I pasticci finiscono sempre male. Anche se impastati dal “governo dei migliori”.
La stronzata galattica del green pass esplode alla luce del sole – senza più la “distrazione di massa” egemonizzata dai fascisti – nel porto di Trieste, dove i “camalli” del Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste (Clpt), la forza sindacale più rappresentata nel porto sono pronti ad entrare in sciopero da venerdì 15 se non verrà annullato il decreto in tutte le sue varianti.
Davanti alla minaccia, il “governo che va avanti” ha innestato una mezza marcia indietro, convocando le imprese che agiscono nello scalo per chieder loro di caricarsi il costo dei tamponi ogni 48 ore per quanti non hanno il “certificato verde” perché non vaccinati.
Ma neanche questa frenata risolve il problema. Un comunicato del Cplt, infatti, sottolinea che «Non scendiamo a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo di Green pass».
Dunque la patata bollente diventa tutta politica, perché chiede al governo – non alle singole aziende – una marcia indietro totale.
Il caso è emblematico, dicevamo, della follia amministrativa combinata da Draghi & co, quando hanno deciso di lasciare “facoltativo” il vaccino, creando però un “documento” obbligatorio che poteva essere ottenuto soltanto da vaccinati, ex malati ed esentati per ragioni mediche.
Una scelta che abbiamo criticato fin dall’inizio proprio perché sostituiva una misura sanitaria facilmente spiegabile “alle masse” – nonostante l’insopportabile “nazionalismo occidentale” per cui gli unici vaccini ammessi sono quelli delle multinazionali anglo-statunitensi – con un foglietto burocratico di nessuna rilevanza ai fini del combattere il contagio.
La scelta del green pass era però sembrata molto “furba” a governanti interessati solo a creare strumenti coercitivi a disposizione delle imprese contro i lavoratori. Da un lato lasciati “liberi di scegliere” in materia di vaccinazione, ma dall’altra discriminati in base alla scelta.
Tra i portuali di Trieste la percentuale di non vaccinati è molto alta (il 40%, mentre nella popolazione over 12 è solo del 15%), e dunque per tutti i lavoratori è scattato il bisogno di restare uniti contro le minacce di sospensione dal lavoro e dallo stipendio esplicitamente contenute nel decreto governativo, di cui si chiede ora il ritiro puro e semplice.
La richiesta di mostrare il green pass, in questo caso specifico, è particolarmente strumentale, visto che la totalità delle operazioni condotte dai portuali avviene all’aperto, ossia in condizioni in cui – fuori dai posti di lavoro – non viene chiesto alcunché. Neanche più di indossare le mascherine.
La natura strumentale e “padronale” del green pass è illuminata in particolare da alcuni passaggi delle “disposizioni urgenti per l’applicazione del green pass sui luoghi di lavoro”. In cui si possono leggere perle come questa:
“Come illustrato in apertura il lavoratore privo di Green Pass non potrà essere ammesso sul luogo di lavoro, indipendentemente dal fatto che tale luogo di lavoro sia in luoghi chiusi o all’aperto.
Il lavoratore è tenuto a presentarsi sul luogo di lavoro anche se non in possesso del Green Pass e solo dopo l’esito negativo della verifica (o dopo l’eventuale diniego di esibizione del certificato) può essere allontanato.
La mancata presentazione quotidiana sul luogo di lavoro, potrà dare luogo a provvedimenti disciplinari per assenza non giustificata.”
Insomma: devi andare tutte le mattine sul posto di lavoro e farti dire, tutte le mattine, “tu non puoi entrare”. Altrimenti sei passibile di licenziamento.
Ma a questo punto si è arrivati perché il governo – come gli altri, nell’emisfero neoliberista – non ha reso obbligatoria la vaccinazione di tutta la popolazione, così come avviene per altri 10 vaccini che, se non fatti, impediscono l’accesso dei bambini alle scuole. Ed è veramente una follia inspiegabile, sul piano sanitario, che nel pieno di una pandemia mondiale non si sia mai voluto procedere verso la messa in sicurezza della popolazione.
Su questa follia pesa probabilmente l’aver diffuso per alcuni decenni una stranissima nozione di “libertà”, talmente individualizzata e de-socializzata da rendere concreta la pazzia thatcheriana (“non esiste la società, esistono solo gli individui”).
E dunque, quando bisogna fare qualcosa che riguarda ogni singolo individuo, l’unica idea che viene in testa è quella di “inventarsi” un inghippo burocratico che renda di fatto obbligatorio quello che non si vuole dichiarare tale.
Un dispositivo tipico, bisogna dire, di una mentalità fascista. Nel solco proprio della “tessera del fascio”, che nel Ventennio era – sì – “facoltativa e libera”, ma chi non la chiedeva perdeva il lavoro. A partire dal pubblico impiego, naturalmente (Brunetta sta provando a usare il green pass nello stesso modo, dichiarandolo obbligatorio anche per chi lavora in smart working).
Ma i pasticci burocratici creano situazioni caotiche e ingestibili. Merito dei portuali triestini è proprio quello di rendere esplicita questa follia.
La loro posizione – com’è costretto a riconoscere anche l’ultra-filo-governativo Huffington Post – non è infatti quella facilmente (ed a ragione) stigmatizzabile come anti-scientifica:
“i lavoratori sono compatti su una posizione che si può riassumere così: sì all’obbligo vaccinale, no all’obbligo di green pass. Inclusi quelli già vaccinati che hanno promesso di fermare le attività se anche solo un collega, non vaccinato, dovesse essere escluso dal lavoro.”
Insomma: se il vaccino fosse obbligatorio, non ci sarebbe il problema.
Lo andiamo ripetendo fin dall’inizio, e persino qualche sedicente “ultrasinistro” fa ancora finta di non capire…
Il green pass è un’arma di distrazione e divisione di massa, che qualcuno (i fascisti) ha cercato di far diventare “il terreno della lotta politica”, sostituendo e bypassando i temi centrali dello scontro di classe in questo momento (quelli sui cui è stato effettuato lunedì uno sciopero generale nazionale di tutto il sindacalismo di base).
L’idea era quella di sollecitare un’opposizione idiota ma bipartisan, in modo da rispoverare l’impostazione strategica degli “opposti estremismi”. Il gioco non è riuscito, anche se continuano a gestirlo in questa chiave i media di regime.
In una delle tante strozzature della logistica, lì dove non si può “delocalizzare” e andare da un’altra parte, quell’arma di distrazione di massa è stata gestita in termini di classe. E il “governo dei migliori” è stato rimesso coi piedi sulla terra. Nella sua pochezza...
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