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14/03/2022

A Firenze la manifestazione per la guerra mascherata da “per la pace”

A Firenze, ieri pomeriggio, sull’enorme palco allestito in piazza Santa Croce, c’erano quelli che, in diretta RAI, ora parlano tanto di “pace” ma che hanno voluto, perseguito e partecipato a tutte le guerre degli ultimi 30 anni, scatenate in ogni angolo del mondo in nome della “democrazia” e della “libertà”.

Sì, la “nostra libertà” di fare dei popoli del mondo “quel che ci pare”. Per contorno, c’erano anche pacifisti timorosi, o “moderati”, o magari confusi, che non hanno capito la differenza profonda tra questa esibizione di atlantismo guerrafondaio e la manifestazione di sabato scorso, a Roma.

Il funambolico sindaco di Firenze, Nardella, ha sciorinato un bel po’ di retorica umanitaria e pseudo-pacifista in una piazza in cui sventolavano, soprattutto, bandiere del PD e sindacali insieme a quelle ucraine.

Dopo di lui la presentatrice televisiva Rai, Camila Raznovich, che ha dispensato ai presenti un lungo pistolotto pieno di ovvietà per poi dare la linea a Zelensky collegato da Kiev (?) e quindi tutti a casa.

Nemmeno un accenno al fatto che, mentre un’altra guerra è scoppiata alle porte dell’Europa, il governo italiano sta inviando tonnellate di armi proprio sul terreno del conflitto rendendo, così, il nostro paese di fatto un cobelligerante, ovvero, promotore di guerra (altro che “pace”) in spregio all’art. 11 della Costituzione che recita testualmente “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“.

Inoltre, dalle basi NATO ed USA presenti numerose sul nostro territorio, da qualche giorno, è in corso un massiccio traffico di armi verso la Polonia con destinazione Ucraina.

Due miliardi di armi erano già stati spediti dai Paesi appartenenti alla NATO verso l’Ucraina nei mesi precedenti all’invasione da parte della Russia. Da sola, l’Unione europea, ne ha comprato ed inviato in Ucraina per mezzo miliardo di euro.

Ed appena qualche giorno fa, abbiamo appreso dell’esistenza di un piano dettagliato per scatenare un’offensiva sulle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk programmata proprio per Marzo 2022.

Un piano strategico degli Stati Uniti contro la Russia elaborato tre anni fa dalla “Rand Corporation” il cui quartier generale sapete dove ha sede? Indovinate un po’? Ma a Washington, naturalmente.

E cos’è la “Rand Corporation”? Ce lo ha spiegato, con dovizia di particolari, il giornalista e grande esperto di questioni internazionali, Manlio Dinucci, qualche giorno fa, in un suo articolo censurato dal nuovo manifesto embedeed e pubblicato da Contropiano.org:
“Rand Corporation è una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche: ha un esercito di 1.800 ricercatori e altri specialisti reclutati da 50 paesi, che parlano 75 lingue, distribuiti in uffici e altre sedi in Nord America, Europa, Australia e Golfo Persico. Personale statunitense della Rand vive e lavora in oltre 25 paesi.

La Rand Corporation, che si autodefinisce «organizzazione non-profit e non-partisan», è ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale (Cia e altre), da agenzie di altri paesi e potenti organizzazioni non-governative.

La Rand Corp. si vanta di aver contribuito a elaborare la strategia che permise agli Stati uniti di uscire vincitori dalla guerra fredda, costringendo l’Unione Sovietica a consumare le proprie risorse nell’estenuante confronto militare.

A questo modello si è ispirato il nuovo piano elaborato nel 2019: «Over-extending and Un-balancing Russia», ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo e abbatterlo.

Queste sono le principali direttrici di attacco tracciate nel piano della Rand, su cui gli Stati Uniti si sono effettivamente mossi negli ultimi anni.”.
Un bel modo di costruire la pace.

Un po’ come bombardare le città ed i civili per ragioni “umanitarie”. È quel che fanno da circa 30 anni ed è quel che hanno già fatto anche nella nostra cara Europa.

