Il big bang era cominciato da tempo, ma ora il rimescolamento generale della classetta politica italiana è entrato nel momento decisivo.
Fatte le debite proporzioni, si tratta – in termini generali – di poco più d'una tempesta in un bicchiere d’acqua. Ma sul piano interno, e quindi della rappresentanza politica, apre anche ufficialmente i giochi per passare alla “Terza Repubblica”. Presidenzialista e autoritaria, nonché “commissariata”.
Le notizie di queste ore sono note. Luigi Di Maio ministro degli esteri, ex “capo politico” del movimento Cinque Stelle, si è dimesso dal “comitato di garanzia” del partito, in aperta polemica con Giuseppe Conte, suo sostituto da quasi un anno.
La motivazione ufficiale è formalmente impeccabile – per contribuire al «nuovo corso» nel partito vuole poter esprimere le sue idee come desidera, ergo non può «ricoprire ruoli di garanzia all’interno del MoVimento».
Ma è chiaro anche ai morti che lo strappo arriva dopo gli scontri sull’elezione del presidente della Repubblica (Conte aveva proposto ad un certo punto il capo dei servizi segreti, Elisabetta Belloni, mentre Di Maio era per Draghi e poi per Mattarella).
Anche questa è però una motivazione per nulla persuasiva, visto che – appunto – la discussione riguarda il ruolo e la funzione del MoVimento nel prossimo futuro, ammesso e non concesso che ci arrivi.
Stesso processo nel centrodestra, dove si sommano più processi divisivi. Quello della coalizione è più appariscente con Salvini e Meloni su sponde opposte dopo parecchio tempo. Berlusconi che si ripropone come garante di una destra europeista interna al Ppe (la solita Democrazia Cristiana; continentale, però). E le ruggini interne alla Lega, con Giorgetti che viene incaricato di scalzare Salvini da qui alle prossime elezioni politiche.
In entrambi i casi – per “movimenti” che nutrivano grandi illusioni di poter dettare l’agenda politica e le soluzioni per questo paese (da un punto di vista assai limitato, “nazionalistico” o anche più ristretto) – si tratta di prendere atto che qualsiasi percentuale elettorale, o combinazione atta a trovare una maggioranza di governo, sbatterà contro un potere più grande, alto, sovradimensionato.
“Mercati”, Unione Europea e Nato – per sintetizzarla in “sigle” conosciute – non sono istituzioni disposte a ridefinire il proprio rapporto con ogni paese “soltanto perché cambia un governo“.
Ma questo, per quel tipo di formazioni politiche, significa di fatto la fine di una prospettiva e quindi l’esplodere delle contraddizioni tra interessi che cercano una via rapida per la subordinazione privilegiata e altri che ancora non si capacitano del fatto che “avere i voti” non significa affatto “avere il potere”. Tanto meno quello “pieno”.
Piccole grandi manovre anche tra i rimasugli “centristi”, con +Europa, i quattro gatti di Calenda, Renzi, Toti e Brugnaro, oltre a qualche democristiano vecchio stampo (e un Cottarelli in panchina), in cerca di una collocazione e di qualche posto in Parlamento, obiettivo ora più difficile con la riduzione del numero di senatori e deputati.
Ma qui, di illusioni, non ne erano mai state nutrite. Al massimo cordate clientelari, ambizioni personali, guastatori senza più un mandante (vi ricordate dei Radicali?) e killer politici di stampo massonico pronti a vendersi a chiunque paghi bene.
Solo apparentemente fuori dalla mischia il PD, che però è notoriamente una sommatoria di clientele aggregate alla bell’e meglio, dove i “renziani della prima ora” ancora godono di posizioni di rilievo e i democristiani (Letta, Franceschini, ecc.) contano assai più dei vecchi appartenenti alla “ditta”.
Qui, e non da ora, “mercati” e altre istituzioni europee hanno trovato da tempo un nido da cui programmare le mosse istituzionali più complicate, senza troppo apparire in prima persona.
Ci troviamo davanti, insomma, un caos apparente sotto cui si vedono da tempo in azione processi che vengono da lontano (nel tempo) e dall’alto (come livelli decisionali).
