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31/10/2021

Pensioni: il lavoro infame di CgilCislUil

“Per quanto riguarda le pensioni l’impegno del governo e ritornare in pieno al sistema contributivo”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri che ha approvato la legge di bilancio.

E come al solito, su un tema delicato qual’è quello delle pensioni perché va ad incidere sulle condizioni di vita di decine di milioni di persone, assistiamo, per l’ennesima volta, alle indecenti sceneggiate delle tre maggiori confederazioni sindacali.

Si, perché, a proposito delle manovre in corso, in questi giorni, sulle pensioni, andrebbe ricordato ai più giovani che l’idea di cambiare il metodo di calcolo da “retributivo” a “contributivo” con la legge Dini del 1995, in vigore dal 1° gennaio 1996, fu dei proprio dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil.

Una legge che segnò la fine del sistema previdenziale italiano solidale che garantiva pensioni dignitose a tutti. Basti dire che la proposta di Berlusconi di 2 anni prima che prevedeva “soltanto” di diminuire il coefficiente di ogni anno di anzianità, era, senza alcun dubbio, migliore.

Il calcolo contributivo, infatti, non si basa sugli ultimi stipendi o sulla media delle retribuzioni percepite come il sistema retributivo, ma sui contributi effettivamente versati nel corso dell’attività lavorativa, rivalutati e trasformati in rendita da un coefficiente che aumenta all’aumentare dell’età pensionabile.

Un calcolo che penalizza fortemente le categorie più povere, non prevedendo più nessun meccanismo solidaristico di compensazione. Di fatto, una poderosa spinta alla privatizzazione di tutto il sistema previdenziale pubblico che viene così trasformato progressivamente in ente che elargisce solo sussidi caritatevoli per i più poveri.

E quale fu il movente? Semplice: con l’entrata in vigore della riforma Dini (legge 335/1995) furono introdotti i fondi pensione cogestiti da assicurazioni e sindacati con la previsione di consigli di amministrazione “chiusi”, ovvero con dentro i sindacalisti (i così detti “enti bilaterali“, ovvero, organismi paritetici costituiti da associazioni padronali e sindacati dei lavoratori).

Sul punto Cgil Cisl e Uil non hanno mica cambiato idea e lo hanno chiaramente ribadito in questi giorni come da dichiarazioni riportate dal quotidiano il manifesto del 28 ottobre 2021(in foto).

Sappiano, dunque, chi devono ringraziare i lavoratori più giovani (tirati in ballo continuamente solo per aizzarli contro i più anziani) i quali, alla fine della loro infinita vita lavorativa (di mezzo tanti lavori a termine), percepiranno importi pensionistici da fame proprio grazie a quella riforma.

Una norma sciagurata che introdusse il famigerato “calcolo contributivo” proprio per ridurre drasticamente gli importi e spingere così i lavoratori a devolvere la propria indennità di fine rapporto in favore di una pensione integrativa privata.

Da allora, le sedi sindacali si sono trasformate, infatti, in dependance di alcuni grandi gruppi assicurativi ed i funzionari sindacali in veri e propri broker sempre a caccia di nuovi clienti.

Ma la cosa ancora più ignobile è che la svendita del sistema pensionistico pubblico del nostro paese fu ripagata ai traditori con una legge del 1996 che consente ancora oggi ai dirigenti sindacali italiani apicali di andare in pensione con il calcolo retributivo migliore del mondo: quello che consente di calcolare la pensione sull’ultimo mese di retribuzione percepito.

Ecco come si spiega, a titolo esemplificativo, una pensione stratosferica come quella dell’ex segretario della CISL Bonanni che ammonta a 336mila euro l’anno, ovvero, la stessa cifra che percepisce il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, o, per restare in Europa, il doppio esatto dello stipendio annuale del presidente francese Emmanuel Macron.

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