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31/10/2021

Sodom - 2001 - M-16

Se c’è una line-up dei Sodom a cui non sono mai stato affezionato è quella con Bernemann e Bobby Schottkowski. Quest’ultimo oggi è in una delle due incarnazioni degli storici Tank, e, se siete interessati ai fenomeni di bipolarismo metallico (Batushka, Rhapsody), dovreste quanto meno documentarvi sulla loro attuale situazione, poiché è spassosa.

Tom Angelripper li aveva raccattati da un gruppo crucco chiamato Crows. Questi ultimi avevano pubblicato su Century Media un solo album, The Dying Race del 1991, un power metal raffinato ed americaneggiante che non lascia minimamente presupporre che alcuni di loro un giorno sarebbero finiti in una delle formazioni più rozze al mondo per antonomasia. Ogni volta che rileggo il nome di Bernd Kost (Bernemann) nei crediti di The Dying Race stento a crederci. Ma è così.

Gli errori che ho visto Bernemann mettere a segno sono per me una persecuzione, per quanto io non sia chitarrista; è l’anti palm-mute in persona e l’hanno preso in un gruppo thrash. Possa la Madonna perdonarmi per le cose che le ho detto le quattro volte che ho visto i Sodom con Bernemann alla chitarra. Bobby, invece, è un taglialegna prestato al drum kit. La suddetta line-up ha partorito un album pazzesco, uno solo, sebbene già da Till Death Do Us Unite si potesse percepire un piacevole vento di cambiamento. Questo disco è naturalmente M-16,. Figlio dello stesso 2001 di The Antichrist (finalmente bene) e Violent Revolution (bene, ma che paraculata gigantesca), batte entrambi gli album “rivali” giocando sul terreno dell’onestà e del fucile mitragliatore. 

M-16 è come quei videoclip reperibili su YouTube in cui i texani ci dimostrano che è possibile abbattere quaranta cinghiali in un pomeriggio sorvolando le praterie con un elicottero e un armamentario degno di Call of Duty – World at WarM-16 è un album “con la firma”, non dipende dagli accenni slayeriani come accaduto al pur buono Code Red, ma è Sodom in tutto e per tutto senza assomigliare né alle bordate di stampo Usa di Agent Orange né alla metallaraggine ostentata di Better off Dead, né al periodo estremo, né al violentissimo Tapping the Vein o agli ammiccamenti “punk” che ne seguirono.

M-16 è un’ultima versione inedita dei Sodom, corposa, egocentrica, a mitraglia, non troppo veloce ma nemmeno troppo melodica. È un album oscuro e pesantissimo, mai però spinto all’eccesso quanto il meraviglioso Tapping the VeinI tempi lenti si prendono tutta la parte centrale del disco, di cui ho adorato Little Boy più delle altre. Lo appesantiscono, forse, ma all’accelerazione di Lead Injection ci si sente nuovamente a casa. Gli ingredienti di facile richiamo sono la mid-tempo di sasso (Napalm in the Morning, volendo una nuova Remember the Fallen o una One Step Over the Line meno cupa) e la rockeggiante Marines, seguita dalla chiacchierata riproposizione di Surfin’ Bird. Fine.

Non mi interessano particolarmente i seguenti album dei Sodom. L’omonimo ha ancora benzina in corpo e un apprezzabile gusto melodico. In War and Pieces ha le ultime canzoni davvero sensate a firma della band tedesca. L’album orgoglioso, sfacciato e magnifico del trio (perché oggi un secondo chitarrista là dentro, perché?) Angelripper/Bernemann/Bobby è questo e soltanto questo. E quando uscì fu una goduria infinita esserne travolti. Un M-16 è per sempre. (Marco Belardi)

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