Con l’uscita del cinquantacinquesimo rapporto Censis sullo stato del paese sono emerse anche le consuete anticipazioni sui media. Si tratta di un genere di marketing che, in passato, ha rappresentato la fortuna dell’istituto una volta diretto da Giuseppe De Rita e che ha di fatto imposto il rapporto Censis come il documento ufficiale sullo profilo sociologico del paese come la relazione di fine maggio del governatore della Banca d’Italia lo è sul piano finanziario.
Nel corso degli anni il Censis ha proposto, con alterna fortuna, formule di lettura sullo stato del paese che oscillavano tra la ricerca degli elementi di vitalità della società italiana e quelli di critica al corto respiro dei comportamenti sociali analizzati. Quest’anno la tradizionale formula di successo, anticipare i temi guida del rapporto sui media, ha funzionato grazie all’evidenziazione di un tema sostanzialmente nuovo: l’irrazionalità di parte della società. Secondo il rapporto Censis infatti, una parte della società italiana, è in preda a un irrazionalismo “magico-religioso” che la porta a contestare l’uso dei vaccini in epoca di pandemia e, in parte, persino a considerare come seria l’ipotesi della terra piatta. Questo fenomeno, assieme all'”inverno demografico”, ovvero l’invecchiamento della popolazione, secondo il Censis mina seriamente la coesione sociale.
Di qui vanno fatte alcune considerazioni: è difficile, almeno oggi, parlare di irrazionalismo magico-religioso in senso stretto in una società secolarizzata come la nostra. Piuttosto, sia la percentuale di consenso ai novax, rilevata dal Censis, che il terrapiattismo rappresentano, a modo loro, una visione alternativa della scienza. Si tratta di anomia, profonda sfiducia nelle istituzioni, che lo stesso Censis, tra l’altro, rileva nel suo rapporto. Anomia che non investe quindi le sole istituzioni economiche e politiche ma anche, come è naturale per questo fenomeno, quelle della cura e ciò che viene convenzionalmente chiamato come scienza. Senza discutere la natura del dato fornito dal Censis, un quasi sei per cento di italiani che crede all’ipotesi della terra piatta, percentuale impossibile anche pochi anni fa, un corno del problema sta però anche nella visione rigida, caricaturale, della razionalità governamentale proposta dal Censis.
Già perché se il problema della società italiana sta nell’irrazionalismo, questione nemmeno menzionata nel corso degli anni, questa visione governamentale del razionalismo da parte del Censis è così dogmatica da apparire, se la si guarda fino in fondo, magico-religiosa come il pensiero che si vuole denunciare. Già perché, se guardiamo ai dibattiti classici sull’irrazionalismo del ‘900, il razionalismo del Censis mostra le caratteristiche di un altro genere di irrazionalismo: quello dei pochi criteri indiscutibili (es. efficienza di mercato come produzione di ricchezza e PIL come misura del successo di questa efficienza) elevati a valore universale.
Nell’indicazione del nuovo nemico interno alla nostra società, questa volta l’irrazionalismo dei ceti subalterni flagellati dalla crisi, il Censis dimentica quindi di analizzare perlomeno l’efficacia della razionalità di governo. Non è una questione banale perché in questo rapporto ne esce una rappresentazione della società nella quale la razionalità di governo è legittimata anche quando inefficace, e ineguale, perché comunque argine contro l’irrazionalità montante. Questo quando ormai è chiaro, tanto più con lo stress test globale della pandemia, che è anche la razionalità di governo a dover essere messa, crudamente, in discussione.
Infine il Censis denuncia, giustamente, tra le cause dell’irrazionalismo da anomia che pervade la nostra società, le enormi disparità di reddito degli ultimi decenni, con il conseguente impoverimento del tessuto sociale. Andrebbe anche fatta una robusta riflessione sul rapporto tra questo genere di irrazionalismo, magari ripulito dalle categorie un po’ troppo giornalistiche usate dal Censis, e il declino del sistema scolastico e universitario del nostro paese. Già, perché l’impoverimento del sapere del tessuto sociale, unito a quello prodotto dal sistema educativo, per la cura della società è un’emergenza quanto il sistema sanitario o l’indisponibilità di reddito.
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