di Marco Santopadre
Il 28 febbraio il giornalista Pablo González, collaboratore di numerosi media progressisti baschi e spagnoli – dai quotidiani Gara e Publico – e dell’agenzia di stampa Efe, è stato arrestato in Polonia perché accusato di “attività contro lo stato”.
A informare dell’arresto è stato il legale del giornalista, Gonzalo Boye, che ha immediatamente chiesto la messa in libertà del suo assistito e la protezione della sua incolumità fisica.
All’inizio di febbraio González, mentre si trovava con alcuni collaboratori nella porzione di Donbass sotto il controllo ucraino per documentare gli effetti del conflitto con le Repubbliche indipendentiste, era stato contattato dai servizi segreti di Kiev che gli avevano intimato di presentarsi urgentemente nella capitale per essere interrogato. Giunto a Kiev con due colleghi, il 6 febbraio González era stato fermato per alcune ore, interrogato e accusato di “lavorare per Mosca”.
Dopo aver copiato il contenuto del suo smartphone, gli agenti gli avevano imposto di lasciare il paese entro tre giorni, pur in mancanza di un documento ufficiale di espulsione dall’Ucraina.
Mentre González denunciava l’accaduto al personale dell’ambasciata di Spagna a Kiev e al Console Generale di Madrid nella capitale ucraina, e il quotidiano Publico chiedeva spiegazioni al Ministero degli Esteri spagnolo, alcuni agenti del CNI – i servizi di intelligence spagnoli – si sono presentati a casa dei familiari e di alcuni amici del giornalista nel Paese Basco e in Catalogna, rivolgendo loro numerose e insistenti domande sulle sue attività. Ripetendo le accuse rivolte al reporter dai servizi ucraini, quelli spagnoli hanno allertato amici e parenti che González era sospettato di passare informazioni al governo russo in quanto collaboratore del quotidiano basco Gara (vicino alla sinistra indipendentista) «notoriamente pro-ETA e sovvenzionato da Mosca».
A quel punto il reporter ha abbandonato l’Ucraina per tornare in Spagna. Il 24 febbraio, però, González ha deciso di spostarsi in Polonia per seguire l’afflusso di profughi in fuga dai bombardamenti e dall’invasione russa, realizzando reportage per alcuni quotidiani e per l’emittente televisiva “La Sexta”.
La mattina di lunedì alcuni agenti dell’ABW (Agencja Bezpieczeństwa Wewnętrznego, “Agenzia di sicurezza interna”) hanno fatto irruzione nella stanza dell’hotel di Rzeszow dove alloggiava, nei pressi della frontiera con l’Ucraina, e lo hanno arrestato con l’accusa di aver partecipato ad «attività contro lo stato polacco».
Dal momento dell’arresto al giornalista è stato permesso soltanto di avvisare il suo legale ma poi González è stato sempre tenuto in stato di completo isolamento ed è stato ripetutamente interrogato senza che il suo avvocato potesse assisterlo e senza poter incontrare il personale diplomatico spagnolo di Varsavia.
Protestano giornalisti ed esponenti politici
Nato a Mosca da genitori baschi che avevano trovato rifugio in Unione Sovietica dopo la vittoria dei franchisti, Pablo González è un esperto di conflitti nello spazio post-sovietico. Negli ultimi dieci anni è stato corrispondente speciale per numerosi media seguendo, tra gli altri, la ribellione del 2014 in Ucraina contro il governo Yanukovich, poi il conflitto in Donbass e in seguito la guerra nel Nagorno-Karabakh.
La presidente dell’Associazione Basca dei Giornalisti, Amaia Goikoetxea, ha espresso la sua profonda preoccupazione e ha chiesto al governo spagnolo che fornisca informazioni chiare e tempestive sulla situazione del reporter arrestato. «I governi hanno l’obbligo di garantire la sicurezza dei giornalisti soprattutto in situazioni di conflitto» ha ricordato Goikoetxea.
International Press Institute (IPI) ha chiesto al Ministero degli Esteri della Polonia il rilascio immediato del giornalista e di spiegare le ragioni dell’arresto, così come la Plataforma por la Libertad de Información. All’appello si sono unite anche l’Associazione della Stampa e il Sindacato dei Giornalisti di Madrid, mentre la sezione spagnola di Reporter Senza Frontiere ha definito l’arresto «un attentato alla libertà d’informazione». Numerosi anche gli esponenti politici che hanno denunciato il carattere inaccettabile della detenzione e la violazione del diritto dei giornalisti a svolgere il proprio lavoro. Tra questi il deputato di EH Bildu (centrosinistra indipendentista basco) Jon Inarritu, il deputato Antón Gómez-Reino (Galicia En Común) e Jaume Asens (Unidas Podemos). L’ex leader di Podemos Pablo Iglesias ha chiesto al governo spagnolo di fare tutto ciò che è in suo potere per ottenere la scarcerazione del giornalista ed ha criticato la mancanza di iniziativa, finora, da parte del Ministero degli Esteri.
La censura alza i muri
La detenzione di Pablo González in un paese dell’Unione Europea non è che uno dei tanti episodi – per quanto grave – di violazione della libertà di informazione e di espressione che si registrano in questi giorni.
All’inizio della settimana il presidente della Commissione della Duma per la Sicurezza e la lotta alla corruzione, Vasily Piskarev, ha informato che la diffusione di notizie false relative all’intervento militare russo in Ucraina sarà soggetta a una pena massima di 15 anni di reclusione. Alcuni media russi non allineati col governo – la tv Dozhd e Radio Eco di Mosca – si son visti ritirare le licenze mentre si moltiplicano gli episodi di censura e le minacce nei confronti degli operatori dell’informazione russi che resistono al divieto di utilizzare, per descrivere la cosiddetta “operazione speciale di Mosca in Ucraina”, termini come “guerra”, “invasione” o vittime civili.
Ma anche da questo lato della nuova cortina di ferro, come dimostra anche il caso González, le cose non vanno affatto bene. Mentre le istituzioni e i media più allineati alla propaganda bellicista contribuiscono a diffondere una sconcertante russofobia, nei giorni scorsi la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato che la Ue mette al bando l’agenzia di stampa russa Sputnik e il canale Russia Today in modo che «non possano più diffondere le loro menzogne per giustificare la guerra di Putin con la loro disinformazione tossica in Europa».
Da ieri è iniziato quindi l’iter di chiusura delle cinque sedi europee di Rt e dell’agenzia Sputnik. Alle accuse di censura – provenienti dalle associazioni e dai sindacati dei giornalisti di numerosi paesi europei – la Commissione Europea replica che si tratta “esclusivamente” di una misura di carattere economico – attraverso il sequestro dei conti bancari dei media finanziati dal Cremlino – e non di una sanzione al lavoro dei giornalisti. L’effetto, però, è lo stesso, unito alla contestuale sospensione delle licenze da parte dei singoli stati e della chiusura dei canali e dei profili dei media russi da parte dei gestori dei social network.
Alcune piattaforme satellitari attive in Europa hanno poi interrotto la trasmissione di altri canali russi.
Poco importa che a diffondere propaganda di guerra – invece di informazioni indipendenti, obiettive e verificate – non siano solo i media russi, ma anche molti di quelli europei o statunitensi.
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