Qualcosa non funziona più nella catena di comando Nato. E non stranamente riguarda il fronte “valoriale”, o “culturale”, ovvero i princìpi generali che regolerebbero l’Alleanza – molto subordinata, per gli europei – tra paesi euro-atlantici.
La sortita “privata” del generale Roberto Vannacci, ex comandate dei paracadutisti poi “confinato” nel più tranquillo comando dell’Istituto geografico militare, è indicativa di molte cose, tra loro in aperta contraddizione.
Per chi conosce il mondo militare italiano, rimasto profondamente fascista sul piano culturale, ma diventato esperto nel tenere nascosto il più possibile questa “tendenza”, non c’è nulla di sorprendente.
I vertici, la struttura intermedia, “la base” (fatta ormai di professionisti, tutti graduati e non certo “soldati semplici”), è formato più o meno su quello stampo.
L’integrazione con le forze Nato non ha cambiato granché questa impostazione, semmai ha moltiplicato la capacità diplomatica di tenerla nascosta. In fondo i torturatori di Abu Grahib, di Bagram o di Guantanamo non sono molto diversi. Solo più convinti di essere totalmente intoccabili. Per esperienza diretta...
Poi, certo, c’è l’immagine pubblica della “democrazia americana”, il ruolo di “faro del mondo”, le chiacchiere hollywoodiane sul “migliore dei mondi possibili”.
Il problema è – come abbiamo scoperto su un documento ufficiale del Dipartimento di Stato Usa, ovvero il ministero degli esteri – che proprio dai vertici di Washington è stata lanciata, ormai da anni, una campagna mondiale multi-piattaforma per la promozione dei diritti LGBTQ+ come “priorità della politica estera degli Stati Uniti”.
L’intento strumentale è evidente. Basta confrontare le “teorizzazioni” contenute nel documento del Dipartimento di Stato – da utilizzare come giustificazione di possibili attacchi contro i paesi che non obbediscono – con la realtà dei diritti civili in casa propria; ad esempio con il fatto che in almeno metà degli States il diritto all’aborto sia tornato ad essere un “reato”.
Ma non c’è dubbio che buona parte del sistema dei media occidentali, di pressoché tutti i paesi (con le eccezioni ben note di posti come l’Ungheria o la Polonia, ecc.), abbia preso un impegno forte sulle linee indicate da Washington.
Abbiamo così uno scarto molto consistente, spiazzante per i destri-duri-e-puri, tra l’ideologia condivisa e quella propagandata, che disgraziatamente richiede – per loro – qualche omaggio formale e regolamentare (i militari omosessuali non possono essere più ufficialmente discriminati, le donne sono ammesse ma con molta resistenza, ecc.). Un impegno “contronatura”, insomma...
È questo impegno che, prevedibilmente, motiva – nell’arretratezza culturale e ideologica proto-fascista – la sensazione di vivere sotto quel “pensiero unico” citato con orrore non solo dal generale dei parà, ma anche da molta destra che non si è ancora accorta di vivere sotto quel padrone (Donzelli, per esempio).
Peggio ancora, quella sensazione fastidiosa rischia spesso di diventare senso comune di massa, visto che una cosa è il rispetto dei diritti di ogni singolo essere umano per quello che è e si sente di essere, un’altra è voler disporre di comportamenti e linguaggi, condivisi e storicamente determinati, secondo una visione certamente legittima, ma socialmente assai minoritaria.
E non c’è dubbio che nel sistema dei media, e in molte estremizzazioni unilaterali, è avvertibile una forte ambizione “normativa”. Se poi questa ambizione sia spontanea, o frutto della consapevolezza di avere “le spalle coperte” dalla superpotenza imperiale, in fondo non è rilevante. Il risultato sociale, purtroppo, non cambia...
Sta di fatto che anche femministe storiche, di quelle che hanno indagato a fondo i fondamenti filosofici del pensiero della differenza (non le Roccella e altre folgorate sulla strada dell’ultradestra, insomma), sono costrette ad esternare un certo disagio di fronte alla “pressione” che viene esercitata perché si esprimano in modo diverso e secondo un nuovo “politically correct”.
Fino alla pretesa non proprio “libertaria” di evitare la parola “donna” per indicare le donne, a favore di un più neutro (e cripto-maschilista) “persone con utero”.
Come si vede, stiamo affrontando qui un insieme di problemi importanti e delicati, che riguardano tutte e tutti noi, in cui “qualcuno” è intervenuto dall’alto in modo pesante – come un elefante in cristalleria – innescando così reazioni viscerali, in parte impreviste, in parte ampiamente prevedibili (quelle dei militari “nostalgici” più delle altre, sicuramente). Lo dimostra peraltro il duraturo successo del “trumpismo” più delirante...
Come dovrebbe esser noto, per noi Cuba rappresenta un faro di civiltà politica e umana. Chi vuol sapere cosa pensiamo della libertà sessuale di ognuno/a/ecc., non ha che da chiedere o leggersi la legge sul diritti di famiglia lì approvato dopo una lunga elaborazione che ha coinvolto tutta la popolazione. Che è poi l’unico modo di giungere a conclusioni condivise su questioni altrimenti “divisive”.
Allo stesso tempo, però, è bene che si informi anche sulle interferenze interessate e programmate del Dipartimento di Stato, che come al solito sta ottenendo il risultato opposto a quello dichiarato. Invece che più “libertà” e più diritti civili, più focolai di rabbiosa reazione fascista.
Sul testo del Dipartimento stiamo lavorando per offrirvene una analisi ragionata...
Buona lettura.
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