In Italia vige la legge 185 del 1990 che prevede norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. La norma ha introdotto il divieto di vendere armi di offesa a paesi in conflitto armato.
Nata dopo alcuni scandali per la vendita illegale di armi durante la prima guerra del Golfo, la legge del 1990 vieta inoltre l’esportazioni di armi verso paesi sotto embargo o che violano i diritti umani.
La camera dei deputati e il senato il 1 marzo hanno votato una risoluzione per derogare a questa legge.
La lista delle armi che saranno inviate dall’Italia all’Ucraina è stata però secretata dal ministero della difesa: secondo fonti parlamentari, citate da Avvenire, nell’elenco rientrerebbero missili, bombe, mitragliatrici e munizioni, per un valore tra i 100 e i 150 milioni di euro.
Ma il testo del decreto approvato prevede che per tutto il 2022 quantità e modalità del trasferimento restino segreti: il Parlamento non potrà esercitare alcun controllo su quali armi stiamo trasferendo in Ucraina. E di conseguenza non potranno farlo i cittadini.
Il commercio e il trasferimento di armi, come anche la spesa militare, che negli ultimi quattro anni è aumentata costantemente, dovrebbero essere discussi pubblicamente.
Negli anni 2000 l’Italia ha venduto centinaia di milioni di euro di armi alla Russia. Oggi, mentre il governo autorizza l’invio di armi all’Ucraina per difendersi, nelle colonne russe che marciano su Kiev potrebbero esserci mezzi militari di fabbricazione italiana come i veicoli blindati Lince della Iveco.
A Genova, invece, i portuali aderenti al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali sono inquisiti per “associazione sovversiva” per aver bloccato le navi cariche di armi allo Yemen e ad altri paesi in guerra...
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