Il governo più liberista e servo della storia recente, il peggiore possibile quanto a provvedimenti economici e “riforme chieste dall’Europa”, si è incartato sul green pass. Ossia sull’”arma di distrazione di massa” che si era inventato perché non si parlasse troppo, soprattutto nei dettagli, di quel che ha fatto e va facendo su terreni ben più decisivi per la vita di tutti noi.
L’incaglio non è avvenuto per il “sabato fascista” subappaltato a Castellino, Fiore, Aronica e un altro po’ di fascisti scortati fin sotto la Cgil.
La gestione di quella giornata è stata talmente demenziale – e inattendibile, per chi frequenta le piazze da una vita – che persino Giorgia Meloni, temendo di pagare un prezzo troppo alto in termini di consensi (lei quei fascisti lì li conosce bene, venendo dalla stessa fucina missina), si è ricordata della “strategia della tensione”. Quella in cui i suoi camerati facevano (e fanno) da manovalanza per il potere.
Fin lì tutto era nell’ordine naturale delle cose pensate e previste dal “governo dei migliori”. La campagna vaccinale lasciata alla “libera scelta” individuale, nel bel mezzo di un caos comunicativo in cui venivano segnalati “effetti avversi gravissimi”, poi quasi scomparsi quando le dosi somministrate sono diventate milioni e miliardi, era l’ideale per portare la contraddizione “in mezzo al popolo”.
Scannatevi tra di voi, pro o contro, e lasciateci lavorare in pace sulle cose serie. Poi sarà troppo tardi per protestare...
La frazione più miope della popolazione era già lì pronta per l’uso. Gli stessi che erano no mask, no lockdown, no tamponi, no vax, sono naturalmente transitati anche verso il “no green pass”. Erano “contro” misure necessarie – strutturate malissimo, al punto di essere quasi inefficaci, pur di non disturbare le imprese – figuriamoci se non erano pronti a prendere di petto un documento sostanzialmente inutile, scritto a cazzo pure quello...
Ma a quanto pare il “governo dei migliori”, quello “europeista e antisovranista”, ha sbagliato i calcoli adottando proprio una visione nazionalista. Come se le sue decisioni dovessero e potessero avere effetti solo per i disgraziati cittadini di questo paese, senza altre conseguenze.
L’economia è però interconnessa: i camionisti dell’Est (quelli che andavano benissimo perché prendono stipendi molto più bassi) sono o non vaccinati, oppure vaccinati con prodotti non riconosciuti dall’Ema e dall’Aifa (Sputnik russo, vaccini cinesi, ecc). E questo rischia di bloccare buona parte della logistica nazionale, visto il peso del trasporto su gomma (eredità dell’egemonia Fiat sui governi del dopoguerra).
Con la domanda straordinaria di trasporto merci dovuta alla “ripresa”, in tutto il mondo, che già sta creando problemi enormi di approvvigionamento in molti comparti, si creano strozzature ulteriori quasi solo per la stupidità di un governo che si inventa continuamente “diversivi”.
Soprattutto, la “libertà di scelta” sulla vaccinazione si è tradotta in larghe minoranze di lavoratori non vaccinati in altri settori chiave della logistica (in alcuni porti). E l’entrata a regime del green pass anche sui luoghi di lavoro – da domani 15 ottobre – ha costretto l’intero corpo dei lavoratori, in alcuni comparti e luoghi molto particolari (nei porti si lavora all’aria aperta, non è al momento necessario neanche l’uso delle mascherine), a compattarsi a difesa di una robusta minoranza di non vaccinati.
Come spiega Josè Nivoi, portavoce del Calp Genova (Collettivo autonomo lavoratori portuali) e dirigente sindacale USB: “Se, anche sulla base di una cosa ragionevole come la gestione del tampone, loro (aziende, ndr) non accolgono la proposta o hanno ‘niet’ totali, certamente impugniamo questa decisione, non sulla base di posizioni no vax o no green pass, ma sulla base della sicurezza dei lavoratori”.
Alcune grandi aziende del porto di Genova, infatti, Psa e Sech in primis, hanno dato parere favorevole alla gratuità dei tamponi per i lavoratori, mentre molte altre ancora non si sono espresse in merito, come la GNV.
Perché “Il vaccino è un mezzo per tutelare la vita dei lavoratori, ma non è l’unico modo per tutelarla. Anche chi ha il vaccino infatti può essere portatore di covid, quindi se si vogliono evitare focolai covid, bisogna che si attuino delle procedure per evitare contagi: un modo è il tampone. Non è possibile però che sia a carico dei lavoratori“.
A Trieste viene invece chiesto il ritiro puro e semplice del decreto sul green pass, il che diventa un “problema politico”, visto che riguarda il governo. Lì, riferiscono diverse fonti, i lavoratori non vaccinati sfiorerebbero il 40%...
Sull’insolita percentuale pesa probabilmente molto l’ambiente sociale e territoriale. E non sempre questo è un bene.
In molte aree del Nord e del Nordest le farmacie hanno riempito calendari sterminati di prenotazioni per il tampone, da qui a Natale, ogni 48 ore, da parte di gente disposta a tutto pur di non fare il vaccino ma avere lo stesso il green pass “temporaneo” per andare al lavoro o altrove.
Sono operai, ristoratori, baristi, dirigenti di azienda. Senza distinzioni di classe, ma con redditi molto diversi tra loro. Perché fuori dal rapporto di lavoro – dove si ragiona in base agli interessi, strutturalmente contrapposti – si “ragiona” in base a convinzioni, suggestioni, paure, idiosincrasie, conoscenze attendibili oppure “incredibili”.
