Dopo due giorni di riunione ad Accra in Ghana, da giovedì scorso, i capi di stato maggiore dei paesi della Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Cédéao, l’acronimo in francese, ECOWAS in inglese) hanno raggiunto un accordo per un possibile intervento militare «in vista di ristabilire l’ordine costituzionale» in Niger, a tre settimane dal colpo di stato che il 26 luglio ha deposto il presidente Mohamed Bazoum.
Dei 15 Stati che compongono la Comunità, tre (Mali, Guinea, Burkina Faso) sono stati sospesi a causa dei “colpi di Stato” verificatisi in questi ultimi anni, mentre due (Capo-Verde e Guinea-Bissau) non erano rappresentati in questo incontro.
«Il D-day è stato deciso», ha affermato il commissario agli affari politici della Cédéao, il nigeriano Abdel-Fatau Musah.
Il commissario precisa che l'accordo riguarda l’equipaggiamento e le risorse.
«Siamo pronti a partire», afferma Musah, precisando che non ci saranno ulteriori riunioni dei capi di stato maggiore, se non nel corso dell’operazione stessa.
Le parole del responsabile della Cédéao gettano ulteriore benzina sul fuoco: «noi vogliamo liberare il Niger dai militari al potere affinché il paese si concentri sul suo obiettivo principale, la lotta contro il terrorismo».
Se la via del dialogo resta aperta anche per la Cédéao – che aveva annunciato una possibile missione diplomatica per sabato 19 agosto – è chiaro che l’opzione militare è stata messa sul tappeto e sembra avvicinarsi sempre più.
C’è da segnalare che la diplomazia internazionale cerca di fare il suo corso con una missione dell’ONU arrivata venerdì pomeriggio a Niamey, dove ha incontrato l’attuale autorità di governo del Paese – il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) – con colloqui che si sono protratti anche sabato.
Non era presente nessuna personalità della Cédéao, né dell’Unione Africana.
I rappresentanti del Niger hanno denunciato ai rappresentanti delle Nazioni Unite le sanzioni economiche «inumane e illegali», ed hanno voluto rassicurare la delegazione sulle condizione del presidente deposto e della sua famiglia.
Ma torniamo alle decisioni della Cédéao.
Musah ha reso esplicito – senza fornire un preciso arco temporale – che i negoziati non si svolgeranno a lungo, volendo di fatto evitare il ripetersi di ciò che si è visto di recente con i tre paesi sospesi dalla Cédéao.
Da quanto traspare, sono state definite le modalità dell’intervento militare e sono iniziati i primi spostamenti di truppe al confine con il Niger, sia in Nigeria che in Benin riporta il sito d’informazione in lingua francese Rfi-Afrique.
D’altro canto, secondo quanto riporta il quotidiano spagnolo El País, che cita senza specificarne “fonti vicine all’Esercito del Niger”, la giunta militare ha dispiegato a sua volta truppe al confine con il Benin e la Nigeria.
Il progetto di intervento militare deve essere ratificato dalla conferenza dei capi di Stato della Cédéao, ma è chiaro che il “punto di non ritorno” sembra avvicinarsi.
Contro questa escalation militare si sono espressi due importanti attori politici regionali come l’Algeria ed il Ciad, oltre all’Unione Africana; mentre le autorità della Guinea, del Mali e del Burkina Faso hanno solidarizzato contro le sanzioni promosse dalla Cédéao al Niger.
Mali e Burkina Faso hanno inoltre affermato che considererebbero l’intervento militare contro Niamey una atto di aggressione contro i loro stessi paesi.
Per dovere di cronaca è giusto riportare che dalla riunione del Consiglio della Pace e della Sicurezza (CPS) dell’Unione Africana avvenuta il 14 agosto non è stato licenziato ancora alcun comunicato ufficiale, con una bozza fatta circolare il 17 tra i suoi membri con l’obbligo di non renderla pubblica fino alla sua convalida.
Secondo le indiscrezioni provenienti da fonti diplomatiche africane, la presidenza della Consiglio – attualmente tenuta dal Burundi – ha voluto proseguire la discussione con i paesi membri della Cédéao rispetto alle misure da adottare nei confronti dei “golpisti” del Niger.
Sembra infatti confermato che tranne Gambia, Senegal, Ghana e Nigeria, tutti i membri del CPS abbiano rigettato l’intervento militare, aprendo una spaccatura evidente tra i due organismi sovranazionali africani.
Numerosi aspetti di tale intervento – tra cui la data di inizio – resteranno «segreto militare», ed i capi di stato maggiore mantengono il più rigoroso riserbo sugli effettivi, l’armamento ed il piano d’attacco.
In pratica, al momento, per passare alle vie di fatto manca solo l’avvallo politico e quindi l’esaurirsi dei canali diplomatici tra Cèdéao e Niger.
I paesi che contribuiranno a questa forza multi-nazionale – come Benin, Costa d’Avorio, Senegal e Guinea-Bissau – potrebbero fornire circa 5.000 mila uomini, mentre non è conosciuta l’entità dei militari della Nigeria, che dovrebbe mobilitare il contingente più grande.
