Nel dibattito seguito all’orientamento della Commissione europea di inserire nucleare e gas nella tassonomia UE, ha prevalso l’interpretazione che questa decisione sia frutto delle pressioni esercitate dalla Francia (con l’assenso dell’Italia) per quanto riguarda il nucleare, a cui si sarebbe opposta decisamente la Germania, neo paladina della transizione green, accompagnata in ciò da insospettabili alleati come l’amministratore delegato dell’Enel, che per le sue dichiarazioni non lusinghiere verso l’energia nucleare, ha riscosso apprezzamenti tra gli ambientalisti italiani.
Questa interpretazione, semplicistica e poco documentata, rischia di aggiungere ulteriore confusione al già controverso cammino verso l’obiettivo delle emissioni zero, confondendo quelle che sono le reali “parti in commedia” dei protagonisti principali.
Istituzioni europee (Commissione europea, Consiglio d’Europa, Parlamento europeo)
La produzione di atti legislativi in sede europea (Direttive, Regolamenti, Raccomandazioni) che hanno precorso il varo dell’attuale tassonomia, inclusa la parte riguardante il nucleare e il gas naturale, è strabocchevole e tale da non poter essere trattata in poche righe. È tuttavia possibile ricostruirne la logica attraverso quattro atti fondamentali che sono:
– Classificazione statistica delle attività economiche (materiali e immateriali) riconosciute come tali nella Unione Europea (Regolamento CE 1893/2006 del Parlamento e del Consiglio che modifica ed integra altri precedenti provvedimenti)
– Fissazione dei criteri in base ai quali è possibile stabilire se una attività economica, riconosciuta come tale nella UE, possa ritenersi ecosostenibile (Regolamento UE 852/2020 del Parlamento e del Consiglio che modifica ed integra molti altri provvedimenti precedenti)
– Fissazione dei criteri di vaglio tecnico per stabilire a quali condizioni una attività economica ritenuta ecosostenibile, contribuisca in modo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici o al loro adattamento, senza arrecare danno significativo a nessun altro obiettivo ambientale di cui all’art. 9 del Reg. 852/2020 (Regolamento delegato UE 2139/2021 della Commissione, del 4 giugno 2021)
– Fissazione dei criteri di vaglio tecnico riguardanti attività economiche dei settori energetici nucleare e gas (Risoluzione della Commissione del febbraio 2022), che deve passare l’esame del parlamento.
Quest’ultimo provvedimento è oggetto di aspre critiche per aver inserito nella tassonomia ecosostenibile (e quindi finanziabile con i fondi europei) nucleare e gas.
La prima cosa da chiarire è che la Commissione non ha inserito tout court queste due fonti di energia tra quelle ecosostenibili (eolico, solare, idroelettrico etc), ma “solo” la parte di attività inerente alla produzione di elettricità (o di cogenerazione), escludendo quindi tutte le attività a monte e a valle di questa fase del ciclo; vale a dire che per il nucleare non sono incluse le attività di estrazione e arricchimento dell’uranio, del trattamento dei rifiuti radioattivi e del decommissioning degli impianti, così come per il gas non sono incluse le attività di perforazione e trasporto del gas e nemmeno quelle a valle della generazione che non sono quindi finanziabili. Le attività di generazione da nucleare e gas, ritenute transitorie in base al comma 2 dell’Art.10, Reg. 852/2020 [1], per entrare a tutti gli effetti nella tassonomia, devono uniformarsi alla normativa esistente in materia ambientale e nucleare e sottostare alle seguenti principali specificazioni:
Per i reattori nucleari di nuova costruzione
– le emissioni devono essere inferiori a 100 gCO2/KWh;
– i permessi di costruzione devono essere concessi prima del 2045;
– lo Stato che li rilascia deve disporre di un sito di smaltimento definitivo per rifiuti a bassa e media attività e di un programma per realizzare il deposito per quelli ad alta attività nel 2050;
– lo Stato ha stanziato fondi sufficienti per realizzare il decommissioning degli impianti;
– impiego delle più avanzate tecnologie disponibili incluso quella dell’ATF (Accident tolerant fuel) cioè combustibile resistente agli incidenti nucleari.
Per i reattori in esercizio
– gli interventi di ammodernamento degli impianti, autorizzati entro il 2040, devono essere finalizzati ad estendere la vita utile degli impianti e devono contribuire ad aumentarne la sicurezza;
– si applicano le medesime specificazioni per i reattori di nuova costruzione.
