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15/10/2021

Green pass, contraddizioni in seno al popolo...

Alla fine non è successo quel che i media mainstream preconizzavano da giorni, chiedendo “interventi risoluti” a un governo che non vuole altro.

Il centro dell’attenzione era su Trieste e sui portuali riuniti intorno al Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste (Clpt). Qui, infatti, la contrarietà al green pass aveva assunto toni e obbiettivi di fatto politici – il ritiro del decreto da parte del governo – che non potevano non diventare un duro oggetto del contendere.

Il muro opposto dal governo, dopo aver ammesso che il costo dei tamponi per i lavoratori non vaccinati deve essere a carico delle aziende (com’è peraltro logico e previsto da tutti i contratti di lavoro), ha innalzato il livello dello scontro a un punto tale che ognuno ha dovuto rifare i calcoli.

Già ieri sera il “blocco” era stato trasformato in “presidio”, e stamattina in effetti alcuni lavoratori sono comunque entrati senza incontrare gli ostacoli tipici di un “picchetto”.

Sul lato opposto, il presidio è diventato il catalizzatore della solidarietà “no vax”, con personaggi non proprio “di sinistra”. Quasi 5.000 persone stazionano davanti all’ingresso, mentre i portuali sono in tutto 950.

Peggio ancora, lo sciopero è stato dichiarato “illegittimo” da chi non aspettava altro che un’occasione per migliorare la propria immagine ferocemente anti-operaia: la Commissione di garanzia sugli scioperi.

Confermando così che il green pass tutto è tranne che una misura sanitaria, ma serve solo a rafforzare il potere aziendale sui dipendenti.

In questo solco si muove il prefetto di Trieste, Valerio Valenti, che ha annunciato perciò la denuncia dei lavoratori in sciopero.

La “copertura sindacale” è peraltro arrivata da una sigla fantasma, il Fisi, che ha addirittura proclamato cinque giorni di sciopero.

Il problema è che come sindacato non esiste... La sedicente “Federazione italiana sindacati intercategoriali” ha sede a Eboli (in provincia di Salerno). Tra i leader viene segnalato il noto medico “no vax” Dario Giacomini, nonché Pasquale Bacco, altro medico “no vax”, in passato candidato alle elezioni politiche con CasaPound e sindaco a Bitonto con la Fiamma Tricolore. Nell’autunno scorso Bacco aveva capeggiato una manifestazione a Taranto incitando a togliersi la mascherina e a violare il lockdown.

Rolando Scotillo, segretario “generale” della Fisi, è stato candidato peraltro col centrodestra alle elezioni regionali in Campania, dopo esser stato nominato “commissario” dell’Udc nella stessa città.

Non proprio la migliore compagnia per una lotta operaia.

Diversa, sicuramente, la situazione nel porto di Genova, il più grande d’Italia, con blocchi all’ingresso dei tir al varco nazionale Etiopia, nella zona di Sampierdarena.

Un presidio in mattinata anche davanti all’accesso pedonale del terminal PSA di Genova Pra, nel ponente. Intorno alle 10:30 è stato bloccato anche l’accesso al varco Albertazzi.

La diversità politica e sindacale è merito dei lavoratori del Calp, che hanno immediatamente spiegato con molta chiarezza che l’opposizione al green pass sul posto di lavoro non ha niente a che vedere con le follie “vo vax”. E quindi sbarrato sostanzialmente la strada a pelose “solidarietà” fascistoidi.

Josè Nivoi, portavoce del Calp Genova (Collettivo autonomo lavoratori portuali) e dirigente sindacale USB: “Se, anche sulla base di una cosa ragionevole come la gestione del tampone, loro (aziende, ndr) non accolgono la proposta o hanno ‘niet’ totali, certamente impugniamo questa decisione, non sulla base di posizioni no vax o no green pass, ma sulla base della sicurezza dei lavoratori”.

Precisando ancora che “Il vaccino è un mezzo per tutelare la vita dei lavoratori, ma non è l’unico modo per tutelarla. Anche chi ha il vaccino infatti può essere portatore di covid, quindi se si vogliono evitare focolai covid, bisogna che si attuino delle procedure per evitare i contagi: un modo è il tampone. Non è possibile però che sia a carico dei lavoratori“.

Una posizione peraltro di tutto il sindacato Usb il quale, per un verso rivendica che l’utilizzo del green pass venga escluso dai luoghi di lavoro, indicando nel governo il responsabile di “una discussione enorme e divisiva, permettendo alle imprese di servirsi della “calda coperta pandemica” per destrutturare diritti e introdurre misure che poco hanno a che fare con la salute pubblica.“

E per l’altro “respinge con fermezza iniziative che abbiano come scopo il rifiuto totale a qualsiasi misura di sicurezza tese ad abbracciare impulsi complottisti o negazionisti della pandemia.“

Episodi minori nel resto del paese, con iniziative altamente contraddittorie e differenziate dal punto di vista sociale e politico.

