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24/08/2023

Prove materiali di "welfare dei miserabili"

Fanno veramente impressione – e dovrebbero far riflettere – le scene di ieri mattina, a Napoli, dove, fin dalle prime ore della giornata, una folla accaldata e sotto un sole cocente, in gran parte composta di donne con bambini al seguito, si è radunata sotto la sede del Comune di Napoli, in Via Salvatore Tommasi, per richiedere l’accesso alla “Carta Acquisti”.

Per ore, tormentati da un caldo asfissiante che ha provocato alcuni malori, hanno consegnato agli sportelli comunali (funzionanti sempre in un numero inadeguato a svolgere un servizio civile ed efficiente) i dati per ricevere questo miserevole strumento che il governo ha recentemente varato per “affrontare la diffusione della povertà”.

Ci riferiamo alla “Carta Acquisti” la carta di pagamento del valore di 40 euro mensili di cui possono beneficiare le persone che hanno compiuto 65 anni o hanno figli di età inferiore ai 3 anni che si trovano in una situazione economica particolarmente disagiata.

Una autentica, quanto offensiva, miseria di Stato che nel delirio classista, turbo/liberista e – soprattutto – razzista, elaborato dai think tank governativi dovrebbe “alleviare la sofferenza sociale e la marginalità” di tante famiglie del nostro paese.

In effetti – anche se in assenza di clamore mediatico e con la (inconsapevole?) distrazione di tanti attivisti politici e sociali – siamo dentro un passaggio, formale e materiale, verso la configurazione operativa del Welfare dei Miserabili che, progressivamente, sta sostituendo ciò che ancora residuava del vecchio compromesso sociale e dei conseguenti servizi alle persone e alla collettività che né derivavano.

L’odio di classe (alla rovescia!) che padroni, governi e l’intera genia di grassatori borghesi hanno iniettato nelle pieghe della società contro il Reddito di Cittadinanza, attraverso la realizzazione di una crociata culturale e politica senza precedenti nella storia della contrattazione sociale nel nostro paese, è servita – sta servendo – a sferrare la mazzata finale contro una idea di Stato Sociale che, seppur alla lontana, ancora si richiamava ad una concezione di democrazia economica e di solidarietà verso gli ultimi.

Piccole mance che sfiorano il senso del ridicolo, odio e riprovazione verso i poveri e coloro che “non c’è l’hanno fatta”, nessun vero e decente Salario Minimo, il sistematico smantellamento dei vari Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e un mercato del lavoro (e del non/lavoro) il più possibile deregolamentato sono gli obiettivi del Governo Meloni che – al di là delle fantasie di presunta interprete della destra sociale che hanno accompagnato, in questi anni, la scalata al potere di Giorgia della Garbatella – assecondano gli espliciti desiderata di Confindustria e del complesso dei poteri forti della finanza e dell’economia.

Un lavorio – spiccatamente classista – che predispone ad una ennesima stagione di sacrifici considerando che da Bruxelles arrivano – dopo la tregua temporale del periodo inerente la crisi pandemica globale – nuovi appelli e severe reprimende ai governi nazionali per orientarli, di nuovo, verso il rigore e al completamento delle riforme.

In questo contesto le scene di Napoli – quindi – sono solo uno degli episodi dell’acutizzarsi di una diffusa crisi sociale che inizia, di nuovo, a percepirsi ad ampia scala e – a scanso di equivoci – almeno al momento non sono ancora foriere di una ripresa di conflittualità sociale e metropolitana.

Sarebbe utile – però – che il sindacalismo conflittuale e le forze indipendenti ed anticapitaliste aumentassero la loro attenzione e la loro attitudine militante verso strati e settori della società (…del ‘Blocco Sociale’) i quali cominceranno – ancora più che nel recente passato – a pagare i costi della crisi e subiranno una ulteriore retrocessione nella generale gerarchia sociale.

Alludere – come spesso è avvenuto nella vicenda politica italiana – ad un nuovo Autunno Caldo può, anche a dei convinti materialisti come noi, apparire come una banalizzazione rituale o, addirittura, come un esercizio di sfiga da cui scansarsi e proteggersi.

Resta – comunque – un compito di informazione/contro, di mobilitazione e di lotta che occorre proporre, alimentare e praticare.

Rilanciare, in tutte le forme possibili, il conflitto, connettere le lotte e le mobilitazioni nei posti di lavoro e nei territori, far vivere concretamente e non solo nella pur importante agitazione propagandistica la parola d’ordine “Abbassare le Armi ed Alzare Salari e Stipendi” sedimentando progressivamente organizzazione popolare incardinata ad una prospettiva autonoma ed indipendente restano gli snodi politici e programmatici – una vera e propria cruna dell’ago – che dobbiamo attraversare per risalire la china e ridare voce, forza e rappresentanza alla nostra gente.

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