Per gli impianti a gas naturale in esercizio
– le emissioni devono essere inferiori a 100 gCO2/KWh;
Per gli impianti a gas naturale di nuova costruzione autorizzati entro il 2030
– emissioni inferiori a 270 gCO2/KWh, oppure emissioni inferiori ad un valore medio annuo di 550 KgCO2/KW calcolato su un periodo di 20 anni, se questi impianti vanno a sostituirne altri che impiegano combustibili più inquinanti;
– la potenza dei nuovi impianti non può eccedere il 15% di quella degli impianti sostituiti.
Francia
La Francia, che sostiene da tempo l’inserimento del nucleare tra le energie ecosostenibili, è riuscita ad ottenere che nella tassonomia ci siano anche i reattori in esercizio (con le specificazioni succitate) perché ha assoluto bisogno di realizzare un piano di ri-ammodernamento della sua flotta nucleare (56 reattori) che secondo le stime EDF costa 49,4 miliardi di €.
Germania
La Germania, che per troppo tempo ha procrastinato la messa fuori servizio delle sue centrali più inquinanti (vedi qui) per rispettare gli impegni al 2030 (-55% CO2) si trova nella condizione di dover sostituire, per quella data, 43.000 MW di impianti termoelettrici funzionanti a carbone e lignite, cosa difficilmente praticabile con le sole energie rinnovabili. [2] Di qui la richiesta del governo tedesco di inserire in tassonomia anche il gas ed in particolare la deroga nelle emissioni (270gCO2/KWh) per i nuovi impianti che vanno a sostituirne di più inquinanti, fattispecie che rappresenta esattamente la situazione della Germania.
Italia e altri paesi europei
L’Italia si trova in una situazione analoga a quella della Germania dovendo sostituire 6-7000 MW di centrali a carbone, alcune delle quali per la loro posizione geografica assolvono funzioni rilevanti per il buon funzionamento della rete (vedi nota 2). Ancora più critica è la situazione di altri paesi europei quanto a dipendenza dal carbone: Polonia 68%; Repubblica Ceca 46%, Romania 23% e Ungheria 12%.
Doichland über alles...
In questo “capolavoro” di sofisticazione linguistico-tecnologica che è la tassonomia della UE, c’è dunque sia la mano francese che quella tedesca, checché ne dicano i grunen (verdi tedeschi). La Francia, oltre ad ottenere la santificazione del nucleare (peraltro caldeggiata dal IPCC e dalla IEA) porta a casa la finanziabilità degli interventi sui reattori in esercizio, mentre la Germania che da due anni non raggiunge gli obiettivi di abbattimento delle emissioni previste dalla UE nel settore energia (nonostante il suo primato nelle rinnovabili) risolve col gas il suo problema principale: quello di aver mantenuto in funzione impianti decisamente inquinanti che forniscono ancora oggi il 36,5% della produzione elettrica dove predomina la lignite (16,8%) il peggiore fra i combustibili fossili, seguita dal gas (12,1%) e dal carbone (7,3%). I governi precedenti prevedevano di chiudere carbone e lignite nel 2038, data che ora i verdi vogliono anticipare al 2030, ma per farlo senza ripercussioni sulla rete elettrica, devono poter contare su una potenza rotante (turbogeneratori) di una certa entità, vale a dire che dei 43.000 MW attuali funzionanti a carbone e lignite, una gran parte deve essere convertita a gas, perciò hanno preteso e ottenuto la clausola che eleva a 270gCO2/KWh il limite per il gas, qualora i nuovi impianti vadano a sostituirne altri più inquinanti. Questa posizione è confermata da una lettera inviata lo scorso 21 gennaio (data di scadenza prevista dalla Commissione UE per presentare commenti alla bozza di tassonomia) dal governo tedesco alla Commissione, in cui l'esecutivo tedesco si dichiara contrario all’inserimento del nucleare, ma conferma la “bontà” dell’inserimento del gas richiedendo addirittura che i criteri di vaglio tecnico stabiliti dalla commissione (270gCO2/KWh) siano aumentati perché penalizzanti![3] Richiesta in parte recepita dalla versione definitiva varata dalla Commissione il 2 febbraio scorso.