Infatti, quelli che oggi vi chiedono di unirci tutti alla “resistenza ucraina” sono gli stessi che bombardarono Belgrado 23 anni fa. Allora chiamarono quell’aggressione criminale “Guerra umanitaria”.

La NATO decise che bisognava infliggere il colpo definitivo all’unico paese europeo che riuniva popoli diversi. E Massimo D’Alema, da presidente del Consiglio di un governo che si sosteneva con i voti degli uomini di Cossiga, diede il suo assenso all’aggressione militare della Serbia e della sua capitale.

Soltanto Ennio Remondino – per la Rai – raccontò, in diretta da Belgrado, quell’orrore mentre quelli di stampa e TV , anche allora, erano quasi tutti arruolati nella NATO.

Tre mesi di bombardamenti di città e villaggi che causarono la morte di almeno 2.500 civili, tra i quali 89 bambini, e 12.500 feriti. E in queste cifre non sono comprese le successive morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni delle bombe ad uranio impoverito.

Furono 2.300 gli attacchi aerei che distrussero 148 edifici, 62 ponti, 300 scuole e decine di ospedali ed istituzioni statali, così come 176 monumenti di interesse culturale e artistico. Le bombe della NATO rasero al suolo infrastrutture strategiche ed aziende compresa la fabbrica di automobili “Fiat-Zastava” bombardata con gli operai che erano dentro a lavorare.

I danni di guerra ammontano a più di 30 miliardi di dollari, che, ovviamente, gli aggressori non hanno mai risarcito.

Peraltro, quel marzo del 1999 registrò, per noi italiani, un salto di qualità importante: il neo governo capeggiato da D’Alema, sostenuto tra gli altri dal PdCI di Cossutta, certificò la sudditanza della “sinistra” italiana alla NATO ed all’aggressione armata all’ex Jugoslavia. Sulla stessa linea si schierarono Cgil, Cisl e Uil ed il favoloso mondo dell'”associazionismo”.

Tutti insieme si allinearono con la «dolorosa necessità» menzionata dall’allora segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati, di quell’attacco militare.

Tra le altre cose, i dati finanziari della “Missione Arcobaleno” – una “missione umanitaria” del valore di 32 miliardi di lire messa in piedi dal governo – rendono chiare le ragioni profonde di un tale posizionamento.
“Per me la Jugoslavia era l’Europa […] La Jugoslavia, per quanto frammentata sia potuta essere, era il modello per l’Europa del futuro. Non l’Europa come è adesso, la nostra Europa in un certo senso artificiale, con la sua zona di libero scambio, ma un posto in cui nazionalità diverse vivono mischiate l’una con l’altra, soprattutto come facevano i giovani in Jugoslavia, anche dopo la morte di Tito. Ecco, penso che quella sia l’Europa, per come io la vorrei. Pertanto, in me l’immagine dell’Europa è stata distrutta dalla distruzione della Jugoslavia“.
Così scrisse Peter Handke all’indomani dei bombardamenti sulla Serbia e, per quelle parole, divenne un “reietto” subendo un ostracismo quasi trentennale da parte dell’intera comunità culturale ed accademica europea ed occidentale fino a quando, nel 2019 – nonostante tutto e tutti – vinse il premio Nobel per la letteratura.

L’aggressione e i bombardamenti contro la Federazione Jugoslava (quella tra Serbia e Montenegro), furono l’ultima guerra del XX Secolo e la “prima guerra in Europa” alla vigilia del nuovo secolo, vero atto di nascita dell’Unione Europea sulle ceneri e le macerie dell’ex Jugoslavia.

Chi ha indetto “l’evento” di Firenze lo sa benissimo. E infatti non ne parla, vuole impedire che se ne parli, definisce con i peggiori insulti (a reti unificate) quelli che ricordano e lo fanno ricordare.

Un guerrafondaio lo riconosci subito. Non è mica “equidistante”...

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