La recente notizia dell’annullamento di un corso su Dostoevskij da parte dell’Università Bicocca di Milano fa scaturire diverse riflessioni. Innanzitutto, si può pensare a una pervasiva “russofobia” che si sta diffondendo rapidamente in Occidente (che assomiglia pericolosamente alla “islamofobia” che ha sempre dominato la cultura occidentale). I russi sono diventati il nemico di turno da contrastare con ogni mezzo: vedi la cancellazione di qualsiasi evento culturale in Europa e negli Stati Uniti che riguarda la Russia, oppure le pesanti sanzioni economiche che l’imperialismo occidentale sta predisponendo contro il popolo russo. Perché i più colpiti non saranno Putin o gli oligarchi, ma la popolazione.
La decisione di cancellare un corso universitario su Dostoevskij (poco importa se poi si è deciso di farlo lo stesso, ormai il sasso della stupidità era stato lanciato) ferisce qualsiasi persona che abbia una minima sensibilità culturale. Si tratta soltanto del peggior colpo di coda di tutto ciò che sta avvenendo a livello politico nelle alte sfere, laddove l’Occidente capitalista, mascherandosi da pacifista e umanitario (come ha fatto a Belgrado, a Kabul, a Baghdad o a Damasco) ha trovato il nuovo-vecchio nemico da attaccare: i ‘diversi’, i nemici adesso sono i russi e tutta la loro cultura. Non bisogna mai dimenticare che i russi non si sono mai sentiti occidentali, hanno una cultura peculiare, particolare; basta solo leggere qualche grande romanzo prodotto da questa cultura per capirlo: ad esempio quelli di Tolstoj, Gogol, Puškin e, guarda caso, di Dostoevskij.
Questa diversità culturale è espressa efficacemente da Andrej Tarkovskij nel film Nostalghia (1983). Il protagonista è un poeta russo di nome Gorčakov che si trova in Italia, in Toscana, accompagnato dalla sua interprete italiana, per scrivere la biografia di un musicista russo che ha vissuto in quei luoghi. Nella hall dell’albergo, in un’atmosfera onirica e regressiva, il poeta dice alla giovane di buttare via subito un libro di poesie di Arsenij Tarkovskij, padre del regista, che sta leggendo in traduzione. Infatti – dice – non solo è impossibile tradurre la poesia ma anche tutta l’arte, la quale è una delle espressioni più significative della cultura. Alla domanda della ragazza che chiede: “come avremmo fatto a capire la Russia senza le traduzioni?”, Gorčakov risponde: “voi non capite niente della Russia”, aggiungendo che neppure i russi hanno capito niente di Dante, Petrarca o Machiavelli. L’unico modo per capirsi – dice – è quello di “abbattere le frontiere fra gli stati”. Certo, bisogna tenere conto che il film è stato girato in un periodo storico estremamente diverso, quando ancora c’era l’Unione Sovietica, ma le frontiere politiche e culturali sembrano ancora non essere state abbattute. Anzi, l’Occidente sta erigendo sempre più barriere, anche e soprattutto culturali, contro l’universo russo che, non dobbiamo mai dimenticarlo, c’entra assai poco con la guerra di Putin.
Il vero nemico, ancora una volta, è il sistema capitalistico: quello che il presidente russo vuole consolidare, quello che gli Stati Uniti e la Nato vogliono difendere e rafforzare. Tutto in suo nome, fino all’autodistruzione. Come lucidamente scrive Robert Kurz in Il collasso della modernizzazione. Dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell’economia mondiale (a cura di S. Cerea, Mimesis, Milano-Udine, 2017), dopo la caduta dell’“impero del male” dell’Unione Sovietica, l’Occidente capitalista ha diffuso ovunque una “guerra civile globale” ergendosi a difensore dei diritti umani:
Ma le istituzioni, i poteri e i rappresentanti (o i portabandiera politici) di questo «mondo unico» non sembrano affatto intenzionati a mettere in discussione l’automatismo del processo del mercato mondiale. Essi invece vogliono imporre la conservazione di queste regole mediante l’ultima ratio della forza militare. Ora però non possono più legittimarsi mediante il vecchio conflitto sistemico con il presunto «impero del male». Devono intervenire, come forza di polizia internazionale, contro le rivolte della fame, le esplosioni di disperazione, le campagne di vendetta e gli attacchi terroristici della schiera dei miliardi di perdenti, ma anche contro tutte quelle forze e quelle figure, tutt’altro che filantropiche che, nella battaglia globale per la spartizione della sempre più esigua massa di valore, perseguendo interessi particolari, si spacceranno per vendicatori degli oppressi.
E, come lo studioso ribadisce in Ragione sanguinaria (trad. it. Mimesis, Milano-Udine, 2014), “quanto più brutalmente questa forma di riproduzione, trasfigurata a società globale devasta il mondo, tanto più micidiali sono le ferite che si autoinfligge e tanto più seriamente essa mette a repentaglio la sua stessa esistenza”.
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