Ancora più sconcertante poi è l’operato del governo tedesco per ciò che riguarda la produzione di idrogeno, altro aspetto fondamentale del new green deal. Al riguardo il documento “Germany’s current climate action status” del Ministero dell’economia e della protezione del clima prevede di dedicare, entro il 2030, 10.000 MW di potenza elettrica alla produzione di idrogeno verde che però non sono sufficienti, in prospettiva, ad alimentare i settori chimico e metallurgico che sono i pilastri dell’economia tedesca, a cui neppure i grunen intendono rinunciare. Da ciò l’intenzione di avvalersi di cospicue importazioni di energia elettrica e di idrogeno da altre nazioni[4], ma dato che all’interno della Unione europea non esiste uno Stato che non abbia gli stessi problemi (e quindi che possa rifornire la Germania di elettricità e idrogeno) ecco che l’attenzione del governo tedesco si è concentrata sull’Ucraina con l’intenzione di farne un hub energetico[5] in grado di esportare in Europa (ma soprattutto in Germania) elettricità, gas e idrogeno facilmente trasportabile con la stessa rete di gasdotti oggi impiegata per il gas naturale. La prima conseguenza di questa strategia sarebbe l’abbandono del progetto Nord Stream 2 con la Russia (cosa all’ordine del giorno con l’attuale crisi Ucraina), con possibile aumento delle esportazioni di gas ucraino (l’Ucraina detiene l’1% delle riserve mondiali di gas) e, in prospettiva, l’esportazione di elettricità (l’Ucraina ha una sovrapproduzione di energia elettrica tale da consentirgli già oggi di esportarla in Polonia attraverso una linea elettrica dedicata a 750 KV) e di idrogeno verde stante l’enorme capacità di stoccaggio di CO2 esistente in Ukraina e il notevole potenziale eolico e fotovoltaico sviluppabile sulle coste del Mar Nero. Capofila di questa strategia è il partito dei Verdi tedeschi, il cui massimo esponente, Robert Habeck, ha dichiarato di essere a favore dell’invio di armi all’Ucraina[6] per difendersi dalla Russia; nel mentre che conferma la sua contrarietà al Nord Stream 2 e all’inserimento del nucleare nella tassonomia europea, ritiene assolutamente necessario usare il gas naturale in Germania come energia di transizione!
...e gli altri si arrangiano!
In questo contesto dominato dagli interessi franco-tedeschi c’è posto per tutti, anche se il compromesso raggiunto sulla tassonomia UE non è sufficiente, di per sé, a indirizzare le scelte degli altri paesi europei come Polonia, Rep. Ceca, Romania e Ungheria che dipendono fortemente dal carbone. Considerata infatti l’attuale situazione di ostilità verso la Russia che impedisce di fatto ulteriori accordi per la fornitura di gas per non perdere il “sostegno” della Nato, a questi paesi non resta che abbracciare il nucleare, cosa già in corso con le major del settore, General Electric, EDF e Rolls Roice, che hanno stipulato con loro accordi per la costruzione di oltre 20 reattori nucleari.
Quanto al carbone italiano vale quanto detto per la rete elettrica tedesca: sottrarre tutta la potenza rotante di questi impianti provocherebbe squilibri sulla rete italiana che per la sua configurazione (lunga e stretta), è ancora più suscettibile di quella tedesca e a nulla servono i pompaggi come erroneamente si ritiene[7] (appena 7600 MW di cui il 70% concentrato al Nord) perché non si tratta solo di compensare l’intermittenza delle rinnovabili, ma di limitare il disturbo che esse arrecano in variazioni di frequenza, tensione ed effetto Flicker. Le soluzioni alternative che si prospettano sono ancora costose e non del tutto affidabili per questo, nel frattempo, sia la Germania che l’Italia stanno costruendo bracci di rete a corrente continua: Terna sta realizzando un collegamento sottomarino in corrente continua che unirà la Sardegna alla Sicilia e la Sicilia alla Campania per stabilizzare la rete, mentre un altro collegamento sottomarino in corrente continua tra Abruzzo e Marche consentirà di trasferire 1000 MWe da sud a nord in modo da, come scrive Terna: “essere funzionale all’integrazione dell’energia prodotta dagli impianti eolici e fotovoltaici presenti in gran parte nel Sud Italia verso i centri di consumo del Nord, nonché al rafforzamento delle condizioni di sicurezza e affidabilità tra Sud e Nord Italia.” Spesa complessiva di queste linee, circa 5 miliardi di euro, senza contare le spese per altre numerose linee in alta e media tensione che dovranno essere realizzate per sostenere l’impatto delle rinnovabili, in quanto più aumenta il peso di queste ultime più la rete deve essere magliata. Che dire poi della topica di ritenere quella dell’Enel una proposta avanzata[8] solo perché il suo amministratore delegato, Starace, ha preso le distanze dal nucleare? L’atteggiamento dell’Enel non è dettato tanto da una inattesa (e improbabile) “coscienza ambientale” delle questioni in gioco quanto, da un lato, dalla consapevolezza di non poter competere nella corsa al nucleare che in Italia, ove mai si ripresentasse, sarebbe appannaggio di Edison che è partecipata da EDF, mentre dall’altro e più importante lato, Enel si è “coperta” con la posizione della Germania che ha preteso e ottenuto l’inserimento del gas naturale nella tassonomia e così, senza esporsi, l’Enel ha risolto la questione della trasformazione degli impianti a carbone di sua proprietà.
