Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

24/10/2021

Era meglio morire democristiani?

C’era una volta il Ministero delle partecipazioni statali. Venne istituito alla fine del 1956 su spinta soprattutto di Giovanni Gronchi, un democristiano di sinistra eletto l’anno prima al Quirinale – a sorpresa – con un’operazione condotta da Giulio Andreotti, che proprio di sinistra non era, e soppresso fra il 1993 e il 1994 dal governo più “tecnico” che politico di Carlo Azeglio Ciampi. Il quale fece chiudere materialmente quel dicastero da un altro “tecnico indipendente”, Paolo Baratta.

Eravamo ormai all’epilogo della cosiddetta Prima Repubblica, durante la quale per le partecipazioni statali era passata anche parte del finanziamento illegale dei partiti, ma che soprattutto era stato lo strumento principale del controllo pubblico sull’economia e sui servizi pubblici essenziali.

Che potevano così essere accessibili a “prezzi politici” ed ancora alla larga da privati senza scrupoli che hanno come unico fine esclusivo il perseguimento del massimo profitto.

Agli inizi degli anni Novanta, Romano Prodi, presidente dell’IRI, inizia lo smantellamento di un Ente che contava 500.000 dipendenti.

L’IRI controllava Alitalia, Autostrade, Finmeccanica, Fincantieri e Aeroporti di Roma, i quali saranno poi immessi sul mercato ad uno ad uno. L’IRI, ormai svuotato di ogni suo ramo, verrà messo in liquidazione il 28 giugno 2000.

Dopo è la volta del Credit (Credito Italiano), che godeva di ottima salute, dell’IMI e della Banca Commerciale Italiana (Comit). Succede tutto tra il 1993 e il 1994.

Nel luglio 1996 furono avviate le prime privatizzazioni dei servizi pubblici locali grazie alla costituzione di società per azioni in cui i Comuni possono partecipare solo con quote minoritarie. Il 16 aprile 1997 venne privatizzato l’Istituto San Paolo di Torino.

Nel gennaio 1998 il Parlamento liberalizza il commercio, abolendo licenze e regole sugli orari. Poi è la volta della liberalizzazione della telefonia fissa (febbraio 1998) e dell’energia elettrica, fino alla privatizzazione dell’ENEL (1999).

Nel 1999 sarà Massimo D’Alema a proseguire il disegno di Prodi approvando un disegno di legge che privatizza definitivamente i servizi pubblici locali. Tutte le aziende municipalizzate che erogano in regime di monopolio acqua, gas, elettricità, trasporti urbani, rifiuti urbani vengono trasformate in imprese private.

A maggio del 2000 si liberalizza il commercio del gas. Poi è la volta delle TV. La “legge” Maccanico apre alla privatizzazione della RAI e di fatto salva le reti televisive di Berlusconi.

Infine, sempre nel 1998 le Ferrovie dello Stato vengono smembrate per poi costituire RFI (Rete ferroviaria italiana, pubblica) e Trenitalia (privata). Stessa sorte toccherà alle Poste, che diventeranno SpA.

Ed ancora, nel 1998, con l’approvazione della famigerata legge sull’“autonomia scolastica” voluta dall’allora ministro della pubblica istruzione, Luigi Berlinguer (PD), iniziò l’aziendalizzazione della Scuola, disarticolando uno dei migliori sistemi scolastici del mondo (nato da una legge del 1859) e introducendo la parificazione tra scuole pubbliche e private.

L’idea di Prodi era quella di “smantellare il Paese pezzo per pezzo” (citazione da un suo celebre discorso pubblico del 17 gennaio 1998 in provincia di Lecce). E ci riuscì benissimo perché il più grande partito di “sinistra”(PDS-DS poi PD) e le tre principali organizzazioni sindacali gli fornirono quel sostegno politico e sociale senza il quale Prodi non avrebbe cavato un ragno dal buco.

E lo strumento principale di questa poderosa attività di smantellamento del sistema pubblico del paese fu, sicuramente, la “concertazione sociale” formalizzata nel Protocollo del 23 luglio 1993.

Nel 2012, il governo di Mario Monti, con il decisivo sostegno del PD e la tacita approvazione di CGIL, CISL e UIL, abbatté la sua pesante scure sulla sanità pubblica italiana con il “Decreto Cresci Italia” ed il “Decreto Balduzzi”: un salasso da 9,4 miliardi euro ai danni del Fondo sanitario spalmati dal 2012 al 2015, non a caso, avviati contestualmente alla frettolosa approvazione della Legge 1/2012 che ha introdotto in Costituzione il “principio del pareggio di bilancio”.

Venne così spianata la strada allo smembramento della medicina territoriale e del Servizio Sanitario Nazionale ed allo spostamento dell’offerta sanitaria verso le strutture sanitarie private in convenzione.

Intanto, al centro di questo snodo pubblico-privato i partiti che erano al governo delle Regioni, continuavano ad alimentare poderosamente i loro sistemi di potere proprio attraverso la gestione dei servizi sanitari dopo la riformulazione del Titolo V della Costituzione del 2001 che aveva introdotto la competenza concorrente di Stato e Regioni in materia di tutela della salute.

Dunque, se nel Cile fu Pinochet, in seguito al colpo di stato cruento del settembre 1973, a prendere contatto con diversi economisti appartenenti alla Scuola di Chicago – i cosiddetti Chicago boys, tra cui il fondatore della scuola Milton Friedman, e José Piñera – in Italia, dagli inizi degli anni novanta, gli alfieri delle riforme miranti alla deregolamentazione (deregulation), al conservatorismo fiscale, alla privatizzazione del patrimonio statale, ai tagli alla spesa sociale ed alle politiche liberiste aperte agli investimenti selvaggi dei mercati internazionali e delle multinazionali, sono stati, senza dubbio, i governi di “centro-sinistra”.

Dal dispiegamento di quella travolgente sistematica ondata neoliberista sul paese ad opera dei vari governi sia “tecnici” che politici in cui la “sinistra” svolse un ruolo centrale o comunque decisivo, la dicotomia destra-sinistra perse definitivamente qualsiasi relazione con il significato che gli avevamo attribuito in precedenza e prese forma qualcosa che affonda le proprie radici nelle vicende legate al conflitto politico e sociale degli anni settanta.

Oggi il nostro è un paese smembrato, privo di infrastrutture strategiche, con salari da fame e servizi pubblici sempre più costosi e inefficienti; un paese senza una visione strategica del proprio futuro; un paese senza speranze da cui i giovani migliori sono costretti a scappare per sfuggire ad una vita di stenti e di lavoretti precari; un paese in mano a padroni avidi e rentiers parassiti; un paese paralizzato da una burocrazia elefantiaca e da una magistratura in mano ai sistemi di potere e sempre più subalterna agli esecutivi di turno.

E tutto ciò lo si deve innanzitutto a quei governi di “centro-sinistra” che sono riusciti a fare le cose che un tempo chiamavamo “di destra”, prima e meglio della destra.

Si, perché, nel confronto tra le due destre, quella tecnocratica e quella plebiscitaria, ha sempre avuto la meglio la prima. Tecnicamente...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento