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27/10/2021

Draghi schiaffeggia i “complici”, ma anche tutti i lavoratori

“L’incontro non è andato bene“. La frase pronunciata dal segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, al termine dell’incontro con Mario Draghi è un eufemismo ridicolo, buono solo per ridurre il rumore dello schiaffo ricevuto dal banchiere centrale. Pardon, dal presidente del consiglio...

Tutti i “retroscenisti” della stampa mainstream concordano nel riferire che a un certo punto Draghi si è alzato e se n’è andato, per “altri impegni”. Ma alle 20, anche nella politica governativa, è difficile rintracciare vertici più importanti. E comunque non si è avuta notizia di altri incontri di Draghi con chicchessia, dopo questa alzata.

Abbiamo insistito sulle “modalità” inconsuete della rottura per evidenziare quale sia la “considerazione” in cui il potere attuale tenga i sindacati (ex?) “concertativi”: zero assoluto.

Al tavolo si erano presentati come di consueto. Una lunga lista di richieste di modifica sui decreti che andranno a toccare le pensioni, la cosiddetta “Ape social”, “opzione donna” e altre questioni minori. Pronti ad arretrare ed esaltare l’eventuale – poco – che sarebbe stato concesso.

Il punto corposo – politicamente, socialmente e in termini di risorse finanziarie – era però quello delle pensioni.

Su questo Draghi era stato drastico già nei giorni scorsi: “bisogna tornare alla normalità”, ossia alla legge Fornero (tutti in pensione a 67 anni, con qualche eccezione per i “lavori più usuranti”). L’unico margine di trattativa – sia nei confronti dei sindacati, sia nei confronti dei “partiti” – riguardava la velocità di questo ritorno. Superare “quota 100” era perciò scontato. Si poteva discutere e sceglie tra quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi), 103 e 104. Per andare poi a regime “Fornero” nel 2024.

Sul tavolo c’erano insomma solo i diversi “scalini” in cui spezzettare lo “scalone” di cinque anni in un colpo solo (da 62 a 67 anni di vecchiaia effettiva).

Ovvio che, per dare una parvenza di trattativa alla discussione, i vecchi “complici” abbiano fatto la faccia un po’ meno molle del solito, chiedendo il mantenimento della situazione attuale in attesa di una “riforma complessiva”. Che per Draghi e l’Unione Europea – come da dichiarazioni fatte da commissari di Bruxelles – è già stata fatta e si chiama “Fornero”.

E a quel punto il banchiere centrale (pardon, il presidente del consiglio) si è alzato e se n’è andato, lasciando CgilCislUil a biascicare frasi che cercavano di tenere insieme una mezza minaccia di “mobilitazione” e il desiderio di non irritare “l’Illuminato”.

“Se giovedì il governo confermerà questa impostazione nei prossimi giorni valuteremo iniziative unitarie di mobilitazione – ha detto per esempio il segretario della Cgil, Maurizio Landini –. Se poi vorranno confrontarsi con noi siamo pronti a farlo giorno e notte, ma se non dovesse avvenire valuteremo quello che il governo fa e decideremo le iniziative di mobilitazione più adatte“.

L’attesa è dunque spostata su un incontro già fissato in precedenza per domani. Ma si tratta in realtà di un incontro con i sindacati europei e mondiali, a margine dei lavori del G20. Un appuntamento “puramente formale, non negoziale”, chiosa persino il Corriere della Sera. Un’occasione per salutarsi e bere un aperitivo, non per discutere seduti intorno a un tavolo con i dossier davanti.

Insomma: partita chiusa e “fate quello che vi pare”. Sapendo che la “Triplice” ormai può fare ben poco.

A parte rare zone di resistenza aziendale, infatti, queste tre confederazioni sono ormai un “grande Caf”, cui gli iscritti si rivolgono per le questioni fiscali, l’eventuale previdenza integrativa, o addirittura piccoli favori individuali sui luoghi di lavoro (turni, promozioni, trasferimenti, mansioni, ecc.).

Ossia dei faraonici agglomerati di intermediazione tra dipendenti e datori di lavoro, ma totalmente subordinati alle aziende e alle loro scelte. Strutture che dichiarano “sciopero” ormai sono quando chiude una fabbrica (e soltanto in quella, senza altre mobilitazioni a sostegno, se non di facciata).

Un insieme quindi numericamente “ricco”, ma con zero capacità di mobilitazione conflittuale. Può chiamare una manifestazione e farla anche riuscire abbastanza grande (come quella dopo l’assalto fascista alla sede centrale della Cgil), ma non uno sciopero generale in grado di paralizzare il paese.

Decenni di “complicità” e “concertazione” hanno logorato la credibilità di queste sigle come “controparte” in grado di rappresentare gli interessi generali dei lavoratori dipendenti. E parliamo di quelli “stabili”, perché tra i precari di tutti i tipi (e contratto) la rappresentatività di CgilCislUil è poco meno che zero.

Draghi sa benissimo con chi stava parlando, e ha deciso di farglielo capire con una uscita che è un insulto. Che manderanno giù.

A questo punto, però, sarebbe stupido non capire che il “messaggio” inviato ai “complici” è in realtà una esplicita dichiarazione di guerra a tutti i lavoratori: “siete senza rappresentanza e senza difensori, faremo tutto quello che ci pare e che conviene alle imprese, in tutti i campi”.

Una dichiarazione di guerra, a voler essere solo minimamente maliziosi, che viene dopo l’assalto dei fascisti alle sede Cgil, contrattata e scortata dalla polizia, con funzionari Digos che – basta rivedere ed ascoltare i video – assicuravano che “dall’alto” era arrivato il “via libera”.

“Una proposta che non si può rifiutare”, dicevano in quel famoso film. Ad ammonire contro qualsiasi pensiero di “resistenza” sindacale rispetto alle scelte già fatte e codificate.

Una dichiarazione di guerra che giunge fra l’altro a pochi giorni dallo sciopero generale del sindacalismo di base. Il primo, in questo universo di sigle spesso preoccupate più della concorrenza reciproca che non di come rappresentare un’alternativa sindacale credibile per decine di milioni di lavoratori. E perciò ancora più indicativo e promettente.

E, non stranamente, uno sciopero che sembra esser stato preso sul serio soprattutto dalla controparte – Confindustria e governo Draghi – nonostante il consueto ordine diramato ai media di regime: non parlarne, se non per i “disagi alla mobilità”.

Lo schiaffo di Draghi a Landini & co. è dunque un annuncio per il prossimo futuro: i riti, anche puramente formali, della “democrazia inclusiva”, il riconoscimento della diversità degli interessi sociali, la “stagione dei diritti”... tutta roba finita.

Vale solo la forza. Quella delle imprese, della Ue e della sua filiale italiana. Riconquistare la capacità di costruire rapporti di forza meno squilibrati è il primo obiettivo, se si vuole essere seri.

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