Chi è contro che cosa
Le numerose reazioni suscitate dalla bozza di tassonomia si sono concentrate, quasi esclusivamente, sull’inserimento del nucleare che sarebbe stato oggetto di critiche da parte di associazioni ambientaliste, di raggruppamenti imprenditoriali e, addirittura, di esperti consulenti della Commissione europea che avrebbero bocciato questa proposta.
In realtà le cose non stanno esattamente così.
Gli esperti che avrebbero bocciato la proposta della Commissione europea fanno parte della “Piattaforma per la finanza sostenibile”[9] dove, insieme a rappresentanti del settore della finanza, dell’energia e dell’industria, figurano associazioni ambientaliste e organizzazioni sovranazionali come l’Agenzia europea per l’ambiente, International Union for Conservation of Nature, Birdlife e WWF. Questa Piattaforma ha emesso un documento (Response to complementary delegated act) dove si criticano le modalità di applicazione di alcuni criteri di vaglio tecnico decise dalla Commissione (illustrando anche come meglio correggerle), ma non si mette affatto in discussione l’inserimento di nucleare e gas quali “attività di transizione” verso il net zero emissions e non poteva essere altrimenti: fin dalla sua costituzione infatti, la Piattaforma per la finanza sostenibile ha sempre appoggiato la scelta fatta dal Parlamento europeo con il Regolamento 2020/852 di comprendere nella tassonomia quelle attività di transizione “per le quali non esistono alternative a basse emissioni di carbonio tecnologicamente ed economicamente praticabili” (Art. 10, par.2). Quanto ai valori limite di 100gCO2/KWh e 270gCO2/KWh, rispettivamente riferibili al criterio di “fornire un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici” e di “non arrecare danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali presi in considerazione”, è bene ricordare che discendono da studi del IPCC e dell’IEA, procedurati da normative ISO e quindi presi a riferimento dalla normativa comunitaria.
Una impostazione analoga a questa viene dal PRI (Principles for responsible investments) – nota [10] – una organizzazione internazionale che rappresenta investitori di diversi paesi, la quale rilancia l’ipotesi fatta dalla “Piattaforma per la finanza sostenibile” di introdurre nella normativa europea una “tassonomia estesa” dove sia compresa e regolata la produzione di elettricità da gas naturale e nucleare, ma senza rigettare l’ipotesi che queste siano considerate attività di transizione.
Numerose altre prese di posizione si differenziano notevolmente fra loro con una polarizzazione tra contrari a nucleare e gas e contrari al gas (ma non al nucleare), tra le quali spiccano:
Contrari a nucleare e gas
– Lettera dei ministri dell’ambiente di Spagna, Austria, Danimarca e Lussemburgo indirizzata a Frans Timmermans (vice presidente per il Green Deal), Valdis Dombrovskis (vice presidente per l’economia) e Kadri Simson (commissario all’Energia), dove si chiede di escludere nucleare e gas dalla tassonomia UE;
– Lettera alla presidente Von der Leyen del CAN (Climate action network – Europe);
– Lettera del EEB (European Environmental Bueau) alle maggiori istituzioni europee;
– Comunicato stampa di Legambiente, Greepeace e WWF Italia.
