Durante il lockdown del 2020, il biossido di azoto subì una riduzione media del 40%, raggiungendo picchi del 70% nelle zone del paese più trafficate. La principale causa di questo deciso miglioramento fu la riduzione del traffico veicolare durante le chiusure.
I cieli puliti furono un risvolto positivo della pandemia sia in Europa che in Cina. Insomma, durante la prima ondata del Covid la terra, finalmente, respirava. Ma i dati indicano che a cominciare dalla fine del lockdown ad oggi la qualità dell’aria è progressivamente peggiorata e tantissimo.
L’inquinamento atmosferico in Cina è risalito ai livelli pre-pandemici e gli scienziati affermano che anche l’Europa sta andando rapidamente in una analoga direzione. E l’inquinamento atmosferico continua a causare, nel mondo, almeno 8 milioni di morti precoci all’anno.
Ma ciò pare non abbia insegnato nulla perché gli interventi finalizzati a conservare i livelli della qualità dell’aria del lockdown e le misure adottate finora hanno previsto solo un modesto ampliamento delle piste ciclabili e degli spazi pedonali nelle città.
Ed ora, con il massiccio ritorno in presenza dei lavoratori pubblici e privati nelle strade sono tornate/i code ed ingorghi di automobili che si aggiungono al traffico dei mezzi pesanti e degli autoarticolati che non s’erano mai fermati, nemmeno durante il lockdown del 2020.
Immagine acquisita dal satellite Sentinel-5P Copernicus (Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europera) il 1° marzo 2021 che mostra la concentrazione di biossido di azoto nel Nord Italia
In molte città, per percorrere pochi chilometri, i tempi sono nuovamente lunghissimi e le classiche nuvole grigie di smog sono tornate a ricoprire le nostre aree più antropizzate. Dalle immagini satellitari si può vedere come la pianura padana sia nuovamente ricoperta da un unica grande macchia rossastra tendente al marrone che segnala tassi di presenza di inquinanti tra i più alti del mondo.[1]
Nell’ultimo report dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) sulle città più inquinate d’Europa, basato sui livelli medi di pm 2,5 degli ultimi due anni al secondo posto si trova Cremona, al quarto Vicenza e al nono Brescia.
Nel 2020, una ricerca dell’Ispra indicava 35 capoluoghi italiani che avevano superato drasticamente i livelli “consigliati” di polveri sottili: in testa Torino, con 98 giorni di sforamenti, seguita da Venezia e Padova. E sempre secondo i dati resi noti dall’A.E.A., in Italia sono oltre 50mila le morti premature annuali dovute all’esposizione eccessiva a inquinanti atmosferici come le polveri sottili.
L’Italia paga l’assenza di obiettivi all’altezza della situazione nei Piani nazionali e regionali e negli Accordi di programma su due temi fondamentali: la mobilità sostenibile e l’uso dello spazio pubblico e delle strade. Manca totalmente una pianificazione integrata di mezzi di trasporto, sistemi per l’infomobilità e piste ciclabili.
Inoltre, nessuna misura seria è stata messa in campo per ridurre significativamente l’impatto negativo che hanno sull’atmosfera il riscaldamento domestico, l’agricoltura intensiva e le emissioni industriali (che includono non solo i gas serra ma una lunga serie di altri elementi chimici nocivi).
Nel discorso pubblico si ascrive alla diffusione del vaccino, giustamente, il calo di contagi, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi da Covid-19. Tuttavia, si parla troppo a sproposito di “ritorno alla normalità” perché si sta facendo davvero troppo poco contro il riscaldamento globale che inesorabilmente continua ad aumentare.
Di certo, il ritorno ai livelli di inquinamento pre-covid è una pessima notizia e la rimozione dell’emergenza clima dalle priorità del nostro governo tanto quanto da quelle di altri, dimostra quanto siano davvero poco credibili tutte le narrazioni che si vanno facendo intorno la così detta “transizione ecologica” e quanto rimangano sostanzialmente inascoltati i drammatici appelli della comunità scientifica mondiale in ordine alle catastrofiche conseguenze che il global warming può causare già a partire dal prossimo decennio.
Ad agosto 2021, in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che «l’odierno IPCC Working Group 1 Report è un codice rosso per l’umanità. I campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili. La soglia del riscaldamento globale concordata a livello internazionale di 1,5 gradi al di sopra dei livelli preindustriali è pericolosamente vicina. Siamo a rischio imminente di raggiungere gli 1,5 gradi nel breve termine.
L’unico modo per evitare di superare questa soglia è quello di intensificare urgentemente i nostri sforzi, proseguendo sulla strada più ambiziosa. Per mantenere in vita gli 1,5° C, dobbiamo agire con decisione ora».
Intanto, però, nel G20 di fine luglio scorso svoltosi a Napoli, sono stati sacrificati due punti fondamentali: il contenimento dell’aumento di temperatura entro 1,5 gradi al 2030 e l’eliminazione del carbone dalla produzione energetica entro il 2025.
Ed appare assai improbabile che tale orientamento verrà rovesciato nella prossima “COP26” di Glasgow, ovvero, la 26esima Conference of Parties, dove i leader globali si incontreranno per discutere, ancora una volta, dei cambiamenti climatici.
E la ragione di queste resistenze l’ha spiegata benissimo, con semplicità ed efficacia, la giovanissima ambientalista ugandese, Vanessa Nakate, nel corso del suo appassionato intervento durante la “YouthCOP” svoltasi a Milano a fine settembre scorso:
“il capitalismo è il primo responsabile, con le continue emissioni di gas serra, l’uso di combustibili fossili, le centrali a carbone, il gas estratto con il fracking. È tutto frutto del sistema capitalista che dà priorità al profitto invece che alle persone”.
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