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Care Susanne e Janine,
per la prima volta in molti anni non ho partecipato alla commemorazione silenziosa a Berlino-Friedrichsfelde, non ho potuto unirmi a voi e a molti altri per onorare coloro sulle cui spalle si regge il nostro partito. Non ero assente per ragioni politiche, ma per motivi di salute. Ero in ospedale. La diagnosi non è esattamente rosea, ed è per questo che ritengo opportuno sistemare le mie cose. Ecco il motivo di questa lettera, che rappresenta anche il mio contributo alla discussione in vista del congresso del partito a Erfurt.
Il Partito della Sinistra – che è emerso dal WASG e dal PDS, e quest’ultimo a sua volta dal SED, che aveva le proprie radici organizzative nel KPD e nella SPD – si trova in una situazione critica. Che non è dovuta solo al risultato disastroso nelle elezioni del Bundestag. Quest’ultimo ne ha semplicemente reso visibile la condizione interna.
Se il partito non si chiarisce le idee su cosa rappresenta e qual è il suo obiettivo neanche gli elettori lo sapranno. Perché dovrebbero votare per un partito il cui interesse principale sembra essere quello di formare un governo con la SPD e i Verdi? Se ciò risulta evidente tanto nel gruppo dirigente che tra i rappresentanti eletti non è imputabile all’opera dei singoli compagni e compagne, né è il risultato di una singola decisione sbagliata. È il prodotto di anni di uno sviluppo maturato nel corso di decenni.
Non è possibile capire quando tale processo sia iniziato, e chi ne sia il responsabile, né si può rispondere alla domanda se il socialismo reale avrebbe potuto essere salvato dopo il 20° Congresso del PCUS nel 1956 o dopo la Primavera di Praga nel 1968. Semplicemente non lo sappiamo.
Mettere tutto in discussione
Conosciamo però le regole del gioco democratico. Le abbiamo accettate, così come abbiamo dovuto prendere atto della realtà sociale, ci piaccia o meno.
Anche Bismarck lo sapeva e agiva di conseguenza: “Si deve trattare con le realtà non con le finzioni”. Una delle regole democratiche del gioco prevede che dopo una clamorosa sconfitta tutto deve essere messo in discussione. Un autoesame critico include obbligatoriamente la questione dei quadri.
Perché se tutti i responsabili rimangono in carica, nulla cambierà. Non basta essere accomodanti e giurare di fare meglio. Un Saul con un mandato politico non è mai diventato Paolo. Quella era una leggenda biblica. Il grado di corresponsabilità varia da un membro del partito all’altro, ma è più grande tra i dirigenti. Un dirigente federale, per esempio, ha una maggiore responsabilità per la strategia e il programma elettorale del partito rispetto a un semplice membro di partito; una responsabilità decisiva si potrebbe dire.
Gli annunci dei leader trovano maggiore diffusione rispetto all’opinione dei gruppi di base; ciò che viene detto nel gruppo parlamentare ha un impatto diverso rispetto, ad esempio, a una dichiarazione del Consiglio degli Anziani. Pertanto, penso che un nuovo inizio non sarà possibile senza conseguenze per singoli quadri dirigenti. Il congresso del partito in estate a Erfurt è, a mio parere, l’ultima possibilità per ripartire: non ce ne saranno altre.
Nel partito da cui provengo tutti e tutte sapevano che, nello slogan dell’unità tra continuità e rinnovamento, il rinnovamento era una parola per coprire la stagnazione. Sappiamo tutti dove siamo andati a finire. Marx forse si sbagliava quando diceva – citando Hegel – che la storia accade due volte, “una volta come tragedia, l’altra volta come farsa”. Anche se la storia non si ripete, le analogie non possono essere del tutto scartate. La mia impressione è che nel nostro partito i processi sembrano ripetersi.
Il SED è crollato perché la direzione era arrogante, proseguiva nel suo discorso indifferente alle critiche e ignorando ciò che la base trovava discutibile. Così questa leadership ha distrutto il partito dall’alto. La fine è nota.
Alla fine dei miei giorni temo la ripetizione. Le conseguenze politiche del fallimento di più di 30 anni fa può essere visto in Germania orientale. Le conseguenze del fallimento del Partito della Sinistra influenzeranno l’intera Germania e la sinistra europea nel suo insieme. Sono danni irreparabili. Dovremmo esserne consapevoli! Abbiamo quindi una grande responsabilità: ogni compagna, ogni compagno e il partito nel suo insieme.
Come Presidente del Consiglio degli Anziani sono sempre stato consapevole di tale responsabilità. Abbiamo agito in conformità con lo statuto del partito: il Consiglio degli Anziani delibera su propria iniziativa o su richiesta della presidenza del partito riguardo a problemi di linea politica. Presenta proposte o raccomandazioni e partecipa al dibattito pubblico del partito con dichiarazioni. Tuttavia, ho dovuto, abbiamo dovuto prendere atto che le nostre proposte e raccomandazioni non avevano alcun effetto visibile, motivo per cui ho ripetutamente e pubblicamente posto la domanda se ci fosse proprio bisogno di questa istituzione. Eravamo apparentemente superflui e fastidiosi, nessuno aveva bisogno della nostra esperienza.
