L’aumento dei prezzi degli idrocarburi sta avendo impatti sui prezzi al dettaglio: un pieno per autotrazione gpl è lievitato di circa 6 €, la benzina sulle autostrade ormai supera i 2 €, il metano per auto è schizzato a 1,9 € al chilo, mentre il gasolio su cui viaggia il grosso delle merci viene venduto tra gli 1,7 e i 2 € al litro (fonte MISE).
Inevitabilmente i prezzi degli idrocarburi stanno facendo lievitare i prezzi delle tariffe di gas e elettricità, con rincari delle bollette tra il 20% e il 40% che si abbattono sui salari di lavoratori dipendenti, precari e piccole attività, a cui si devono aggiungere 3 milioni di pensioni povere che oscillano tra 500 € e 750 €.
È assolutamente insufficiente e demagogica la manovra del governo, che riduce di 13€ l’aumento di 40 € su una bolletta elettrica che prima era di 100 €. Una detrazione simile è stata annunciata da Cingolani per il gas.
Si tratta di misure temporanee, colpevolmente scarse di fronte ad aumenti che pregiudicano il diritto a gas ed elettricità ed espongono persone in difficoltà al distacco da utenze vitali.
A pagarne il prezzo sono le retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati ferme da anni; da una parte i governi succedutisi e dall’altra Confindustria Cgil, Cisl, Uil e Ugl, hanno introdotto nei contratti strumenti di blocco dei salari. Ad esempio, l’indice IPCA che depura i salari dall’aumento degli idrocarburi.
Basti pensare che nel solo 2020, un lavoratore a tempo indeterminato ha perso mediamente 887 € l’anno, un crollo in continuità con le politiche che in 20 anni hanno prodotto una perdita di oltre 5000 € lordi dei salari medi in Italia.
Il CCNL dei Metalmeccanici siglato a febbraio 2021 conferma l’impostazione di compressione e controllo dei salari, una scelta comune ai rinnovi in tutti i settori dell’industria. Un regalo ai padroni.
Era evidente che con la ripresa di alcune attività ci sarebbe stata una risalita della domanda, tant’è che oggi si registra un +16% nei prodotti in metallo, +10% nella fabbricazione di macchinari e +6,3% nella fabbricazione di apparecchiature elettriche. In buona sintesi i lavoratori dell’industria lavoreranno maggiormente, spenderanno di più per se stessi e le proprie famiglie ma guadagneranno di meno.
L’altro corno è rappresentato dalle aziende in crisi o sottoposte alla speculazione, alle delocalizzazioni e alla competitività. Tra tutti l’automotive che dopo avere incassato miliardi di fondi e sovvenzioni pubblici oggi denuncia un indice negativo nella produzione del -23,7%.
Il calo delle vendite, il costo delle materie prime e il processo di innovazione tecnologica legato all’auto elettrica stanno profilando un profondo processo di ristrutturazione che il padronato del settore auto, Stellantis in testa, vuole affrontare allungando le mani su fondi pubblici, agevolazioni fiscali e libertà di licenziamento come dimostrano gli attacchi sferrati contro i lavoratori della Gianetti Ruote, di GKN e le riduzioni del personale annunciate nel gruppo Stellantis e nell’indotto.
In questo contesto la vicenda Alitalia-ITA, con l’adozione del regolamento che taglia le retribuzioni ITA del 30-40% e il licenziamento di 8000 lavoratori Alitalia da parte di un’azienda 100% pubblica, dimostra qual è la politica del commissario UE Draghi, messo a capo del governo e della coalizione che lo sostiene.
Siamo di fronte ad un attacco padronale senza precedenti. Lo sciopero dell’11 ottobre del sindacalismo di base ha rappresentato un segnale importante, sedimentando l’iniziativa sindacale conflittuale, rivendicando la difesa del salario dall’inflazione, la tutela dell’occupazione attraverso vere nazionalizzazioni, l’introduzione del salario minimo per legge, ammortizzatori sociali universali che coprano l’80% della retribuzione precedente, riduzione dell’orario di lavoro per dare lavoro e salario e aumento delle pensioni per darci futuro e dignità.
Rivendicazioni che sono ancora più da rafforzare di fronte ad una finanziaria che nei suoi contenuti continua a privilegiare le imprese e a mortificare la gran massa di lavoratori e lavoratrici poveri, di pensionati che non raggiungono certo i 28.000 euro annui di reddito per i quali, secondo Draghi, dovrebbe cominciare a diminuire l’IRPEF.
Per non parlare poi dell’attacco alle pensioni, al Reddito di Cittadinanza e agli ammortizzatori sociali, a politiche vere per l’occupazione, capitoli che vedono sostanziali tagli alle risorse.
Le ragioni dello sciopero vengono rafforzate dalle scelte di questo governo e di tutte le parti sociali concertative, responsabili dello sfascio politico, sociale e culturale di questo paese.
Alle prossime mobilitazioni!
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