È in corso una discussione allucinante tra i sostenitori di quota 100 e i sostenitori di quota 102/103, per poi, trascorsi due-tre anni, tornare tutti alla Fornero. Nessuno si prende la briga di andare a vedere le proiezioni delle pensioni future, quelle conteggiate sulla scorta dei contributi versati.
Il futuro è la povertà di masse enormi di persone, di anziani, che avranno passato la propria vita a saltare da un lavoro a un altro, assunti con contratti a termine, precari, se non direttamente in nero i quali, arrivati a 70 anni – perché gli adeguamenti alla speranza di vita si fanno solo quando questa cresce, mai quando purtroppo diminuisce come a causa della pandemia – si ritroveranno in tasca una miseria.
I dati dell’INPS, a differenza di quanto vogliono farci credere, sul versante previdenza non sono affatto disastrosi. Diventano tali a causa degli innumerevoli adempimenti impropri in capo all’assistenza che sono stati attribuiti all’Istituto e ai salvataggi di enti previdenziali decotti che erogavano pensioni faraoniche ai professionisti e che hanno portato in dote all’INPS miliardi di deficit.
La vera questione è che con una previdenza sociale pubblica e funzionante i fondi pensione non avrebbero ragione di esistere e tutto il circuito finanziario che si muove intorno a questo enorme capitale di rischio, non potrebbe nutrirsi dei contributi estorti ai lavoratori.
La questione previdenziale non è solo questione economica, è anche questione etica e sociale. Tutti sanno che le prossime pensioni saranno veramente sotto la soglia necessaria a garantire la mera sopravvivenza. Tutti sanno che un mercato del lavoro sempre più flessibilizzato, senza controlli, polverizzato come quello che da alcuni decenni è diventato il modo di produzione principale, non consente il raggiungimento di una contribuzione adeguata a garantire una pensione decente, ma di questo non parla nessuno, a partire dai sindacati complici che siedono con i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione dei fondi pensione.
L’età pensionabile non è una merce, non si contratta di anno in anno, togliendo alle lavoratrici e ai lavoratori ogni certezza sul proprio futuro da anziani. USB ritiene da sempre che quaranta anni di lavoro, a prescindere dai contributi versati, e sessanta anni di età siano più che congrui per avere il diritto alla pensione, il resto è sfruttamento. Le trattative sulla pelle della gente le lasciamo a chi bada solo ad ottemperare ai diktat dell’Unione Europea e a chi ci specula e ci guadagna sopra.
Per noi continua la lotta per i diritti e la giustizia, contro le disuguaglianze e i furti di futuro.
Unione Sindacale di Base
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