di Matteo Carnieletto
Generale Marco Bertolini, fino a qualche settimana fa, sembrava impossibile che la Russia potesse invadere l’Ucraina. Sembrava che la diplomazia stesse lavorando sodo e pareva ci fossero, seppur flebili, spiragli di accordo tra le parti. Cosa è successo dopo?
Vorrei innanzitutto fare una precisazione: Occidente è un termine che preferirei non utilizzare in quanto improprio. Come può esser definita la Polonia? Occidente o oriente? L’errore di fondo è continuare a ragionare con lo schema della Guerra fredda, che prevede i concetti di Europa orientale e occidentale. Fatta questa premessa, bisogna tenere presente che, dalla caduta del Muro di Berlino, la Russia sente la frustrazione che caratterizza tutte le ex super potenze decadute, che sono costrette ad ingoiare bocconi amari. In particolare, Mosca si è vista strappare molti pezzi del suo ex impero, che sono passati, con armi e bagagli, dall’altra parte. Questa condizione di debolezza era stata accettata da Gorbachev e da Eltsin. Poi è arrivato Putin ed ha impresso una direzione diversa, ricostruendo innanzitutto l’amor proprio russo.
Cosa differenzia Putin dagli altri leader russi?
Putin era diverso da quel leader improbabile che lo aveva preceduto (Eltsin, ndr). Con lui è cambiato tutto lo scenario: la stessa armata rossa, che era ormai diventata un esercito in smobilitazione, ha cominciato a darsi una ripulita, a lustrarsi le scarpe e a rivedere i mezzi. Lo stesso discorso riguarda le altre forze armate, come per esempio la Marina. Quando Putin è andato al potere, il comunismo non faceva più parte del bagaglio politico della nuova Russia, tuttavia il desiderio di tornare ad essere una potenza globale era rimasto molto forte. Putin ha quindi lavorato affinché Mosca tornasse non solo una potenza globale ma anche europea. Cito, per esempio, le aperture nei confronti di Berlusconi, il turismo in Europa, le importazioni: faceva tutto parte di un programma di trasformazione della Russia in senso occidentale ed europeo, che però si è scontrato contro gli Usa.
Perché?
Non era il comunismo in sé e per sé il nemico degli Stati Uniti, ma questa grossa realtà continentale che sarebbe nata se la Russia si fosse unita all’Europa. Se ciò fosse avvenuto, l’America si sarebbe trovata davanti un importante competitor.
Quali sono stati gli errori dei Paesi occidentali che hanno portato all’attuale situazione in Ucraina?
A mio avviso uno degli errori più importanti è stato quello di togliere spazio alla Russia e di spingerla verso est, facendo passare armi e bagagli gli ex Paesi del Patto di Varsavia nell’ambito della Nato. La Russia ha sentito questi avvenimenti come un accerchiamento che si sarebbe completato con il passaggio dell’Ucraina nel Patto atlantico e che avrebbe tolto a Mosca qualsiasi possibilità di avere agibilità nel Mar Nero e, di conseguenza, di potersi proiettare nel Mediterraneo. Questo è stato l’errore fatto da parte occidentale.
E quelli della Russia?
Ce n’è uno che è sotto gli occhi di tutti: l’invasione. Ma, va detto, questa invasione è dovuta dal fatto che Putin ha fatto delle proposte di appeasement che, però, sono state rifiutate. Credo che il presidente russo non avesse l’interesse ad arrivare al punto attuale, ovvero a un intervento militare. Resta lo sconcerto, il dolore, la condanna per l’operazione militare. Ma io credo che si debba anche avere la mente lucida e l’onestà intellettuale per riconoscere quelle che sono le esigenze degli altri. Perché è questa l’essenza della diplomazia.
Come si sono mossi i russi? Si aspettava un’invasione di questo tipo? Hanno davvero, come dicono diversi analisti, “il freno a mano tirato”?
Noi ricordiamo ancora gli interventi su Belgrado e Baghdad: erano operazioni aeree decisamente molto più intense di quelle che si vedono ora in Ucraina. Probabilmente quindi sì: il freno a mano è stato tirato, ma per un motivo strategico. Mosca non può non pensare a quello che sarà il dopoguerra con l’Ucraina, in cui sarà necessario riprendere i rapporti cordiali con il popolo ucraino. Mosca non può permettersi di distruggere e umiliare l’Ucraina perché comunque dovrà conviverci. C’è poi un altro fattore che non è da sottovalutare: l’Ucraina non solo faceva parte dei Paesi satelliti dell’URSS, ma era una Repubblica Sovietica dell’Unione. Ci sono dunque anche vincoli culturali e familiari. Bisogna infine tenere presente che quella è una grande pianura e che ci sono familiari da una parte e dall’altra del confine. Che l’Ucraina abbia diritto all’indipendenza non c’è dubbio, ma credo anche che ci siano molte affinità tra i due Paesi, come la lingua, l’alfabeto, la religione ortodossa.
Generale, le faccio la fatidica domanda da un milione di dollari: quali saranno gli scenari del futuro? Cosa accadrà? L’occidente ha comminato delle sanzioni, la Russia ha risposto bloccando i voli britannici. Come si esce da questa situazione?
L’offensiva è appena iniziata, quindi ci sono ancora molte variabili che devono stabilizzarsi. In linea di principio, però, penso che si debba mantenere tra gli Stati quel galateo che una volta era sempre rispettato anche durante le guerre e che consentiva, una volta che le ragioni del combattimento si esaurivano, di tornare alla pace. Certo, con qualche amputazione o rinuncia. Ma si tornava a vivere serenamente. Se i toni si alzano troppo, se la controparte percepisce che l’unica alternativa alla sua vittoria è quella del cappio al collo o della rovina del Paese, temo che le guerre non finiranno mai. Una volta, i conflitti finivano quando una delle due parti diceva: “Basta, ne ho prese abbastanza”. Ma ora tutto è cambiato: se io so che la possibilità di resa non c’è, e che il cappio al collo me lo mettono comunque, è chiaro che combatterò fino alla fine. Noi abbiamo l’interesse che si arrivi alla fine di tutto questo nell’interesse della popolazione ucraina. Per fare questo bisognerebbe che anche i Paesi che non sono direttamente coinvolti, pur esprimendo il loro sdegno e la loro condanna, evitassero di attizzare troppo il fuoco.
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