass è un diversivo, una muleta manovrata con la sinistra da un toreador spietato, che nasconde la spada impugnata con la destra.

Tra un mese o due verrà tolto di mezzo, senza problemi. Le “ragioni” di questa protesta spariranno con lui, e così “la gente” che solo per questo è scesa in strada, indifferente all’aumento delle bollette, ai prezzi che salgono e ai salari che restano fermi, ai licenziamenti liberi, ecc.

E dovremo fare i conti con un panorama peggiorato su tutti i fronti, con meno diritti e forza, con più divisioni e debolezza. Con “riforme” sanguinose ormai in rampa di lancio e una “legge di stabilità” disegnata sul capitale multinazionale.

Siamo ancora in tempo per riprendere la rotta giusta. Lo sciopero dell’11 ottobre sta lì a segnarne l’avvio. Il nemico è il toreador, bisogna tener d’occhio la sua spada e fanculo alla muleta.

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