di Guido Salerno Aletta
I prezzi dell'energia sono fuori controllo, dalla benzina all'energia elettrica, al gas. Ma non è solo una questione di strozzature nella produzione, non si tratta solo di una ripresa imprevista della domanda globale che determina questa situazione: ci sono in ballo equilibri geopolitici consolidati che verranno schiantati con la decarbonizzazione della produzione energetica.
Ce lo ripetono tutti i giorni: se vogliamo fermare l'aumento della temperatura terrestre e gli sconvolgimenti climatici che ne derivano, dalla desertificazione di ampie aree del pianeta allo scioglimento dei ghiacci polari che faranno alzare il livello degli oceani sommergendo tante città costiere, la strada è una sola: bloccare le emissioni di CO2 nell'atmosfera. E questo obiettivo si può raggiungere solo rinunciando ad utilizzare le fonti energetiche fossili, dal carbone al petrolio al gas. Si devono usare fonti rinnovabili, come l'energia solare, quella eolica o il moto delle maree. Anche sul nucleare ci sono forti dubbi: le loro scorie sono pericolose dal punto di vista ambientale.
In pratica, tanti Paesi Produttori che incassano ricchi proventi dall'estero con la vendita di carbone, come l'Australia o l'Indonesia, di petrolio come l'Arabia saudita o la Libia, o di gas come la Russia o il Qatar, vedranno azzerate queste entrate. Torneranno, o forse è meglio dire "tornerebbero", solo inutili scatoloni di sabbia o lande desolate.
Il sacrificio economico dei Paesi produttori serve dunque per salvare il Pianeta, per garantire un Futuro all'Umanità.
Il processo politico è stato deciso con l'Accordo di Parigi, e ci sono anche le iniziative dell'ONU che vuole fissare delle tappe precise per ciascun Paese, con impegni verificabili circa le date e le quantità di emissioni di CO2. L'Unione europea si è data come obiettivo intermedio il 2030, per ridurre del 55% le emissioni. Si prevedono impegni finanziari pubblici molto consistenti per questa transizione energetica, necessaria per ridurre i rischi della emergenza climatica: si tratta del NGUE e dei PNRR a livello di singoli Stati.
Tutti i prezzi dei combustibili fossili stanno schizzando verso l'alto, a livello siderale, nessuno escluso.
E questa dinamica mette in difficoltà i governi che vogliono proteggere in qualche modo i consumatori e le imprese dagli effetti negativi che determinano sui redditi disponibili e sui costi di produzione. Per i consumatori è un salasso, per le imprese un problema di margini di profitto che vengono ridotti se non si riesce a scaricare il maggior costo dell'energia sui prezzi.
Anche le banche centrali sono preoccupate per l'effetto inflazionistico che si determina: hanno il terrore di intervenire con una politica monetaria restrittiva, aumentando i tassi di interesse e riducendo la liquidità, perché si schianterebbe la ripresa economica in atto. I debiti pubblici, se i tassi dovessero salire, diverrebbero ingestibili e molte imprese fallirebbero: sarebbe una catastrofe. Si trincerano dichiarando che si tratta di un fenomeno transitorio.
In realtà le borse hanno già cominciato a risentire di questo clima nuovo, ed i tassi di interesse sui titoli americani a trent'anni sono già saliti: chi li ha in portafoglio li vende per tenersi liquido, per poter acquistare quelli che saranno emessi a tassi più elevati.
Certo, ci sono di mezzo altre questioni contingenti, come il boicottaggio del carbone australiano da parte della Cina: è ovvio che la produzione di carbone cinese sia diventata più costosa, visto che non si aprono nuove miniere da un giorno all'altro. Per evitare che i prezzi interni cinesi vadano troppo in alto, si bloccano temporaneamente alcune produzioni, a scacchiera: è comunque un pasticcio perché si interrompe la catena di produzione a valle.
Per evitare conseguenze economiche e sociali devastanti, anche il governo italiano è già intervenuto due volte con decreti legge, ma solo per calmierare le bollette per un trimestre. Si incrociano le dita, prevedendo l'ovvio: in primavera, cessati i consumi energetici dovuti all'uso dei sistemi di riscaldamento nel periodo invernale, i prezzi dovrebbero scendere.
Siamo già nel caos.
La partita è complessa, e la dice lunga il fatto che siano state le parole del presidente russo Vladimir Putin ad acchetare i mercati in fibrillazione, dopo giorni in cui i prezzi del gas crescevano incontrollati: se ha promesso di intervenire per stabilizzarli, ha anche picchiato sulla politica energetica dell'Unione europea, accusandola di aver cambiato a suo esclusivo favore le regole del gioco, adottando il sistema delle aste per le forniture sul mercato europeo.
È stata una risposta politica a chi, al contrario, da qualche mese ritiene che i prezzi del gas salgano per via del fatto che il fornitore ufficiale russo, Gazprom, non si presenta alle aste, determinando una rarefazione dell'offerta che ha come ovvia conseguenza un aumento incontrollabile dei prezzi.
Il fatto è che in passato si stipulavano accordi di fornitura pluriennali, per periodi anche superiori al decennio, con un sistema di prezzi legato a quello del petrolio (oil-linked) e con una clausola assolutamente inequivoca sul ritiro della fornitura: "Take or Pay". L'acquirente non poteva quindi rifiutarsi di prendere in carico il gas dal fornitore, adducendo motivazioni di mercato, come un rallentamento dei consumi dovuto ad una crisi: e se non lo ritirava, doveva comunque pagarlo come pattuito.
Insomma, con il sistema delle aste, in Europa si cerca di risparmiare sui prezzi. Ma a perderci, e comunque a rischiare, è il produttore.
D'altra parte, anche l'Opec+ ha deciso di non riportare la produzione di petrolio ai livelli pre-crisi, ma di aumentarla di appena 400 milioni di barili/giorno. Le conseguenze sono visibili alle pompe delle stazioni di servizio: negli Usa, rispetto al giugno scorso, il prezzo del gallone di benzina è addirittura raddoppiato.
Il processo di decarbonizzazione apre un conflitto durissimo, a danno dei Produttori di Energia Fossile: non vogliono fare la parte del tacchino che viene mangiato a Natale per festeggiare.
La fiammata dei prezzi dei prodotti energetici sembra un preavviso: nell'incendio, si bruceranno in tanti.
I Produttori di Energia Fossile non festeggiano la transizione ambientale
Ai Tacchini non piace il Natale
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