Contrari al gas
– Lettera del IIGCC (International investors group on climate change) che rappresenta 370 investitori di 22 paesi europei per un valore complessivo di 50 trilioni di euro, indirizzata al Parlamento europeo e alla Commissione europea;
– Lettera alla presidente Von der Leyen di oltre 70 scienziati e numerose associazioni ambientaliste di diversi paesi europei, tra cui: WWF European policy office; Birdlife Europe and central Asia; Greenpeace European Unit; Friends of Earth europe; Action aids international; Food and water action europe; Re:common; Legambiente (Edoardo Zanchini); Rifondazione comunista (Elena Mazzoni) – nota [11]
– Comunicato di Friday For Future Finlandia dove oltre a dichiararsi contrari all’inserimento del gas nella tassonomia, si dichiarano a favore del nucleare in quanto: “le emissioni di anidride carbonica rappresentano una minaccia più seria delle scorie nucleari e causano l’aumento delle temperature del pianeta. Ecco perché siamo pronti ad accettare l’energia nucleare come parte del mix energetico.” – nota [12]
Le contraddizioni del new green deal
Gli orientamenti ultimi della Commissione europea in tema di tassonomia hanno portato alla luce la vera natura della posta in gioco per la stragrande maggioranza dei paesi occidentali, ovvero per la parte più ricca del mondo, come ho cercato di illustrare in altri interventi – nota [13].
Dovrebbe essere chiaro a questo punto che i governi delle maggiori potenze mondiali hanno sostanzialmente sposato la visione che il capitale internazionale ha del new green deal: una occasione di rilancio dell’economia capitalista dove le contraddizioni indotte da uno sviluppo senza precedenti nella storia dell’umanità, trovino un loro accomodamento grazie alle soluzioni tecnologiche prospettate nel settore dell’energia e dell’industria 4.0.
D’altro canto veniamo da decenni di predicazione in cui l’idea di uno sviluppo sostenibile è stata proposta come l’unica soluzione al problema e quando le risultanze scientifiche del IPCC e dell’IEA hanno sancito che, per evitare la catastrofe, è necessario diminuire le emissioni globali di CO2 del 45% (rispetto a quelle registrate nel 2010) entro l’anno 2030 e azzerarle del tutto entro l’anno 2050, gli ambientalisti hanno rivendicato le loro ragioni sostenendo che per raggiungere tali obbiettivi, occorreva abbandonare definitivamente l’uso dei combustibili fossili e puntare tutto sulle rinnovabili. Un ragionamento semplice, efficace, apparentemente ineccepibile; ma allora perché rivolgere gli strali contro la Francia e il nucleare (che fossile non è) e non vedere il ruolo della Germania che vuole aperta l’opzione gas e pratica un neocolonialismo green nei confronti dell'Ucraina, col rischio di aggravare gli scenari di guerra già in corso? Scenari che su scala più ampia presagiscono nuovi conflitti alla cui base c’è l’accaparramento di risorse minerali indispensabili alle energie rinnovabili e al trasporto elettrico che già coinvolgono Cina e Russia, in quanto detentori delle maggiori riserve di terre rare, ma che si annunciano anche per tutti quegli altri minerali, definiti strategici sia dagli USA che dalla Commissione europea, concentrati nei paesi del terzo mondo. Forse che l’estrattivismo, così tanto criticato, non è parte essenziale della transizione energetica? E se una nazione non vuole cedere le sue ricchezze naturali, che si fa, la si invade?
Il new geen deal ha messo in moto interessi giganteschi che non sono componibili con accordi di cooperazione perché dietro la retorica della salvezza del pianeta (dell’umanità non si parla mai!) ci sono i calcoli delle case automobilistiche che non possono contare su approvvigionamenti certi di materiali critici (litio, terre rare, etc) al pari dei fabbricanti di turbine eoliche e pannelli solari: per ogni Megawatt di potenza una turbina eolica offshore richiede 15 tonnellate di questi materiali contro gli 800 Kg di una centrale a gas e una automobile elettrica ne richiede 200 Kg contro i 40 Kg di un veicolo tradizionale (nota [14]). Considerato che le previsioni al 2050 stimano fra due e tre volte il fabbisogno di energia elettrica rispetto ad oggi, è quanto mai difficile pensare ad un modello tutto elettrico basato sulle sole rinnovabili, a meno di abbattere significativamente i consumi di energia abbandonando il modo di produzione capitalistico: secondo l’IEA, già nel 2040, il fabbisogno di minerali necessari per i veicoli elettrici aumenterà di 30 volte rispetto al 2020, quello di Nickel e Litio di 40 volte, mentre i sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica richiederanno un quantitativo superiore di 140 volte per il Nickel e 70 volte per il Cobalto.
Viceversa, non solo la compagine ambientalista è sorda e cieca a questi richiami, ma insiste nel sollecitare la transizione al punto che i Verdi italiani, nel criticare l’attuale PNRR, scrivono: “Le risorse economiche destinate all’elettrificazione delle auto e all’infrastruttura di ricarica sono irrisorie e allontanano ancora di più l’Italia dall’Europa. La Germania ha lanciato un piano che prevede un milione di ricariche elettriche e 15 milioni di auto elettriche entro il 2030.” – nota [15]
Ma quando mai l’ambientalismo è stato in favore dell’automobile? Non eravamo tutti per il trasporto collettivo e su rotaia?
