Ci sembra ora di prendere per le corna uno pseudo-argomento, portato addirittura con ambizioni “epistemologiche”, che sta dietro e dentro l’ideologia “no vax”, i dubbi e le paure di tante gente (anche compagni di lunga esperienza), le diffidenze sui vaccini e zone limitrofe.
In breve, alcuni ci rimproverano di “berci la narrazione del potere” in materia di vaccini, perché “inconsapevoli” – nel migliore dei casi – del fatto che la scienza non è neutrale, in regime capitalistico.
Una discussione epistemologicamente seria su questo argomento richiederebbe uno spazio corposo e soprattutto un linguaggio specialistico ostico ai più, nonché – come nelle normali discussioni scientifiche – note e citazioni in abbondanza.
Siamo un giornale, abbiamo abituato i nostri lettori a una scrittura più attenta alla divulgazione che non allo specialismo, e dunque rimaniamo su questo piano, rinviando ad altre occasioni ogni confronto di livello “accademico”.
La discussione sulla non neutralità della scienza ha attraversato tutto il Novecento, e soprattutto gli anni Settanta. In Italia, in particolare, va ricordato il grande contributo di Marcello Cini, fisico de La Sapienza, comunista prima nel PCI e poi nel gruppo de il manifesto.
Il suo libro L’ape e l’architetto – a dispetto dei ricordi sballati di tale Gianni Riotta – segnò la discussione, sancendo la distanza irreversibile con lo scientismo, ovvero con la convinzione (una fede come un’altra) che solo la scienza positiva – quella che concretamente c’è in questo momento – può risolvere i problemi dell’umanità.
Il corollario dello scientismo positivista era naturalmente che la scienza progredisse in modo lineare – dall’ignoranza al sapere – senza troppe interferenze del mondo circostante sul lavoro degli scienziati, come se il “processo di produzione” della conoscenza fosse indifferente a qualsiasi condizionamento.
Non fu difficile, anche se doloroso per l’ego di molti scienziati, dimostrare che invece molto di quel lavoro dipende dal mondo circostante.
Influiscono molto le culture dominanti, in un certo periodo, in una certa area del pianeta; le tradizioni e i luoghi comuni; e più di tutto le esigenze del capitale.
A parte forse alcune istituzioni dedite alla ricerca pura – finanziate da grandi Stati o insiemi di Stati, quasi esclusivamente nell’ambito della fisica – la maggior parte della ricerca è oggettivamente “condizionata” dai finanziamenti.
Di fatto, un singolo scienziato o un gruppo deve riuscire a trovare il finanziamento “giusto”. E dunque, nella maggior parte dei casi, adattarsi a cercare quel che interessa al finanziatore (azienda o Stato che sia), più e prima di quello che sarebbe “giusto” in una logica di “crescita disinteressata della conoscenza”.
Negli USA (ma anche in Cina e Russia, Francia o Gran Bretagna, ecc.) la ricerca scientifica legata alle esigenze militari comporta che molti “addetti ai lavori” vengano inquadrati direttamente nell’esercito. In campo medico, ovviamente, la gran parte dei finanziamenti privati è mirato su prodotti che possono portare profitto, più che salute (antidepressivi e dimagranti, per dire, rendono molto di più dei vaccini e costano molto meno in ricerca).
Aggiungiamoci pure che gli scienziati sono donne e uomini come tutti gli altri, con le loro passioni – nobili o ignobili che siano – oltre che ambizioni, gelosie, miserie e nobiltà.
Ergo, possiamo dire senza alcun dubbio che la scienza non è neutra sia sotto l’aspetto del processo produttivo della conoscenza che nell’individuazione degli obbiettivi della ricerca.
Ma altrettanto senza dubbio è il fatto che i risultati di quella produzione scientifica sono oggettivi, veri in modo storicamente determinato (ossia perfettibili e ribaltabili nel progresso della ricerca). Perché confermati dal processo sperimentale, dalla revisione tra pari (altri gruppi di ricercatori debbono ripetere quell’esperimento e “trovare” gli stessi risultati nelle stesse condizioni), ecc.
Si potrà sicuramente fare ancor meglio in futuro, ma per l’intanto quei risultati sono una certezza che permette di fare un passo avanti.
E questo vale tanto sul piano delle leggi fisiche (biologiche, chimiche, ecc.), quanto sul piano della ricerca applicata, ossia finalizzata all’innovazione tecnologica.
Una catena di montaggio automatizzata è certamente utile al capitale per tagliare occupazione e costo del lavoro per unità di prodotto; ma servirebbe anche in un sistema socialista che riduce al minimo il tempo di lavoro necessario per tutti (un’ora, magari, invece di otto).
Il fatto che sia stata inventata e prodotta capitalisticamente, insomma, non ne riduce l’importanza e l’oggettiva validità.
E così anche per i vaccini, che certamente sono stati “selezionati politicamente” (sono ammessi solo quelli “euro-atlantici”, dalle nostre parti), ma altrettanto certamente sono stati analizzati e riconosciuti anche dai ricercatori della “concorrenza” (cubani, russi, cinesi). Se ci fosse anche un solo piccolo dubbio di validità ed efficacia (relativa, come per tutti i vaccini) non mancherebbero di farlo notare, se non altro per “piazzare” meglio i propri prodotti sul mercato mondiale.