Ogni paese contributore dovrebbe finanziare i primi 90 giorni dell’intervento, e se si dovesse prolungare spetterà alla Cédéao sostenere il costo addizionale.
L’avventurismo militare delle classi dirigenti di alcuni paesi di questa Comunità Economica non è per nulla condiviso dalle opinioni pubbliche dei rispettivi paesi, in particolare in Nigeria ed in Senegal, che rischiano di vedere il già labile “fronte interno” sgretolarsi.
Il possibile intervento in Niger diventa così un precipitato della crisi radicale dell’attuale assetto del Sahel e del neo-colonialismo occidentale, aumentando il solco nei rispettivi Stati tra ‘paese legale’, pronto all’opzione bellica contro un paese sovrano, e ‘paese reale’.
L’Unione Europea e gli USA sembrano smarcarsi dalla linea decisamente più interventista di Parigi, ma sono intenzionate entrambe a voler strumentalizzare politicamente la condizione del presidente deposto, che le autorità attualmente al potere potrebbero giudicare per “alto tradimento”, con l’accusa di aver mantenuto contatti con leader stranieri durante i suoi arresti domiciliari.
Il primo ministro del governo nominato dal CNSP del Niger, – Ali Lamine Zeine – in un’intervista concessa al New York Times, ha elogiato la «la posizione estremamente ragionevole» dell’amministrazione Biden, che auspica la via diplomatica piuttosto che militare per ristabilire un potere democratico.
Lamine assicura che non ci sarebbe alcuna intenzione da parte degli attuali dirigenti militari di avvicinarsi alla Russia e alla milizia paramilitare Wagner, ma allo stesso mette in guardia: «non spingete i nigerini verso dei partner che voi non volete vedere qui».
Un preciso monito, considerata l’importanza strategica che il Niger ha per gli Stati Uniti con diverse basi militari sul territorio, 1.100 soldati, droni armati e non, oltre ad altri mezzi militari.
La base di Agadez, per esempio, operativa dal 2019, è la seconda più grande base statunitense in Africa dopo quella di Gibuti, con un costo di circa 110 milioni di dollari.
Sabato il quotidiano francese Le Monde, in un articolo a firma di Elise Barthet e Morgane Le Cam, ha confermato che «una richiesta d’intervento è stata indirizzata ai francesi presenti in Niger nelle ore che sono seguite al colpo di stato della guardia presidenziale, e che questa richiesta è stata seriamente presa in considerazione».
Questo era già stato denunciato pubblicamente dai “golpisti” la notte tra il 30 ed il 31 luglio, e avallerebbe le accuse di ingerenza francese negli affari interni nigerini, continuamente reiterate dalla “giunta”.
Due testi che facevano richiesta a Parigi per un colpo di mano con il fine di “liberare” il presidente nigerino sarebbero stati firmati rispettivamente da Hassoumi Massaoudou, ministro degli Esteri di Bazoum (che avrebbe agito come primo ministro ad interim), e dal colonnello-maggiore Mido Guirey, comandante della guardia nazionale del Niger.
In pratica, durante le ore piuttosto convulse successive alla notte del 26 – quando ancora non era possibile comprendere che piega avrebbero preso gli eventi – si sarebbe chiesto l’intervento francese che, per Parigi, necessitava di una richiesta scritta.
Sembra che alle 4 di mattina del 27 luglio – riporta il quotidiano francese citando la propria fonte anonima – ci fossero una dozzina di veicoli appoggiati da alcuni elicotteri pronti ad intervenire e che sia stato lo stesso Bazoum, chiamando di persona il capo delle operazioni francesi in Niger, a bloccare l’intervento, convinto di un esito positivo delle trattative in corso.
Nel giro di qualche ora il quadro delle forze “lealiste” al presidente è, poi, andato notevolmente assottigliandosi, rimanendo di fatto solo il proprio entourage politico.
In conclusione, la crisi politica nigerina potrebbe sfociare nella “seconda guerra mondiale africana” dopo quella del Congo, o “internazionalizzarsi” come – mutatis mutandis – hanno fatto molte vicende legate al corso politico degli Stati africani dopo l’indipendenza; ad esempio per lo Zaire (ex Congo Belga) negli Anni Sessanta, o l’Angola (ex colonia portoghese) negli Anni Settanta, od il Sudafrica dell’Apartheid.
In un momento in cui gli assetti politici internazionali stanno mutando, e la tendenza alla guerra sta riaffiorando come principale modalità di risoluzione delle tensioni geo-politiche, senza che vi sia una cornice condivisa per “raffreddarli”, il Sahel potrebbe divenire l’ennesimo campo in cui si sviluppa quella “guerra mondiale a pezzi” che ha preso forma negli ultimi anni.
Nel mentre scriviamo, una delegazione della Cédéao è arrivata in Niger, ed è forse l’ultima chance – per quanto labile – di dare uno sbocco diverso a quella che è diventata a tutti gli effetti una “crisi internazionale”.
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