Colpo di scena politico inatteso in Libano. Con una dichiarazione in diretta televisiva, l’ex Primo Ministro Saad Hariri ha dichiarato che né lui, né il suo partito Movimento al Futuro si candideranno alle prossime elezioni parlamentari previsti per maggio.
“Sono convinto che non ci sia spazio per opportunità positive per il Libano a causa dell’influenza iraniana, della nostra indecisione nei confronti della comunità internazionale, delle divisioni interne e delle divisioni settarie. Sto sospendendo il mio impegno nella vita politica e ciò vale anche per il Movimento al Futuro. E non mi candiderò alle elezioni, né lo farà il Movimento al Futuro”, ha dichiarato Hariri.
In seguito, in riferimento ai compromessi politici fra la coalizione filo saudita di cui fa parte e la coalizione filo-siriana a guida Hezbollah, che hanno retto e reggono il debolissimo governo del Libano, ha affermato: “Questi accordi sono venuti a mie spese e potrebbero essere la ragione della mia incapacità di rendere la vita migliore ai libanesi. La storia sarà il giudice di ciò”.
Le elezioni del prossimo maggio sono le prime dopo i giganteschi movimenti di protesta popolare di fine 2019, l’esplosione al porto di Beirut di agosto 2020 ed il precipitare della crisi di deprezzamento della valuta nazionale, che stanno sprofondando il paese nella crisi economica peggiore dalla fine della guerra civile.
All’origine della decisione di Saad Hariri, che già da tempo si è stabilito negli Emirati Arabi per curare i suoi affari immobiliari, potrebbe esserci la perdita totale della fiducia nei suoi confronti da parte dell’Arabia Saudita, da sempre principale sostenitore della scalata al potere della famiglia Hariri in quanto portatrice degli interessi della corona dei Saud, ma da tempo poco soddisfatta del suo operato, specialmente riguardo la sua incapacità di limitare l’influenza di Hezbollah.
Nel 2017, infatti, su impulso del Principe Bin Salman, i funzionari sauditi arrivarono addirittura a sequestrare Hariri in un hotel a Riyad, facendogli leggere una dichiarazione di dimissioni da Primo Ministro del Libano, scritta di loro pugno.
Da allora vi è stata un’escalation negativa nei rapporti diplomatici fra i paesi del Golfo ed il Libano, con minacce, espulsioni degli ambasciatori e altre ritorsioni avvenute in più occasioni e con i più disparati pretesti.
Le elezioni di maggio, basate ancora una volta su un sistema elettorale settario (riconosce “quote” a seconda delle comunità religiose) e che avverranno al cospetto di una popolazione stremata e disillusa dopo il fallimento delle proteste e l’approfondirsi della crisi economica, perdono così il più grande protagonista del campo sunnita, determinando una potenziale svolta o modifica degli equilibri.
Le reazioni più significative, pertanto, sono venute dagli alleati dell’”Alleanza 14 marzo” e sono molto preoccupate. Walid Jumblatt, ad esempio, ha affermato che questa decisione “lascia mano libera ad Hezbollah e agli Iraniani”.
Resta da vedere ora come si organizzerà l’”Alleanza 14 marzo”, come si comporterà l’establishement sunnita e su quale “cavallo” deciderà di puntare l’Arabia Saudita per proteggere i propri interessi in Libano.
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