Ancora più semplice il caso delle “leggi della natura,” che certo non cambiano se scoperte a Cuba o negli States.
Poi, è ovvio, è sempre possibile “inventare” prodotti inutili o dannosi, “elisir di lunga vita” e pozioni magiche velenose. Ma questo ha a che fare con la natura del capitalismo, la ricerca del profitto, ecc.; nulla con la scienza (anche se qualche scienziato avido può sempre esser chiamato a collaborare per rassicurare sulla “bontà del prodotto”).
È qui che la mentalità complottista si inserisce.
Siccome è possibile (anzi, è sicuro) che alcune conclusioni o “prodotti” non siano esattamente delle “verità scientifiche”, per quanto presentate da scienziati più o meno autorevoli, allora non esiste più alcuna verità scientifica, nessun “concreto di pensiero” confermato in via sperimentale.
Per questa via, in assenza di un briciolo di istruzione secondaria di medio livello, si annulla ed ignora quel millenario processo di accumulazione della conoscenza nato dalla separazione netta – a far data dalla cultura greca classica – tra opinione soggettiva (dòxa) ed epìsteme (pensiero che corrisponde alla cosa, concetto che corrisponde all’oggetto).
Se la conoscenza di tutti e di chiunque diventa solo una opinione, al pari di una fede religiosa o calcistica, ognuna di esse ha altrettanto diritto di essere sostenuta, rispettata, esibita. Di più: ognuna di esse ha diritto di pesare nella determinazione delle scelte collettive.
A prescindere dalla corrispondenza con la realtà fisica. O di un virus.
Immaginiamo di fare un referendum per decidere se è la Terra a girare intorno al Sole o viceversa.
Siete sicuri che vincerebbe la posizione scientifica moderna? E se dovesse vincere l’altra (quella simil-tolemaica, che almeno era “scientifica” ancorché ancorata alle scarse conoscenze di un tempo in cui gli unici strumenti di osservazione erano gli occhi), Sole e Terra obbedirebbero alla “volontà popolare”?
Ovvio che no (lo scriviamo per togliere il dubbio agli incerti).
Ma qui interviene anche la strategia di distrazione di massa di un governo certamente reazionario, ma razionale. Invece di imporre l’obbligatorietà della vaccinazione – un risultato della ricerca scientifica, per quanto perfettibile e non immunizzante al 100% – ha preferito imporre un atto burocratico.
Con ciò ha trasformato una questione di necessità sanitaria – come gli altri dieci vaccini obbligatori che abbiamo tutti fatto senza problemi – in un atto discrezionale di oscura motivazione politica.
Fin quando poi questo “certificato” limitava soltanto le attività ludiche individuali (ristoranti, bar, discoteche, ecc.), in fondo, chissenefrega. Si vive benissimo anche senza, per qualche mese. Protestavano gli imprenditori di quelle attività, qualche lavoratore precario in attesa di trovare qualcos’altro, ma tutto nei limiti del “fisiologico”.
Quando è andato a toccare le necessità vitali – lavorare, prendere uno salario, rischiare il licenziamento per assenza ingiustificata – si è creato il cortocircuito mortifero che ha ingigantito la “popolarità” di una spiegazione irrazionale (“no vax”), in assenza di una razionalità popolare contrapposta a quella del governo reazionario “con tutti dentro”.
Chi credeva che bastasse “contendere le piazze ai fascisti”, cercando di partecipare o mettesi alla testa di questa protesta, si è ritrovato, magari suo malgrado, a dover condividere o tollerare l’irrazionalismo travestito da “dubbio scettico”, facile da riconoscere per la sua serialità (si risponde scientificamente a una domanda, ne esce fuori un’altra, si risponde ma ne viene fuori un’altra, e via così, all’infinito). E quindi a dire o avallare stronzate per essere “interno ai movimenti”.
Ora, non c’è modo di “canalizzare” in senso progressivo o rivoluzionario una protesta senza ragioni o obbiettivi che possano prefigurare un diverso rapporto di forza politico. Tolto il green pass, infatti, non hai guadagnato quasi nulla di concreto (tranne la fine del temporaneo ricatto occupazionale su una minoranza dei lavoratori).
Resta il problema della pandemia e quindi della vaccinazione. E lì ritrovi intatta e immarcescibile tutta la fogna reazionaria che pensavi di poter “egemonizzare”.
Siamo alla fine di questo breve viaggio.
La scienza non è neutrale. E neanche l’irrazionalismo e l’individualismo (la “libertà di scelta”, in un’epidemia mondiale, è un’autobomba a un funerale).
La scienza e la razionalità possono essere “borghesi” o “rivoluzionarie” (il socialismo di Marx è noto per esser stato definito, appunto, scientifico).
L’irrazionalismo è sempre borghese e reazionario. Chiunque lo faccia proprio.
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