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07/03/2022

Zittito anche il prof. Orsini. La censura di guerra c’è anche qui

Ci sono cose che si incaricano di demolire il monopolio liberale della stigmatizzazione. Si apprende che anche il prof. Orsini dell’università privata Luiss (quella della Confindustria) non potrà più partecipare a dibattiti televisivi sulla guerra in Ucraina.

Il prof. Orsini coordina l’osservatorio sicurezzainternazionaleluiss.it che da alcuni anni pubblica materiali e analisi di qualità che difficilmente possono essere etichettate come filorusse.

In un dibattito televisivo, in coerenza con quanto analizza nel suo lavoro, aveva osato dare una chiave lettura controcorrente sulla guerra in Ucraina.

Apriti cielo! La Luiss ha invitato il professore a non partecipare più a dibattiti televisivi perché le sue analisi “rischiano di danneggiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’Università per cui lavora”.

Il nostro giudizio sulla Luiss non è mai stato certo lusinghiero. È una università privata, fondata dalla Confindustria; qualche conoscente che ci si è laureato ha manifestato anche le “sue riserve” sulla qualità dell’insegnamento che vi si produce, nonostante le rette stellari da pagare per accedervi.

Ma qui è in discussione qualcosa di estremamente grave, cioè il fatto che un docente, sulla base dei propri studi, conoscenze, convinzioni, possa danneggiare la reputazione di una università se non si “appecorona” al pensiero unico interventista e bellicista che si respira nelle istituzioni e nei mass media.

Per fortuna non lo si respira nella società, come dimostrano almeno due sondaggi usciti in questi giorni.

L’impedimento al prof. Orsini ad esprimere il suo punto di vista in pubblico sulla guerra in Ucraina stride fortemente con l’ondata di stigmatizzazione che ci propinano da giorni sulla censura imposta dal governo di Putin ai mass media russi.

Insomma combattere “moralmente” Putin utilizzandone gli stessi criteri, anche se modulati diversamente, azzera ogni pretesa di superiorità morale.

La Rai è andata ben oltre, arrivando non solo a mettere sotto accusa il proprio corrispondente da Mosca Marc Innaro, ma addirittura chiudendo la redazione Rai a Mosca, affermando che “le notizie dalla Russia verranno raccolte dai paesi vicini”. In pratica dall’Ucraina, dalla Polonia o dalle Repubbliche Baltiche. Alla faccia della “verifica sulle fonti” delle notizie!

La stessa Barbara Spinelli, persona perbene ed autorevole, è ormai oggetto di dileggio e ostracismo per un suo onesto articolo sulla guerra che abbiamo anche ripubblicato sul nostri giornale.

E poi pesano come macigni i casi del corso su Dostojevski bloccato all’università della Bicocca a Milano, poi ripristinato ma a patto che si parlasse anche di scrittori ucraini – con una toppa decisamente peggiore del buco – e il doveroso vaffa all’università (usiamo un eufemismo) inviato dallo scrittore Paolo Nori, che avrebbe dovuto tenere il corso alla Bicocca.

Con questa isteria dal sapore maccartista o, se volete, da regime totalitario, gli unici analisti che nei talk show offrono momenti di razionalità sono quelli militari o ex militari. Forse abituati a ragionare in base ai dati oggettivi e sul campo non vendono troppo fumo sugli scenari e l’andamento della guerra in Ucraina.

Ma questo non assolve gli ossessionati di guerra che animano ormai le redazioni di televisioni pubbliche e private, né quelle dei giornali, che però fanno meno danni di altri mass media perché ormai li leggono solo quelli che ricevono la mazzetta dei giornali la mattina in ufficio (chissà se c’è un legame tra inattendibilità e calo delle vendite?).

Questo clima di isteria interventista, a questo punto non paradossalmente, è diventata assai pesante nell’Unione Europea, la quale sta cercando di recuperare il gap politico/militare ingranando la quarta sul piano del riarmo bellico e delle tentazione di muovere guerra alla Russia.

Qualcosa di simile lo avevamo già visto, sempre nella Ue, durante l’aggressione della Nato alla Serbia e ai bombardamenti sulle città delle ex Jugoslavia. Ma adesso siamo su una scala decisamente superiore.

Questa censura e rimozione sistematica delle voci discordanti sulla guerra seppellisce definitivamente ogni pretesa superiorità morale delle “democrazie liberali” rispetto al “dispotismo asiatico” (“la libertà contro le dittature“) contro cui vorrebbero condurre una guerra guerreggiata anche in nome della “guerra di civiltà”.

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