Il più importante è venuto allo scoperto – forse ben oltre i livelli desiderati – durante il “romanzo Quirinale”: la politica italiana è commissariata.
Si può giocare poi con le parole o con le possibili identità del “commissario” (l’Unione Europea, “i mercati”, la Nato, ecc.), ma non c’è dubbio che il questore-capo sia quello che siede a Palazzo Chigi dopo aver diretto per otto complicati anni nientepopodimeno che la Bce. Ossia un pilastro pensante della Troika.
Quello di più lungo periodo, però, riguarda proprio la rappresentanza politica di interessi sociali. Se guardiamo a quali interessi vengano rappresentati dalla classe politica si nota al primo sguardo che c’è un “eccesso di offerta”.
Una volta esclusi gli interessi dei “mercati” (il capitale multinazionale, sia finanziario sia industriale), che hanno ben poco appeal elettorale e si impongono a forza di spread e trattati UE, abbiamo di fronte media e piccola borghesia imprenditoriale, borghesia delle professioni, “imprenditori di se stessi” (definizione autoconsolatoria degli sfruttatori di se stessi alle prese con i tormenti della partita Iva).
Della stragrande maggioranza del popolo fanno tutti volentieri a meno, tranne che in periodo elettorale.
Questa vasta ma ridotta platea sociale aveva trovato due momentanei “rappresentanti di massa” nella Lega (piccola e media imprenditoria nel Nord, cordate clientelari nel Sud) e nei Cinque Stelle (professioni, partite Iva, startappari metropolitani, disoccupati attirati con la promessa del reddito di cittadinanza, ecc.).
E proprio queste due formazioni – inizialmente presentatesi come “euroscettiche” – sono state bersaglio di attacchi concentrici che hanno fatto apparire in superficie incapacità, improvvisazione, illusioni, aperta ignoranza di come funziona il mondo attuale.
Del resto, se Mario Draghi parla tranquillamente – e da tempo – di “imprese zombie” che non meritano di essere salvate (e dunque anche altri interessi sociali da sacrificare), perché mai dovrebbe essere tollerata una loro “rappresentanza politica” in grado – per il solo fatto di essere in Parlamento ed avere diritto di voto – di inceppare processi strategici di portata continentale?
Non è stato un caso – e lo avevamo scritto subito – che il disegno e l’avvio del PNRR, ossia la modalità concreta in cui il Recovery Fund verrà applicato in Italia, abbia anche segnato la chiusura dell’”era Conte” (double face, con la Lega e con il PD) e l’apertura dell’era Draghi.
Ci sono insomma troppe formazioni politiche a rappresentare ben pochi “interessi legittimi”. Anzi, alcuni di questi interessi sono già stati definiti come “non importanti”, sebbene non proprio da ignorare come quelli di lavoratori, pensionati, studenti, disoccupati, ecc.
Il rapido processo di scomposizione/ricomposizione della classetta politica nazionale deve perciò rispondere alla domanda: come si restringe l’”offerta politica” e la concorrenza (per i 400 posti da deputato e i 200 da senatore), in modo da farla corrispondere meglio alla ristrettezza degli interessi sociali aventi diritto?
Un problema che manda in soffitta le chiacchiere ideologiche sul “sistema maggioritario”, in primo luogo.
Un po’ perché, se “la politica è commissariata” dall’alto, allora non serve più costringere diverse rappresentanze dentro lo stesso contenitore, che poi esplode.
Un po’ perché il rischio di “restare fuori dai giochi” investe un po’ troppi personaggi e formazioni fin qui sopravvissute come parassiti, sfruttando inquinamento, corruzione e correnti.
Si riaffaccia perciò l’idea di tornare al “proporzionale”, in modo da selezionare con più chiarezza quali interessi sociali – borghesi, sia chiaro – stanno dietro una formazione, giustificandone o meno l’esistenza in Parlamento.
Un proporzionale con soglie di sbarramento alte, naturalmente. Sia mai detto che i ceti popolari individuino qualcun altro come il proprio – e vero – rappresentante politico.
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