Sviluppo sostenibile, economia circolare, riciclo e buone pratiche appaiono sempre più come orpelli ideologici atti a rinverdire il vecchio modello di sviluppo e la transizione ecologica, così come si presenta, non potrà che accentuare le disuguaglianze del mondo, perché a pagarla saranno i soliti dannati della Terra.
Resta da capire se, giunti a questo stadio delle contraddizioni, gli ambientalisti vorranno essere parte del problema o chiamarsene fuori per combattere l’ultima battaglia che resta all’umanità: quella contro il capitalismo.
Note
1) Ai fini del paragrafo 1, si considera che un’attività economica per la quale non esistono alternative a basse emissioni di carbonio tecnologicamente ed economicamente praticabili dà un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici se sostiene la transizione verso un’economia climaticamente neutra in linea con un percorso inteso a limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, anche eliminando gradualmente le emissioni di gas a effetto serra, in particolare le emissioni da combustibili fossili solidi.
2) L’impraticabilità non riguarda tanto la costruzione in sé degli impianti rinnovabili, quanto la configurazione che andrebbe ad assumere la rete elettrica con una presenza pari al 90% di fonti rinnovabili che ne comprometterebbe la stabilità in termini di frequenza, voltaggio e disturbi introdotti proprio dalle rinnovabili. Vedi: https://www.labottegadelbarbieri.org/la-schizofrenia-energetica/
3) L’uso strategico del gas naturale come energia di transizione è ben evidenziato nel documento “Germany’s current climate action status” dei Ministeri dell’economia e della protezione del clima.
4) “È chiaro che l’elettrificazione della Germania da sola non raggiungerà l’obiettivo della neutralità dei gas serra. Continueremo ad aver bisogno di utilizzare combustibili gassosi per soddisfare il nostro fabbisogno energetico a lungo termine. Ciò include sia il necessario potenziamento di un’industria dell’idrogeno che l’importazione di energia verde. Questo perché la Germania non sarà in grado di soddisfare tutto il suo fabbisogno energetico dalla produzione nazionale di energia rinnovabile, anche a lungo termine, e rimarrà quindi dipendente dalle importazioni di energia e da relazioni commerciali affidabili con altri paesi e parti interessate La creazione di un’economia efficiente dell’idrogeno verde svolge un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi climatici e posizionerà la Germania come un mercato guida per le tecnologie climatiche.” (“Germany’s current climate action status”)
5) Nel contempo la Germania ha sviluppato accordi preliminari con Africa Solar Industry Association e African Hydrogen Partnership per produrre idrogeno verde attraverso energia solare e poi importarlo via nave nei porti tedeschi.
6) https://www.euractiv.com/section/politics/short_news/german-greens-favour-supplying-defensive-weapons-to-ukraine/
7) Vedi comunicato dell’Osservatorio sulla transizione ecologica – PNRR, del 3 gennaio 2022
8) “Dall’Enel una proposta avanzata, ma il governo fa il contrario” L. Castellina, M. Serafini – il manifesto del 14.01.2022
9) La Piattaforma dell’UE sulla finanza sostenibile è un gruppo permanente di esperti della Commissione europea, istituito ai sensi dell’articolo 20 del regolamento sulla tassonomia, regolamento UE 2020/852.
10) The Principles for Responsible Investment (PRI) è la principale organizzazione mondiale in materia di investimenti responsabili. Il PRI ha ora oltre 4.300 firmatari (fondi pensione, assicuratori, gestori di investimenti e fornitori di servizi) che rappresentano 121 trilioni di dollari di asset in gestione.
11) Lettera alla presidente Von der Leyen e ai vice presidenti Timmermans e Dombrovskis.
12) https://www.fridaysforfuturefinland.fi/2021/12/22/ydinvoiman-puolesta-fossiilikaasua-vastaan/
13) https://www.labottegadelbarbieri.org/la-schizofrenia-energetica/
14) https://www.iea.org/reports/the-role-of-critical-minerals-in-clean-energy-transitions/executive-summary
15) https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/06/roberto-cingolani-la-petizione-online-di-europa-verde-il-ministro-si-dimetta-il-pnrr-unoccasione-persa/6417035/
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