Madri che hanno tranquillamente portato i figli a fare i dieci vaccini obbligatori – altrimenti non vanno a scuola (perlomeno in quelle d’infanzia) o si pagano multe rilevanti – inorridiscono alla parola “vaccino anticovid”.
Neanche il richiamo alla normale “razionalità economica” aiuta. Un tampone ogni 48 ore, da qui a Natale, comporta una spesa di 200 euro al mese (è guardando a questo fenomeno che Salvini se n’è uscito con il “rendiamo il tampone valido 72 ore”, come se la biologia obbedisse alla burocrazia; anche se, va detto, che questo è il periodo di copertura adottato in quasi molti degli altri paesi europei).
E tutto per non fare un vaccino gratis. Un dirigente se lo può permettere senza problemi, ma un lavoratore – magari pure precario, in moltissimi casi – rischia di lasciarci un pezzo rilevante dello stipendio.
Se neanche i soldi sono un argomento convincente, è chiaro che si entra nella notte dell’irrazionale (“non so che c’è dentro”, “è tutta speculazione”, “non ci dicono la verità”, e via fantasticando), dove niente può essere provato e tutto è opinione individuale. Equivalente a qualsiasi altra. Non modificabile da nessun argomento o prova. Fede pura, insomma.
Questo milieu “culturale” è stato sdoganato, gonfiato, strumentalizzato, enfatizzato per anni dai Salvini e dalle Meloni (prima ancora dai Bossi, Maroni, Alemanno, Paragone, ecc.). Ma oggi costituisce un mini “zoccolo duro” di irrazionalismo popolare.
E quando si passa dall’avere una posizione sballata ma sostanzialmente ininfluente (le manifestazioni no vax, no mask, ecc., non hanno mai sfondato la soglia, nonostante l’enfasi regalata da Repubblica, Corriere, ecc.), all’agire conflitto dentro un luogo di lavoro di portata strategica come i nodi della logistica... Ecco che la questione assume rilevanza politica e fa inciampare anche il “governo dei migliori”.
È quasi assurdo che il governo più antioperaio e antipopolare della storia recente vada in difficoltà sul “diversivo” la lui stesso inventato per nascondere ben più corposi decreti in materia di privatizzazioni, spesa pubblica, investimenti, mercato del lavoro, “riforme” (dalla giustizia, privatizzata anch’essa, al catasto, dalle pensioni all’esercito).
Ossia sui temi che hanno caratterizzato giustamente il primo sciopero generale unitario del sindacalismo di base, riuscito al di là delle previsioni nonostante un oscuramento mediatico degno del Ventennio.
E se pure è vero che l’opposizione al green pass ha avuto un punto di risalita quando è stato introdotto obbligatoriamente anche per l’accesso al lavoro, non solo per altre attività socio-ludiche, è altrettanto assurdo che una lotta operaia avvenga prioritariamente su questo terreno “innaturale”, dove – a parte la difesa della parte di lavoratori affascinati o impauriti dalla “libera scelta sui vaccini” – non c’è molto da guadagnare.
A noi sembra palese che l’insicurezza esistenziale è diventata enorme, a livello popolare. E che sia diventato difficile trovare una risposta che metta in fila tutte le questioni, restituendo un quadro coerente e comprensibile in cui inserire la propria resistenza. Una insicurezza sottovalutata da Draghi & co, che pensavano di cavarsela con la solita “comunicazione deviante”.
“Nei vuoti scorazzano gli avventurieri”, scrivevamo solo due giorni fa. E anche le migliori intenzioni di classe rischiano di avvitarsi in conflitti da cui è difficile uscire vincitori.
P.s. Non va meglio tra le forze dell’ordine, ossia tra quelli che dovrebbero “far rispettare la legge e i decreti”, per quanto bizzarri possano essere.
«Il reparto mobile di Firenze della Polizia di Stato – scrive stamattina un cronista della Stampa – conta quasi il 39% di non vaccinati». Non si può dire che abbiano problemi medici che mettono a rischio la loro salute in caso di vaccinazione anticovid, altrimenti non farebbero parte dei reparti celere ma sarebbero seduti negli uffici. Semplicemente sono ostili.
A Torino i vaccinati della Polizia di Stato sono il 33%, un poliziotto su tre. Ben sopra la media nazionale indicata dai sindacati, intorno al 20%.
Secondo il Coisp sono 18 mila gli agenti non vaccinati in tutta Italia su un corpo che ne conta 98 mila. A Milano il 19% dei questurini non è immunizzato, a Roma il 17%, a Genova il 13%.
I Carabinieri sembrano più virtuosi e la quota scende al 10%, circa 15 mila su 115 mila unità, secondo il sincacato Unarma. Tra polizia penitenziaria e polizia locale, scrive sempre la Stampa, si raggiungono le 60 mila unità. Alla faccia della sicurezza nelle carceri.
Se confrontiamo questi dati con la percentuale nazionale della popolazione vaccinabile e immunizzata (over 12 anni) che tocca l’85%, includendo anche quelli che hanno assunto per ora una sola dose, l’80% se consideriamo chi ha compiuto i due cicli, chi ha avuto il monodose e chi ha contratto il covid, scopriamo che le Forze dell’ordine contano tra le loro fila una percentuale di ostili al vaccino superiore alla media nazionale della popolazione.
Un dato rivelatore che spiega in parte certi comportamenti tenuti nelle piazze e quale sia la loro area culturale di riferimento. Ma anche un ammonimento per chi crede che la lotta “no green pass” possa diventare in qualche modo “rivoluzionaria”.
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