Nelle mani della Germania occidentale
Ovviamente anche nel nostro partito c’è – come in ogni famiglia – un conflitto generazionale. La tendenza della generazione più giovane a percepire il consiglio degli anziani come fonte di lezioni stantie o di tentativi di dominio non mi è estranea: dopo tutto, anch’io sono stato giovane una volta. Inoltre, il conflitto è aggravato dalle origini diverse. Quelli nati e cresciuti nell’Est hanno sperimentato una socializzazione diversa rispetto ai compagni dell’Occidente. La socializzazione include: educazione, lingua, maniere, mentalità, esperienza, cultura della collaborazione lavorativa... Tutto questo svanisce con gli anni, mentre i suoi portatori scompaiono. Ma ha un effetto duraturo che va oltre le generazioni. I tedeschi dell’Est, va detto, non sono migliori. Sono diversi. Di ciò si dovrebbe tenere conto sia nel partito che nel lavoro politico. Se non lo si fa, come è successo di recente per le elezioni, ti viene presentato il conto. Non si vincono le elezioni federali nell’Est, lì si perdono.
Non riesco a scrollarmi di dosso l’impressione che il partito, come è successo alla parte orientale del paese, è ora nelle mani della Germania occidentale. I rappresentanti occidentali e i loro alleati danno il là. Come nello Stato, non c’è unità. Io lo chiamo uno Stato di dualità. E questo sembra essere il caso anche del partito. Sì, lo so, la composizione del partito è cambiata, molti giovani dell’Ovest e dell’Est si sono iscritti. Vengono principalmente dalle città e non dalla campagna, hanno esigenze e interessi diversi rispetto ai nostri quando avevamo la loro età.
Tanto più importante sarebbe renderli consapevoli della ricca tradizione da cui proviene il loro/nostro partito, delle sue radici e di ciò per cui le generazioni hanno lottato: non per la stabilizzazione del sistema capitalista, ma per il suo superamento. E il carattere del sistema non può essere conosciuto con l’aiuto dei servizi sui cosiddetti social media, ma dalla teoria e dalla pratica, e dalla loro connessione.
Non ho quindi paura di chiedere la creazione di un sistema di formazione politica nel partito. Naturalmente, questa non è una panacea, ma è utile per conoscere il mondo e determinare qual è il compito del partito. Anche se la sua condizione è in uno stato di continua evoluzione, il carattere della società di classe non cambia.
Slogan pubblicitari, anglicismi, gendering o la lotta contro la catastrofe climatica non cambiano le condizioni sociali nella società borghese-capitalista. La presunta scomparsa del proletariato industriale non ha cancellato la classe operaia. La ricerca sociale parla ora del proletariato dei servizi, cioè di chi deve lavorare per pochi soldi per sopravvivere: infermiere e badanti, commesse di supermercati, lavoratori esternalizzati nelle aziende di logistica, lavoratori delle poste, lavoratori del commercio al dettaglio, lavoratori nella ristorazione e nel turismo, e così via. Secondo studi recenti, costoro rappresentano oggi fino al 60% della forza lavoro e sono difficilmente sindacalizzabili. Sono proprio simili alla classe operaia, al 18% occupato nel settore industriale. Questi quasi quattro quinti della società sono a malapena percepiti dal nostro partito: “Non è una classe, non è una maggioranza, solo un fenomeno marginale...”.
La lotta per la pace
Non meno pericolosa è l’assurda equidistanza in tema di politica estera. Non si può essere ideologicamente equidistanti da tutti i movimenti e gli stati. Quelli che cantano la stessa canzone dei capitalisti rispetto a Russia, Cina, Cuba, Venezuela ecc. sono oggettivamente allineati con gli avversari economici e politici di questi stati. Vogliamo aiutarli nella guerra fredda e creare mucchi di macerie e disastri simili a quelli avvenuti negli stati della primavera araba, Afghanistan, Ucraina e ovunque i servizi segreti e la macchina militare dell’Occidente fanno danni irreparabili?
Naturalmente non dobbiamo approvare tutto ciò che accade in altri paesi. Tuttavia, nella nostra valutazione non è solo utile ma anche necessario utilizzare la prospettiva degli altri. Nella lotta per la pace non ci deve essere neutralità. L’ambito culturale cristiano-europeo da cui noi proveniamo, come anche Karl Marx e tutta la cultura capitalista occidentale, non può essere il metro con cui misuriamo il mondo. Ci sono popoli di alta cultura che ci precedono di millenni. E ci sono delle priorità che anche Willy Brandt ha ammesso: la pace non è tutto, ma senza la pace tutto è niente.
Care Susanne e Janine, vi posso promettere di risparmiarvi in futuro delle lettere come questa. La mia forza è esaurita, posso solo porre la mia speranza nei nipoti, che combatteranno meglio. E come tutti sappiamo, la speranza è l’ultima a morire.
Berlino, 17 gennaio 2022
Un abbraccio solidale
Hans Modrow
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