A Roma “manifestanti” non meglio identificati hanno provato a bloccare il traffico a Porta Maggiore, ma si sono sciolti immediatamente all’arrivo della polizia. Contemporaneamente un presidio era stato chiamato da una parlamentare ex Cinque Stelle notoriamente “no vax”.

A Sigonella il Siam, Sindacato Aeronautica militare, aveva indetto per le 7 di oggi un presidio davanti ai cancelli d’ingresso della base militare. Non bisogna dimenticare infatti che le percentuali più alte di “no vax” si registrano proprio tra le forze dell’ordine e in generale i militari (con punte inquietanti tra gli agenti carcerari).

Presìdi e cortei anche a Livorno, Trento, Milano. A Bologna circa 2.000 persone in strada, con bandiere tricolori, slogan contro il certificato verde, e cartelli con scritto «siamo liberi», e «il Green pass discrimina», «La schiavitù che viola la Costituzione».

Anche sul piano “istituzionale” la situazione è in movimento. Dopo aver tanto ostacolato i vaccini non “euro-atlantici”, le interconnessioni della logistica europea hanno scoperchiato l’inapplicabilità pratica delle disposizioni previste dal green pass. E l’italiana Aifa si è detta ora pronta a sbloccare il green pass anche per i vaccini non autorizzati in Europa, ovvero il cinese Sinovac e il russo Sputnik (gli unici disponibili nei paesi dell’Est, i cui camionisti sono low cost).

In generale, è sicuramente paradossale che il governo più indifferente alla salute della popolazione, avendo – in perfetta continuità con il precedente – anteposto gli interessi delle aziende a qualsiasi altra considerazione, possa oggi recitare la parte del “premuroso” per aver inventato un “certificato” che non tutela nessuno (essendo rilasciato sia ai vaccinati che ai “tamponati” nelle ultime 48 ore).

Come si può vedere, l’assalto fascista alla Cgil è diventata l’occasione per avviare l’iter decisionale che dovrebbe portare alla sostanziale riduzione della libertà di manifestazione. E questo “blocco-non-blocco” può essere la scusa per restringere ancora di più il diritto di sciopero (vedi la decisione della Commissione...).

La situazione, per molti versi, ripropone un tema sempre attuale e che l’”antagonismo da social” sembra ignorare del tutto: le contraddizioni in seno al popolo.

Diversamente da quanto si crede nei cieli di alcune ideologie novecentesche, la condizione operaia permette sicuramente di identificare con chiarezza il proprio interesse come contrapposto a quello del padrone, ma non garantisce affatto che la “declinazione politica” sia “rivoluzionaria” o almeno progressista.

La decisione del governo Draghi di non rendere obbligatoria la vaccinazione anti-Covid ha rovesciato sull’intera popolazione – quindi anche su decine di milioni di lavoratori – la responsabilità di vaccinarsi o meno.

Una “libertà” che però comprometteva la contemporanea campagna vaccinale, perché rischiava (come si è verificato ad un certo punto) che il tasso di copertura fosse nei fatti insufficiente a garantire una qualche “immunità di gregge”.

Il green pass è stato perciò pensato come un mezzo surrettizio per “incentivare” la vaccinazione volontaria. Ma allo stesso tempo una comunicazione impazzita sugli “effetti avversi”, ingigantita dagli stessi media di regime, sollevava timori in una quota di popolazione (e di lavoratori) ben più larga dei “no vax”.

La decisione infine di rendere il green pass obbligatorio per accedere al posto di lavoro – ossia per guadagnarsi lo stipendio – ha finito per introvertire completamente la contraddizione sui singoli lavoratori, sui collettivi o sindacati. Spaccando e dividendo.

Ovvio che un lavoratore non vaccinato, che fino a ieri sera poteva essere costretto a lavorare in qualsiasi condizione, va difeso dal rischio di licenziamento. E questo giustamente spinge anche tanti altri lavoratori a solidarizzare e compattarsi.

Ma d’altro canto il rifiuto individuale del vaccino è incompatibile con qualsiasi visione e pratica collettiva del conflitto sociale. Se abbiamo infatti ancora una sanità pubblica – per quanto amputata a forza di tagli – è perché il movimento operaio ha strappato al capitale sia la necessità di costruirla (vaccini compresi) sia di assicurare almeno un minimo rispetto delle condizioni di sicurezza sul lavoro.

Contraddizioni in seno al popolo, appunto. Che non si tagliano con l’accetta delle battute da social...

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